Dal Lussemburgo alle isole del mistero: ecco chi sono (e dove) gli italiani nei paradisi fiscali europei – Torino Cronaca

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Quando, qualche anno fa, era esploso il caso dei Panama Papers, i documenti custoditi nello studio legale Mossack Fonseca a Panama, appunto, erano venuti fuori nomi illustri con affari o patrimoni nei paradisi fiscali: dalla Barilla a Barbara D’Urso e Carlo Verdone, da Donna Marella Agnelli (vedova dell’avvocato, con un patrimonio di circa 5 miliardi) a Valentino Rossi. E il Fisco e gli inquirenti italiani avevano immediatamente lanciato la caccia alle casseforti nascoste. Oggi, la Procura di Torino cerca prove di patrimoni sottratti a tassazione dai fratelli Elkann all’estero, fra società in Liechtenstein e trust alle Isole Vergini Britanniche – dove tra l’altro soggiorna un altro torinese illustre: il miliardario ex chirurgo plastico Gianfranco Devasini, re delle criptovalute -, ma i veri paradisi fiscali, inaspettati, sono a due passi da noi. Ecco dove (e chi ci tiene soldi e aziende).

IL RAPPORTO WORLD INEQUALITY LAB
Proprio l’Europa, infatti, nasconde al suo interno alcuni dei più noti paradisi fiscali del mondo. Secondo uno studio del World Inequality Lab, i primi cinque paradisi fiscali globali includono il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo, il Liechtenstein e le Channel Islands, con le Bermuda come unico rappresentante non europeo. Questi luoghi, pur avendo una popolazione esigua, vantano redditi pro capite ineguagliabili, attirando ricchi individui e multinazionali in cerca di sollievo fiscale.

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IL FASCINO DEI PARADISI FISCALI EUROPEI
Monaco e Lussemburgo sono tra le destinazioni preferite per gli italiani che cercano di sfuggire al fisco. Circa 8.000 connazionali hanno trasferito la loro residenza a Montecarlo, attratti dalle tasse zero su reddito e immobili. Tra questi, figurano imprenditori, sportivi e celebrità. Tra i nomi più noti, Jannik Sinner e il collega tennista Matteo Berrettini. Ma anche il cantautore torinese Umberto Tozzi. E naturalmente Flavio Briatore, da poco tornato anche in Formula 1.

In Lussemburgo, invece,  operano sei banche italiane:  Unicredit, Mediobanca, Bpm, Intesa Sanpaolo, Fideuram e Credem. Vi sono inoltre una cinquantina di fondi d’investimento e numerose multinazionali, sia italiane che straniere, che sfruttano le agevolazioni fiscali offerte. Tra le varie società “italiane” in Lussemburgo, la Ferrero International SA, ossia proprio la holding che controlla l’impero dolciario della Nutella e di Giovanni Ferrero, con oltre 40 miliardi di euro l’uomo più ricco d’Italia (ma il family office che gestisce il suo patrimonio, la Fedesa amministrata dal torinese Guido Giannotta, si trova nel Principato di Monaco). Ma negli elenchi sulla presenza italiana in Lussemburgo (https://www.infomercatiesteri.it/presenza_italiana.php?id_paesi=76#) c’è anche la Fiat Chrysler Finance, società ante Stellantis. E la Mondo Luxembourg SA che controlla la multinazionale di Gallo d’Alba. E la Rizzani d’Eccher, giganti italiani delle costruzioni.

L’ARCIPELAGO DEL MISTERO
Ciò che ai più non dirà molto è il nome di un arcipelago minuscolo ma ricco: le Channels Island. Si tratta di otto isole nel Canale della Manica e appartenenti alla Corona Britannica ma non al Regno Unito. Sono infatti ancora un resto dell’antico Ducato di Normandia. Una nona isola, disabitata, appartiene invece alla Francia. La popolazione è di 160mila abitanti, che hanno un passaporto britannico. Economicamente, il loro status offre una situazione particolare dal punto di vista fiscale, anche se queste isole non sono ancora una destinazione privilegiata. Nel solo 2022 la loro crescita economica è stata di 11 miliardi di dollari, con un Pil pro capite di 64mila.

PATRIMONI IN FUGA: UN DANNO PER L’ITALIA
Ogni anno, secondo il rapporto della Cgia di Mestre, circa 10 miliardi di euro sfuggono all’erario italiano a causa delle manovre elusive di super-ricchi e multinazionali. Queste ultime, pur beneficiando delle infrastrutture e dei servizi italiani – dalla giustizia, alla previdenza sociale alla sanità e alle reti informatiche -, spesso non contribuiscono adeguatamente al fisco. Le agevolazioni pubbliche e le indennità erogate dall’INPS – per esempio quando rilevano aziende in difficoltà o per cui ci sono piani incentivati di riorganizzazione e rilancio – sono solo alcuni dei benefici di cui godono, senza un corrispettivo fiscale adeguato.

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IL RUOLO DELLE MULTINAZIONALI
Le multinazionali, anche quelle “italiane” come la stessa Ferrero o Stellantis, con 3,5 milioni di occupati in Italia per circa 18mila fra aziende e controllate, rappresentano il 20% del totale degli addetti – il 25% in Piemonte – e in regioni come Lombardia e Lazio, la loro incidenza sul fatturato regionale supera il 50%. Tuttavia, il loro contributo fiscale è spesso sproporzionato rispetto ai profitti generati. Nel 2022, le prime 25 multinazionali del web, per esempio, stando ai dati dell’Area Studi di Mediobanca hanno fatturato 9,3 miliardi di euro in Italia, ma hanno versato solo 206 milioni di euro in tasse. A livello globale, considerando ossia tutte le multinazionali, il loro fatturato in Italia è 1.975 miliardi di euro, a fronte di un totale del nostro sistema produttivo di 4.322 miliardi di euro.

LA GLOBAL MINIMUM TAX: UNA SOLUZIONE?
Dal 2024, la Global Minimum Tax (GMT) mira a contrastare le politiche fiscali compiacenti. Tuttavia, il gettito previsto è modesto: si stima che nel 2025 l’erario italiano incasserà solo 381,3 milioni di euro, che diverranno 432,5 nel 2027. La GMT coinvolge 19 paesi UE, con alcune eccezioni come Estonia e Malta, che hanno ottenuto proroghe fino al 2030. Nonostante ciò, le grandi holding possono ancora spostare utili in paesi membri con tassazioni favorevoli.



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