Da jihadista a statista, dalla guerra civile alla leadership politica: un percorso non da poco, che lascai molteplici e legittimi dubbi sulla sincerità, e ancor più sulla effettiva fattibilità ideologica e politica, di chi pretenda di percorrerlo. Eppure, il nuovo leader della nuova Siria post-Assad, Abu Mohammed al-Jolani – al secolo Ahmad al-Shara – cerca proprio di riposizionarsi come volto nuovo della nuova Siria, sforzandosi in tutti i modi di trasmettere al mondo – giustamente preoccupato per i trascorsi suoi e di quelli degli uomini della milizia Hts con i quali ha posto fine in pochi giorni al regime sanguinario di Bashar Al-Assad – un’immagina rassicurante e tollerante. Ma il suo passato e le sue azioni presenti sollevano interrogativi sulla sincerità del suo cambiamento. Nelle ultime ore, in particolare, la questione dei libri di testo, la mancata stretta di mano alla ministra tedesca, il rinvio delle elezioni di 3 anni – da una parte – gli elogi a papa Francesco e le parole sui cristiani “parte integrante della Siria”, dall’altra, hanno riproposto la domanda: possiamo fidarci di lui? Una domanda su cui si addensano ulteriori ombre dopo filmati circolati in rete, risalenti a dieci anni fa, che mostrano il nuovo ministro della giustizia siriano, Shadi Muhammad al-Waisi, mentre supervisiona l’esecuzione pubblica di due donne.
Annalena Baerbock e il suo omologo francese Jean-Noel Barrot, esponenti dei due Paesi europei che hanno forse con la Siria i maggiori legami, per tradizione storica e presenza di rifugiati, nei giorni scorsi sono sbarcati a Damasco. Un primo, grande riconoscimento internazionale per la nuova Siria di al-Jolani, la visita dei ministri degli Esteri di Francia e Germania, ma anche un tributo che, ancor prima di poter essere “speso” sullo scenario internazionale, ha già dato il via ad un mare di polemiche. Accogliendo i due ministri arrivati su mandato dell’Unione europea, infatti, il leader siriano ha stretto la mano solo al ministro di Parigi, e non alla sua omologa tedesca. Il leader di HTS, infatti, è sembrato prima stendere istintivamente la mano alla Barrot, per poi subito ritirarla e appoggiarla sul petto, rapidamente, all’altezza del cuore. Un gesto che non è certo passato inosservato e che ha subito accesso un campanello d’allarme su quello che resta forse il principale motivo di apprensione dell’Occidente: la condizione delle donne nella nuova Siria. Il gesto di Al-Jolani, in realtà è perfettamente inseribile nella “etichetta” islamica – e non soltanto quella praticata dai fondamentalisti – nei confronti della donna, che prevede appunto che non si tenda mai la mano ad una donna musulmana per non metterla in imbarazzo, in quanto il semplice gesto è considerato sconveniente. Ma, ripetiamolo, si tratta di una forma di educazione, e non di uno “sgarbo” paragonabile, per esempio, a quello ormai famoso del presidente turco Erdogan, passato alla storia con il cosiddetto “sofagate”, quando lasciò volutamente in piedi la presidente della Commissione europea, Ursula von der Layen. “È stata una mossa calcolata,” ha dichiarato un diplomatico europeo che ha seguito l’incontro. “Non voleva offendere la Germania, ma allo stesso tempo doveva mantenere il sostegno dei suoi seguaci più conservatori”, “Non si trattava solo di una questione culturale, era un messaggio duplice: mostrare rispetto verso i valori conservatori della sua base, ma allo stesso tempo mantenere una parvenza di dialogo con l’Occidente”. Comunque si voglia leggere il gesto, resta il fatto che, con un passato che include la guida di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), gruppo con radici in al-Qaeda, e un presente fatto di promesse di riforme e dialogo, Al Jolani resta forse uno dei personaggi più controversi del panorama mediorientale contemporaneo.
