Il governo della «sovrana» sudditanza

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Se qualcuno aveva immaginato un cipiglio di autonomia politica nel viaggio lampo di Meloni da Trump rimarrà deluso, anche perché la sostanza profonda di quel viaggio non sembra essere stata la liberazione della giornalista Cecilia Sala sequestrata in Iran, tutt’al più l’occasione, nonostante la versione interessata arrivata da Mar-a- Lago di una presunta “aggressività” rappresentata dalla premier italiana sulla grave vicenda.

Del resto l’autonomia vera sulla questione Sala sarebbe quella non di correre alla corte imperiale e sfarzosa del re padrone (o dal principe Musk) ma di trattare direttamente in modo indipendente per la sua liberazione, legata a quella dell’ingegnere iraniano Abedini arrestato in Italia su esclusivo mandato Usa, fino alla possibilità di contraddire se necessario la Casa bianca, sia l’uscente Biden di fatto bypassato dall’improvviso viaggio meloniano, sia il presidente che arriva, il trionfante e sodale suprematista Trump, ammirato della premier italiana perché «ha fatto furore nel l’Ue» – lui di furore sulla democrazia se ne intende.

Siamo, al contrario, nel pieno della sudditanza del governo italiano, attitudine propria di chi ideologicamente prima si è fatta vanto del sovranismo nazionale per poi correre a cercare un comandante in capo oltreoceano, dilatando oltre ogni misura la fedeltà atlantica, visto che la guerra e l’industria delle armi sono l’asse strategico di questo governo di destra-estrema destra.

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Con la faccia tosta e l’arroganza che le è propria Meloni aveva avuto modo perfino di accusare di “sovranismo” quella poca opposizione di sinistra che resta che l’aveva criticata per il suo rischioso sodalizio con Elon Musk. Stavolta la sovranista vera l’ha fatta grossa, mettendo a repentaglio nel rapporto con Trump e soprattutto con Musk, l’indipendenza dello Stato italiano, quanto a sicurezza della compagine governativa, delle strutture militari e dell’intelligence. Una prova della pesantezza di questa scelta è arrivata ieri non dai rumors ma dall’annuncio non smentito delle prossime dimissioni della responsabile dei nostri Servizi segreti, Elisabetta Belloni.

Se sono vere le informazioni che arrivano dal sito economico Bloomberg, anch’esse tutt’altro che smentite – Palazzo Chigi nega l’avvenuta firma del contratto ma non le trattative, Musk si dichiara «pronto» – il governo Meloni sta per firmare un contratto sulla sicurezza della durata quinquennale con SpaceX, la compagnia di Elon Musk specializzata nelle attività spaziali, dal costo di 1,5 miliardi di euro. Il contratto, che si aggiunge al progetto già discusso di utilizzare i satelliti Starlink per la connessione veloce a Internet su tutto il territorio nazionale, prevede non solo una vasta fornitura di «crittografia di alto livello per i servizi telefonici e Internet utilizzati dal governo» ma anche «servizi di comunicazione per l’esercito italiano nel Mediterraneo, nonché l’introduzione in Italia dei servizi satellitari direct-to-cell da utilizzare in emergenze come attacchi terroristici o catastrofi naturali». Già un anno fa abbiamo svenduto la rete fissa della Telecom, il monopolio telefonico del Paese, alla statunitense Kkr (tra l’altro presieduta dall’ex capo della Cia, il discusso generale Petraeus, dalla compromessa carriera per ii suoi fallimenti in tante guerre); e precedentemente, nel marzo 2023, con un accordo Meloni-Netanyahu abbiamo di fatto appaltato la nostra cybersicurezza militare a Israele – come ha denunciato inascoltato Alberto Negri. Ora con questo “contratto” il cerchio si chiuderebbe: saremmo infatti al pieno esautoramento delle istituzioni democratiche che presiedono alla nostra sicurezza sui temi più che delicati, esiziali, della sicurezza: dell’esecutivo, delle strutture militari operative in aree di crisi internazionali a partire dal Mediterraneo, e degli stessi Servizi segreti. Tutti passati sotto il controllo di una compagnia privata nelle mani del tecno-oligarca messianico Elon Musk, istigatore della destra estrema globale e mentore di Giorgia Meloni.

È dunque in gioco la democrazia di questo Paese e il suo futuro che così si prefigura al seguito oscuro di ogni guerra possibile – come dimenticare che Trump nel primo mandato ha costituito la nuova branca della difesa Usa, la Space Force – e di ogni furore repressivo anti-democratico. Il passaggio in Europa e in Italia da un sistema di welfare alla warfare, come chiede esplicitamente il segretario della Nato Mark Rutte – quando ricorda che nell’Ue «c’è troppo welfare» e che è ora «di prepararsi ad una mentalità di guerra» -, comporta non solo l’incremento dell’industria delle armi sempre più sofisticate e di un più diretto e onnivoro potere del complesso militare-industriale, ma anche la privatizzazione dei sistemi della sicurezza (anche per una sua «seduttiva» percezione), dei presìdi di controllo democratici da stravolgere e consegnare nelle mani di un potere che, da forme immateriali e automatismi, si riproduce sotto il dominio delle sole ragion del mercato e della forza. Ma la nostra Costituzione non è un automatismo né una piattaforma startup.

 



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