È ovvio che si debba fare di tutto per riportare a casa la giornalista. Ma siccome chi si impegna a liberarla non è un mercenario o un vigilante privato assunto dalla famiglia, bensì un rappresentante del popolo italiano, di tutte le azioni noi siamo co-autori, in un certo senso. Ed è parte del nostro diritto-dovere civico essere informati e giudicare, quanto prima possibile, quanto più possibile
Chissà che cosa scriverebbe Cecilia Sala sulla gestione del suo caso, se fosse libera di farlo. Chissà cosa penserebbe delle notizie imprecise (le sue condizioni di detenzione, secondo il nostro ministro degli esteri, erano buone: non si sono rivelate tali), di iniziative estemporanee e riservate (il viaggio di Meloni alla corte di Trump), del silenzio-stampa chiesto dalla famiglia per proteggere le trattative.
Nel nostro paese di trattative segrete, del dilemma tra linea della fermezza contro i ricatti terroristici (ché questo alla fin fine è quello della repubblica islamica dell’Iran) e valore della vita umana prigioniera di aguzzini si parla almeno sin dall’affaire Moro, per riprendere la formula di Leonardo Sciascia. E da allora ci sono state molte trattative segrete, più o meno recenti.
Anche in questo caso, come in quelli, ci sono vari valori in gioco e la scommessa è bilanciarli nella maniera migliore possibile. L’urgenza e il valore di salvare la vita di Cecilia Sala è innegabile, come innegabili sono le esigenze di mantenere segrete le mosse dei governi coinvolti nella trattativa.
La democrazia è un regime di trasparenza, ma non esclude le necessità che portano talvolta al segreto di Stato. Ma la democrazia è anche e soprattutto un regime di responsabilità, di accountability. Il segreto dovrebbe essere sempre temporaneo e dovrebbe sempre arrivare il momento di rendere conto all’organo della sovranità popolare, cioè al Parlamento.
Perché farlo serve a tutelare altri valori, come la responsabilità, appunto, dei governanti e dei rappresentanti nei confronti dei cittadini elettori e il ruolo dell’informazione per una pubblica opinione funzionante. L’arresto e la detenzione ingiustificata di Cecilia Sala sono particolarmente gravi, fra l’altro, proprio perché il suo lavoro consisteva nel fornire alla nostra opinione pubblica elementi importanti di informazione.
Se è comprensibile la richiesta di silenzio-stampa da parte della famiglia Sala, se sono comprensibili le cautele degli apparati governativi e diplomatici, sono molto meno comprensibili, anzi sono del tutto inappropriati, gli errori di comunicazione del ministro Tajani e il personalistico e improvvisato viaggio di Meloni a Mar-a-Lago – un viaggio appunto repentino, senza chiare modalità, presso una persona non ancora investita del suo ruolo ufficiale. Si è parlato di presunte e temute cessioni di sovranità del nostro paese agli USA, per via dell’intreccio fra il sequestro di Cecilia Sala e le sorti di Mohammad Abedini Najafabadi, il presunto trafficante di componenti elettronici con uso bellico, arrestato in Italia e su cui pende richiesta di estradizione.
È stato suggerito, anche su questo giornale, che esercitare la nostra sovranità e non cedere alle richieste americane sarebbe auspicabile. Ma la sovranità appartiene al popolo, nella nostra democrazia, anche nel senso che i cittadini dovrebbero avere la massima informazione possibile sulle mosse e sulle decisioni dei loro governanti, pure in casi delicati ed estremi come questo.
Per essere chiari: è ovvio che si debba fare di tutto per migliorare la situazione di Cecilia Sala, e per ottenerne la liberazione. Il dovere di subire conseguenze negative per tutta questa vicenda non è di Cecilia Sala, che anzi era impegnata a svolgere un’attività di alto valore civico per la nostra comunità.
Ma, siccome chi si impegna a fare di tutto per liberarla non è, come è giusto che sia, un mercenario o un vigilante privato assunto dalla famiglia, ma un rappresentante del popolo italiano, di tutte le azioni fatte per riportare Sala a casa noi siamo co-autori, in un certo senso. Ed è parte del nostro diritto-dovere civico essere informati e giudicare, quanto prima possibile, quanto più possibile.
Meloni ha ovviamente pagato un tributo a Trump, come si vede chiaramente da certi elementi un po’ ridicoli: pare che i due, dopo cena, abbiano guardato un documentario. Una specie di coppia di mezza età, cena e tv? Ma anche se questo tributo fosse fruttuoso, come è sperabile, rimarrebbe una evidente sgrammaticatura, quella di un primo ministro che risponde a un ricatto in maniera egualmente personalistica.
È stato chiarito che, al contrario di Sala, Mohammad Abedini Najafabadi ha un trattamento che rispetta i suoi diritti, per come stabiliti nel diritto internazionale, nella nostra Costituzione e nella moralità condivisa delle liberal-democrazie. E questo è un bene, perché fa risaltare la differenza fra una democrazia, che non viene meno ai suoi principi neanche quando è sotto minaccia, e il regime tirannico di Teheran.
Di questi principi, però, fa parte anche la trasparenza e il rispetto dell’opinione pubblica. Sarebbe il caso di non venire meno neanche a questi principi.
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