Nato nel 1981 nella provincia di Daraa, in Siria, è emerso come leader durante la guerra civile siriana: il suo passato è segnato da conflitti e violazioni, ma il suo presente si presenta come un enigma. Negli ultimi anni, Al Jolani ha intrapreso una trasformazione radicale, cercando di rimuovere l’etichetta di estremista e riposizionarsi come leader politico moderato e pragmatico. Tuttavia, questa metamorfosi solleva domande cruciali: possiamo fidarci di lui? Le sue azioni e dichiarazioni sono segnali autentici di cambiamento o una strategia per consolidare il potere? Il nuovo leader siriano ha dichiarato la separazione del suo gruppo dall’organizzazione terroristica al-Qaeda fin dal 2016, un passo visto da molti come una mossa tattica per ottenere legittimità internazionale. Durante il periodo di massimo controllo di Hts, sotto la sua guida, conquista il controllo di Idlib, imponendo una rigida interpretazione della legge islamica. Le accuse di abusi abbondano: esecuzioni pubbliche, repressione delle minoranze religiose, intimidazioni ai giornalisti e violazioni dei diritti delle donne. Al Jolani impone una rigida interpretazione della legge islamica nelle aree sotto la sua giurisdizione, affrontando accuse di esecuzioni sommarie, repressioni e violazioni dei diritti umani, e per questo motivo i governi occidentali, inclusi gli Stati Uniti, hanno continuato a considerarlo un terrorista, nonostante i tentativi di riposizionarsi come leader politico: “Lui ha un passato da cui non può sfuggire” ha scritto di recente Lina Khatib, direttrice del Middle East Institute alla SOAS University di Londra, “ma la vera domanda è se il cambiamento che proclama sia reale o solo opportunistico”.
Uno degli aspetti più discussi del piano politico di Al Jolani è il rinvio delle elezioni siriane di tre anni, con la promessa di una nuova Costituzione. Mentre alcuni vedono in questa mossa un segno di stabilità, altri temono che possa essere un mezzo per consolidare il suo potere. “Il rischio è che stia usando queste riforme come una copertura per mantenere il controllo a lungo termine,” ha commentato Charles Lister, esperto di Siria presso il Middle East Institute. Le preoccupazioni aumentano anche a causa della mancanza di trasparenza nel processo decisionale. Finora, le promesse di Al Jolani rimangono sulla carta, mentre la realtà sul terreno è ancora caratterizzata da repressioni e limitazioni delle libertà civili. In dichiarazioni recenti, Al Jolani ha elogiato Papa Francesco e descritto i cristiani come una “parte integrante della Siria”. Parole che hanno sorpreso molti, considerando il passato del suo gruppo, accusato di persecuzioni contro le minoranze religiose. Parole che il vescovo Georges Abou Khazen, leader cattolico di Aleppo, ha accolto con cautela: “Le parole sono importanti, ma servono azioni concrete per ricostruire la fiducia,” ha detto in un’intervista al quotidiano Avvenire. Le reazioni internazionali a questa trasformazione sono state da subito contrastanti. La Germania e la Francia, come si è visto dalla mossa “diplomatica” delle ultime ore, sembrano disposte a esplorare una via verso il dialogo, mentre gli Stati Uniti mantengono un atteggiamento più scettico. “La comunità internazionale è divisa,” spiega Fabrice Balanche, esperto di geopolitica del Medio Oriente. “Da un lato c’è il desiderio di stabilizzare la Siria, dall’altro la paura di legittimare un leader con un passato così controverso”.
A preoccupare poi tutto l’Occidente, la faccenda dei “Nuovi” libri di testo diffusi nel Paese. Se da una parte sono scomparse le glorificazioni ad Assad, infatti, dai programmi scolastici sono stati cancellati anche il capitolo “sull’origine e l’evoluzione della vita”. Non saranno ammesse poesie d’amore e sulle donne, mentre chi muore per la patria o “per amore di Dio” verrà considerato “martire”. Un modo per cancellare definitivamente il passato regime, dicono Al Jolani e i suoi, una preoccupante virata verso l’islam più intransigente, temono invece in molti.
Ma nel complesso mosaico geopolitico della Siria, nessuna mossa di Ahmad al-Shara avviene in un vuoto. La sua ascesa e la sua trasformazione non possono essere comprese senza esaminare i rapporti con le potenze regionali, in particolare Turchia, Russia, Iran e i paesi del Golfo. Innanzitutto la Turchia, che ha svolto un ruolo centrale nel nord della Siria attraverso operazioni militari e il sostegno a gruppi di opposizione, ha una relazione complessa con Al Jolani. Ankara ha visto in Hts un attore utile per mantenere il controllo dell’area di Idlib, considerata una zona cuscinetto contro le forze curde. “Per la Turchia, Al Jolani è un male necessario,” afferma Galip Dalay, senior fellow al the Middle East Council on Global Affairs ed esperto di geopolitica turca. “Mantenere una certa stabilità a Idlib serve agli interessi di sicurezza nazionale di Ankara, anche se ciò significa tollerare la presenza di un leader come Al Jolani.” Alcuni osservatori vedono nella collaborazione tra Al Jolani e la Turchia una delle ragioni principali della sua recente moderazione. Attraverso incontri discreti e un flusso costante di risorse, la Turchia avrebbe incoraggiato Al Jolani a riposizionarsi politicamente, presentandolo come un leader capace di governare Idlib in modo più accettabile per la comunità internazionale.
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