Rischio climatico: 73mila imprese esposte secondo l’analisi Cerved

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Nessuna economia, men che meno quella del nostro paese, può permettersi di trascurare l’impatto del rischio climatico sull’attività delle imprese. Le trasformazioni in corso a livello ambientale e sociale, sono profondamente condizionate dai tanti fenomeni metereologici estremi e dai profondi cambiamenti a livello di prodotti, di processi di produzione, di attitudini al consumo e stanno impattando in modo sempre più rilevante sul panorama competitivo di tantissime imprese e del sistema economico nel suo complesso.

73mila imprese esposte al rischio climatico

Un contributo importante per comprendere gli impatti di questa trasformazione è rappresentato dall’analisi Cerved sulle imprese più esposte al rischio climatico nel nostro paese.

In numeri assoluti la dimensione di questo impatto è di indiscutibilmente importante: sono infatti 73mila le imprese più esposte ovvero quasi il 10% delle 750mila società di capitali che sono state analizzate sulla base dei dati relativi all’anno 2023.

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I settori più esposti sono quelli che rientrano o sono più vicini alla categoria dell’Hard to Abate come l’oil&gas, che nello specifico comprende sia le realtà attive nell’estrazione e nella produzione sia quelle che si occupano di raffinazione e di commercio, il mondo delle realtà attive nella produzione di energia, l’industria del cemento, la siderurgia con la produzione di ferro e acciaio, e poi i comparti industriali impegnati nella produzione di materiali da costruzione. Per ragioni naturalmente diverse l’esposizione ai rischi climatici è molto importante anche per le imprese del settore agricolo, per il mondo dell’automotive, per la chimica, per tutto il sistema moda, per i trasporti e per la logistica.

I costi della decarbonizzazione e della riduzione del rischio climatico

Lo studio Cerved fornisce non solo supporto nella identificazione dei rischi e delle misure per attuare forme di protezione ma anche prospettive per pianificare uno sviluppo industriale sostenibile. In questo senso l’analisi mostra come le aziende più esposte ai rischi climatici presentino debiti per 207 miliardi di euro e per attuare i processi di decarbonizzazione necessari al raggiungimento degli obiettivi di zero emission entro il 2050 avranno la necessità di pianificare una serie di investimenti aggiuntivi per un valore complessivo di 226 miliardi di euro. Si tratta, come appare evidente di un piano di trasformazione industriale con una portata e con dimensioni tali da cambiare il panorama economico.

L’analisi individua poi nello stesso tempo come una parte di queste aziende, pari a circa 15.000 realtà, potrebbero essere nella condizione di ffrontare questa trasformazione, e dunque ridurre la propria esposizione ai rischi climatici, senza dover mettere in campo troppi rischi sul piano finanziario, ovvero con un indebitamento, calcolato – per queste imprese -, in 46 miliardi di euro.

Rischio climatico: cosa si intende e come è composto

Prima di analizzare più in dettaglio altre evidenze dello studio è utile sottolineare che nel concetto di rischio climatico rientrano tutti gli eventi che possono essere legati direttamente e indirettamente al cambiamento climatico e che possono causare danni all’ambiente, all’economia e alla società.

Il rischio climatico è certamente un fenomeno complesso e in evoluzione, comprende naturalmente i rischi legati all’aumento delle temperature globali, gli eventi metereologici estremi che non possono più essere considerati come eventi eccezionali, rientrano poi in questo ambito anche i rischi legati alla perdita di biodiversità, all’innalzamento del livello dei mari, alla erosione dei suoli, alla siccità.

Rischio climatico: l'esposizione delle imprese italiane nell'analisi di CERVED
Fonte: CERVED

Risk management: rischio climatico fisico e rischio di transizione

Relativamente alle componenti di risk management si considerano due grandi categorie di rischio climatico:

  • il rischio climatico fisico associato ai rischi fisici, ovvero a quelli che cittadini e imprese subiscono direttamente in termini di danni ad abitazioni, infrastrutture
  • il rischio di transizione, concetto questo associato alle conseguenze determinate dai cambiamenti che cittadini e imprese devono affrontare nei percorsi di transizione. Si tratta in questa seconda categoria dei rischi collegati ai cambiamenti nelle modalità di produzione, nelle scelte d’acquisto e nei comportamenti nel momento in cui si adottano modelli basati sui principi della decarbonizzazione.

Entrambi i casi, rischio climatico fisico e rischio climatico di transizione, si affrontano con azioni di mitigazione e di adattamento. In generale, in ogni caso la gestione del rischio climatico richiede un approccio integrato con una forte collaborazione tra diversi attori, sia tra imprese private, ad esempio nell’ambito di catene di fornitura sia in chiave di collaborazione tra mondo pubblico e privato.

Il rischio climatico: servono strategia e pianificazione

Il report Cerved considera entrambi i rischi. In particolare, valuta l’esposizione alle minacce di tipo ambientale e comprende una analisi del livello del potenziale impatto sull’ambiente collegate alle attività e alle operations di un determinato settore a prescindere dalle eventuali azioni di mitigazione. Nello stesso tempo lo studio considera i possibili rischi di transizione con le ricadute in termini di eventuali perdite economico-finanziarie che possono essere provocate dalle azioni in termini di trasformazione industriale per attuare un’economia a basse emissioni.

