Con Megafono, rosario e scorta: don Coluccia, il prete che sfida lo spaccio tra gli «zombie» di Roma Est

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di
Fabrizio Caccia

Con don Coluccia al Quarticciolo: gli insulti dei narcos, le confessioni dei tossici. «Il mio Giubileo è salvarli». Un ragazzo: «Di giorno faccio il parrucchiere, di notte mescolo l’alcol al crack per aumentare lo sballo»

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«Convertitevi!», urla al megafono don Antonio Coluccia, come papa Wojtyla e il suo grido indimenticabile rivolto ai mafiosi, il 9 maggio ‘93 nella Valle dei Templi. Ma qui siamo al Quarticciolo, sono le dieci di sera e lui si rivolge agli spacciatori. La redenzione è sempre una strada in salita: «Vattene, prete infame», berciano infatti quelli da lontano, senza megafono, nascosti nelle cantine insieme alla loro merce. Nell’aria un preoccupante, ostile, abbaiare di pitbull.

Pitbull e bombe carta

Dal buio dei lotti popolari di via Manfredonia sbuca solo il giovane Michele, molto infreddolito e barcollante, che di giorno fa il parrucchiere e di notte mischia l’alcol al crack per aumentare lo sballo. In quel labirinto fitto e impenetrabile delle case Ater lui c’è entrato mezz’ora fa per comprarsi una dose. E adesso che è uscito, farfuglia le sue frasi impastate al prete di frontiera: «Io mi drogo sì, ma a livello ricreativo», minimizza.
Magari fosse vero. Tante volte, Michele racconta, ha dovuto raccogliere sua sorella nella vasca, con la schiuma che le usciva dalla bocca, lei come lui prigionieri di Zombieland, la grande piazza di spaccio di Roma Est, un quadrilatero in cui vivono impaurite 5 mila persone, assediate giorno e notte da un esercito di «vedette» e spacciatori e dai loro clienti, a legioni. Il giovane parrucchiere dice di abitare all’R5 di Tor Bella Monaca — il famigerato «Ferro di cavallo» di via dell’Archeologia dove la droga te la vendono pure sulle scale — e in effetti così strafatto di alcol e crack pare davvero uno zombie.




















































«Gesù ha rischiato»

Don Antonio Coluccia, oltre al megafono munito di pennetta Usb, con cui diffonde pure canzoni antimafia (da I cento passi dei Modena City Ramblers a Prima di sparare, pensa di Fabrizio Moro), porta con sé un fischietto, legato alla collana del rosario. In qualunque piazza di spaccio si presenti, a Roma come a Sassari, Napoli, Palermo, fischia prima tre volte per avvisare i residenti e gli spacciatori. Lo fa anche stasera e ovunque gli spacciatori reagiscono sempre allo stesso modo: fanno esplodere bombe carta per dargli il benvenuto. Se volete una prova, andate su Tik Tok, il prete, oltre che molto coraggioso, è pure social.
Una volta c’era «il Gobbo del Quarticciolo», mitico bandito-eroe della Resistenza romana contro i nazifascisti. Oggi, invece, qui comanda solo «la Robba», cioè in romanesco la roba, la droga, il crack a quintali, che si vende e si compra in mezzo alle strade 24 ore non stop. Un’epidemia. È la «Robba del Quarticciolo».
Quarantanove anni, da Lecce, figlio di operai e operaio anche lui da ragazzino, don Antonio Coluccia scoprì presto la vocazione. Entrato in seminario, si laureò all’università salesiana e subito cominciò ad accogliere a Roma, nel quartiere di Grottarossa, barboni, tossici, padri separati. Dice: «Gesù ha rischiato». E rischia anche lui.

Due auto blindate

Questa sera siamo fortunati, ma in passato gli hanno tirato contro di tutto: bombole del gas, molotov, una volta provarono pure a farlo fuori. «Sparì un motorino in via dell’Archeologia — ricorda —. Con quel motorino rubato, il piano era di farmi investire». Perché dietro ai piccoli spacciatori tunisini, egiziani, italiani, poi ci sono le ‘ndrine e la camorra, la mafia albanese e i narcos romani orfani di Diabolik («Dopo il suo omicidio, Roma non trova ancora il suo equilibrio», dice) e così lui oggi è diventato il prete più scortato d’Italia: 2 auto blindate con mitra a bordo e 5 poliziotti, una scorta di secondo livello rinforzato. Per capirci, don Luigi Ciotti, di «Libera», di agenti ne ha «solo» 4.

