Piersanti Mattarella, l’altra verità. Dopo 45 anni il caso non è chiuso

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 




Palermo, il luogo dell’attentato a Piersanti Mattarella – Fotogramma

Prestito personale

Delibera veloce

 

L’omicidio di Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio del 1980, poco prima delle 13, a Palermo, mentre il presidente della Regione siciliana era in procinto con la famiglia di recarsi alla Messa dell’Epifania, «fu un delitto “Moro bis”». Non un delitto di mafia – non di “sola mafia”, almeno – ma un delitto politico avvenuto con il “permesso” di Cosa nostra. Una tesi, mai acclarata, anzi scartata dalla verità processuale, che ebbe però un tenace e convinto assertore in Giovanni Falcone al quale non fu dato il tempo di approfondirla. Ci torna sopra, con nuovi inquietanti particolari, un film documentario, Magma. Mattarella, il delitto perfetto, che verrà presentato in anteprima a Roma, giovedì, nella ricorrenza dei 45 anni dal fatto.

Non è una novità, Falcone ne aveva parlato anche alla Commissione parlamentare antimafia, ma il film (diretto da Giorgia Furlan e prodotto da Mauro Parissone per 42esimo parallelo, produttori esecutivi Ferruccio de Bortoli e Antonio Campo Dall’Orto) si avvale di nuove testimonianze, fra cui spicca quella di Pino Arlacchi, l’investigatore, in vita, certamente più vicino a Falcone, che riferisce nei dettagli le sue riflessioni confidenziali, aggiornate fino all’ultimo, anche alla luce dell’attentato all’Addaura al quale il magistrato era scampato. «Era convinto di essere a un passo dalla verità sull’omicidio Mattarella», rivela Arlacchi. Un filo rosso (meglio sarebbe definirlo nero) a unire l’assassinio a Palermo del presidente della Regione e la strage di Bologna (che sarebbe avvenuta 8 mesi dopo), tenendo insieme alcuni delitti anomali della mafia, dall’assassinio dei guidici Terranova e Chinnici, a delitti Reina e La Torre, rispettivamente segretario provinciale della Dc e parlamentare del Pci. Delitti “di sistema”, che la mafia da sola non avrebbe potuto pensare, e che il mondo dell’eversione non avrebbe mai potuto porre in essere senza l’avallo della mafia.

La tesi fu avanzata per la prima volta (sotto forma di vero e proprio atto d’accusa rivolto alla classe politica presente al gran completo ai funerali, nella cattedrale, con il presidente Pertini in prima fila) dall’allora arcivescovo di Palermo, cardinale Salvatore Pappalardo, che parlò di «forze occulte» escludendo potesse parlarsi solo di mafia. Ma la pista fu perseguita con ritardo, dopo che le indagini sulla mafia non avevano portato a niente. E fu proprio Falcone a riprenderla «dopo depistaggi e omissioni» varie, di cui parla Arlacchi. “Moro-bis” perché Piersanti Mattarella era considerato il successore naturale, a un anno e mezzo dalla morte dello statista, e perché pochi delitti come questo vedono entrare in gioco – avvolti nella nebbia – figure di primo piano a interagire in modo misterioso. Fra i particolari inquietanti citati nel film lo strano passaggio per Palermo – che attirò l’attenzione di Falcone – del banchiere Michele Sindona, prima di recarsi negli Usa, sparendo nel nulla. Ma c’è un particolare ancora più inquietante rivelato nel film da Maria Grazia Trizzino, capo segreteria di Mattarella. E anche questo vuol dire qualcosa, se solo lo accostiamo al fatto che in quegli stessi anni, una donna molto legata politicamente a Moro (Tina Anselmi) fu la prima donna ministro, che poi porterà alla luce, alla guida della Commissione sulla Loggia P2 gli innumerevoli legami fra il piano Gladio, l’eversione nera, alcune organizzazioni mafiose, in Sicilia come a Roma e la stessa loggia massonica. Ebbene, la signora Trizzino nel film parla di una confidenza che Piersanti Mattarella le chiese di non rivelare a nessuno, dopo un viaggio a Roma per un colloquio con il ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Il contenuto dello stesso non le fu mai rivelato, né a lei né ad altri, ma le fu solo chiesto dal presidente – nell’ipotesi che le fosse accaduto «qualcosa» – di ricollegarlo a questo suo colloquio avuto a Roma. Che, evidentemente, lungi dal fornirgli rassicurazioni, dovette invece preoccuparlo ulteriormente, e probabilmente lui vi colse come un invito più o meno esplicito a farsi da parte, per evitare gravi rischi.

A chiamare in causa Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini per l’omicidio Mattarella, seguendo la pista Falcone, fu la stessa vedova Irma Chiazzese, che credette di riconoscere in Fioravanti l’autore del delitto, da lui fissato, in quei tragici istanti, prima che infliggesse il colpo mortale definitivo. Nelle indagini è poi subentrata la testimonianza del fratello Cristiano Fioravanti, che ha prima più volte accusato Giusva di avergli rivelato le sue responsabilità nell’omicidio, poi – senza una vera e propria ritrattazione – non ha mai voluto mettere agli atti del processo le sue dichiarazioni, per ragioni personali e familiari.

Tanti altri particolari, fra cui la targa di un’auto del commando che sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo proprio dell’organizzazione terroristica neofascista dei Nar.

Ma, niente. Sulla pista è caduta la pietra tombale dell’assoluzione in via definitiva per Fioravanti e Cavallini, che però – sempre seguendo il ragionamento di Falcone – lascia in piedi un dilemma inquietante. Fioravanti, accusato con sentenza passata in giudicato per la strage di Bologna per la quale continua a professarsi innocente, o è estrano anche ai fatti di Bologna, come taluni sostengono credendo alla sua versione, nonostante le sentenze, oppure c’è una parte del suo operato, all’interno dei Nar che continua a tenere nascosta, al di là della sua condotta in carcere, nell’espletamento della pena, da tutti giudicata esemplare.

La novità dell’ultim’ora è che La Procura di Palermo torna a indagare sull’omicidio del presidente della Regione siciliana,ma la notizia, pubblicata da Repubblica che ci sarebbero due nuovi indagati, nelle fila dei clan siciliani, non è stata confermata dagli inquirenti.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Sono stati condannati per il delitto Mattarella i soli componenti della Commissione di Cosa nostra che deliberò l’agguato. Ma restano avvolti nel mistero gli autori materiali, nonostante abbiano agito a volto scoperto, e con loro il vero movente, del delitto “Moro-bis”, nelle parole di Falcone.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link