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L’andamento del rischio di credito è a sua volta uno dei fattori alla base della ricerca e il rapporto tra le posizioni creditizie in sofferenza nel corso dell’anno e lo stock di impieghi a inizio periodo (che determinano i tassi di decadimento) rivelano un aumento dei fattori di rischio nel periodo 2022-2024. In termini previsionali sul periodo 2025-2026 Cerved indica un generale assestamento senza differenze a livello di settori produttivi, favorito dalla discesa dei tassi di interesse.

Rischio climatico: l'esposizione delle imprese italiane nell'analisi di CERVED
Fonte: CERVED

I costi della trasformazione sostenibile per le imprese più esposte

Per alcune tipologie di imprese la riduzione dell’esposizione al rischio climatico è strettamente collegata alla necessità di affrontare e accelerare i processi di trasformazione ecologica. Il raggiungimento di obiettivi di zero emissioni entro il 2050 impone una serie di investimenti per la decarbonizzazione. Lo studio Cerved calcola in 226 miliardi i costi che queste aziende dovranno sostenere con alcune differenze importanti in funzione del settore di appartenenza.

Per le imprese del mondo oil&gas le previsioni di investimento ammontano a 122,1 miliardi di euro di cui 58,6 miliardi per le attività legate a exploration&production e 63,5 miliardi per la componente di refining&marketing. Investimenti che comprendono sia la copertura del rischio climatico legato all’ambiente sia il rischio di transizione.

Il mondo dell’energia dovrà a sua volta impegnarsi in investimenti strategici calcolati in 74,7 miliardi. L’hard to abate è presente con i settori della produzione del cemento che richiedono investimenti calcolati in 4 miliardi, della siderurgia con acciaierie e produzione di ferro e metalli con investimenti calcolati in 7,3 miliardi e della chimica con 1,35 miliardi,  Ci sono poi altri settori fortemente impegnati in processi di transizione come la produzione di materiali da costruzione, dove si calcola un investimento pari a 1,8 miliardi di euro. Gli altri settori esposti al rischio climatico sono quelli dell’agricoltura e delle proteine animali o allevamenti per i quali la transizione ecologica ha un costo previsto in 900 milioni. Per il mondo automotive gli investimenti arrivano a 590 milioni, per trasporti e logistica si arriva a qualcosa come 13 miliardi e per il sistema moda la cifra prevista arriva a 350 milioni.

Il rischio climatico e il rischio di indebitamento per affrontare la transizione ecologica

L’analisi Cerved ha voluto poi individuare le imprese caratterizzate da un rapporto debiti finanziari/EBITDA inferiore o uguale a 2 e per queste imprese si è voluto calcolare quanto potrebbero ancora indebitarsi senza perdere la stabilità finanziaria. Ne è uscito un “gruppo” di 15.000 realtà che rappresentano il 21,4% del totale e che sono nella condizione di aumentare la loro esposizione debitoria per un volume di 46 miliardi di euro senza correre il rischio di uscire dalla soglia di sicurezza.

Interessante osservare dove si collocano queste aziende. La maggior parte rientra nel comparto trasporti e logistica per un totale di 5.379 aziende che possono sopportare un volume di indebitamento aggiuntivo pari a 6,5 miliardi. Un altro gruppo importante è nell’agricoltura dove si trovano 2.097 aziende che potrebbero sostenere costi per 1,3 miliardi. Nel sistema moda si trovano poi 1.911 aziende che potrebbero muoversi sulla soglia di 4 miliardi di debito. Arriva a 2,7 miliardi il debito che potrebbe essere gestito dalle 1.265 aziende nell’ambito dei materiali da costruzione. Nell’oil&gas sono 1.090 le imprese nell’ambito refining&marketing per le quali l’impegno in termini di costi sostenibili è calcolato in 2.8 miliardi, decisamente più limitato, a 15, il numero delle imprese oil&gas-exploration&production con un impegno economico pari a 980 milioni. A completamento del quadro sono 996 le imprese del mondo chimico per le quali la sostenibilità del debito è calcolata in 996 milioni di euro, 987 le imprese nella power generation con 6 miliardi, 761 nell’automotive con 8,1 miliardi, 528 aziende poi nel settore siderurgico tra ferro e acciaio con 4,9 miliardi e 495 aziende nella produzione di cemento dove il debito può arrivare a 1,6 miliardi.

Carlo Purassanta, Presidente Esecutivo di Cerved ha osservato in una nota dell’azienda come il “contesto globale sia segnato dal crescente rischio climatico e le aziende sono chiamate ad affrontare sfide senza precedenti. Per raggiungere l’obiettivo del net zero entro il 2050, e sostenere gli ingenti investimenti in tecnologie a basse emissioni, sono necessarie strategia e pianificazione. Solo un’azienda su cinque è oggi in grado di coniugare sostenibilità e competitività, mantenendo la propria stabilità finanziaria”.

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