«Ragazzo, seguimi»

«Non esiste Vangelo senza rischio e non esiste rischio senza Vangelo», motteggia don Antonio. E adesso che Roma è impazzita per l’Anno Santo, con migliaia di pellegrini in giro per le strade della città, il prete fondatore dell’Opera don Giustino dice che «la Porta Santa è anche quella che si apre quando un ragazzo entra in comunità per provare a disintossicarsi. È questo, per me, il Giubileo…». Alcuni di loro ce l’hanno fatta e adesso vivono con lui sulla via Giustiniana, in una villa confiscata alla Banda della Magliana.
Al povero Michele, con la droga ancora in circolo, nella notte del Quarticciolo don Antonio regala una medaglietta con l’immagine sacra di Maria Immacolata: «Tieni, portala con te». Il ragazzo tremante lo ringrazia.
I poliziotti di scorta hanno il «mephisto» per non farsi riconoscere, le torce in mano e il taser nella fondina. Con le ricetrasmittenti sono sempre in contatto con la centrale: una volta in viale Palmiro Togliatti chiamarono i rinforzi perché qualcuno dai lotti iniziò a sparare con la pistola.

Sacerdote e karateka

Gli spacciatori, specie in questi giorni di festa, sono molto aggressivi. Perché la clientela aumenta in modo esponenziale e le visite di don Coluccia, perciò, danno fastidio. Così loro piazzano i cassonetti all’imbocco delle strade per avere più tempo per dileguarsi nel caso arrivi la polizia.
Via Ostuni, via Molfetta, via Ugento, via Manfredonia: don Antonio tra questi disperati è sempre in abito talare. E una notte — sarà stato il buio — si sentì chiedere una dose pure lui: «Scusa mi dai un ventino?». In gergo: una «pallina» da 20 euro. Il prete, serafico, rispose: «Ragazzo, seguimi, la vita è stupefacente, non la sostanza». Da applausi.
Finalmente il governo ha messo gli occhi sul Quarticciolo: anche la piazza di spaccio romana ora è entrata nel decreto Caivano. Arriveranno progetti e investimenti contro il degrado e così anche nuovi appetiti. Don Coluccia perciò vorrebbe che altri sacerdoti, oltre a lui, scendessero in strada — «Gesù camminava», ammonisce — anziché rimanere trincerati dentro le loro parrocchie. Ma almeno ai piani alti lo seguono: «Papa Francesco un giorno, dandomi un buffetto, mi disse: Continua così…». Perché ci vuole fede, che altro sennò, a fare la sua vita. E pure un po’ di spericolatezza e un fisico d’atleta, che a volte l’aiuta eccome. Come quel giorno che a Talenti, mentre era al bar con un confratello, si accorse dalla vetrina che due ceffi stavano compiendo in strada una rapina: «Lasciai il confratello con la tazzina in mano e balzai fuori, quattro mosse e li atterrai entrambi, per anni ho praticato karate».

Questa notte con lui non c’è solo la scorta: ci sono anche i volontari di «Luce sia», cittadini impegnati contro il degrado in vari quartieri di Roma. Si direbbe che dopo tanti anni vivano nel culto del «Don», così lo chiamano, basta guardare i loro occhi estasiati mentre lui parla, spesso immaginifico: «Bisogna schiodare i ragazzi dalla Croce». Sono passati quasi 51 anni dal leggendario convegno di don Luigi Di Liegro sui «mali di Roma» (febbraio 1974). Secondo don Coluccia la differenza più grande, rispetto ad allora, «è la paura, una paura che paralizza. E se prima c’era la povertà ora c’è la violenza, se prima c’erano le baracche ora c’è il racket delle case occupate».
Quando arrivò nella Capitale, a chiedergli aiuto furono per prime le mamme di San Basilio, un’altra grande piazza di spaccio, perché i loro figli morivano di overdose. Lui andava a trovarle e i capopiazza intimavano ai residenti di chiudere le finestre: invece le mamme le aprivano. Per cercare di avvicinare i ragazzi, si metteva a giocare a pallone con loro, in tasca sempre due cartellini, uno giallo e uno rosso, come quelli dell’arbitro di calcio. Anche stasera li tira fuori: giallo per ammonire i passanti sui pericoli della droga, rosso solo per i pusher: «Basta, dovete smetterla di vendere morte», grida al megafono, guardando il buio.

I botti quando se ne va

Michele il parrucchiere, prima di andarsene, racconta che lui si droga due volte alla settimana di crack e una volta di «fumo» perché «i soldi poi finiscono», spiega. È la droga dei poveri. Gli spacciatori del Quarticciolo piazzati ad ogni angolo si fanno riconoscere dai loro clienti accendendo dei falò: dove vedi la fiamma, troverai la droga. E se arriva la polizia il fuoco torna utile comunque, per distruggere le prove. Infatti ecco che al passare delle auto blindate del «Don» spengono i bracieri e fuggono via.
È quasi mezzanotte quando, per segnalare che don Antonio se ne va, i narcos fanno esplodere dei fuochi d’artificio: tutti sono avvisati, la piazza torna libera ed entro pochi minuti brulicherà di nuovo. Il sabba ricomincia. Ma il prete vocazionista non s’arrende e anzi sta per lanciare un’altra idea delle sue: nel 2025 partirà, non a caso, «Radio Megafono 48», web-radio ad alta diffusione. Così, se pure quelli gli sparano i petardi, la sua voce vincerà il frastuono.

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