Morti sul lavoro, se già riparte l’inaccettabile conta

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di
Giusi Fasano

Francesco Stella, morto il 3 gennaio 2025, è il primo di una lista che già sappiamo sarà lunga. Ma la sicurezza sul luogo di lavoro va pretesa: non possiamo fare l’abitudine a una strage quasi sempre evitabile

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Come la parola «pace» in questo tempo di guerra in Medio Oriente: la più invocata, la meno credibile.
Così la parola «sicurezza», in tempo di pace e di lavoro, in Italia: la più ostentata, la meno affidabile.

Giorno 3 dell’anno 2025; l’ultimo di cui Francesco Stella, 38 anni, ha visto la luce. Francesco è morto mentre lavorava, a Lamezia Terme, in Calabria. Precipitato da un’impalcatura alta sei metri.




















































È il primo infortunio mortale del nuovo anno. Il primo nome di una lista che — ne siamo già tristemente certi — sarà lunga, lunghissima. Ce lo ripetiamo ogni anno, a ogni strage: basta con i morti sul lavoro, inaccettabile la media di tre lavoratori che perdono la vita ogni giorno; servono più controlli; ci vuole più sicurezza…

Ma non ha quasi più senso nemmeno indignarsi perché ogni frase, alla fine, sa di retorica, di qualcosa già detto e ridetto senza che le parole abbiano mai segnato la strada per un miglioramento. Si finisce col discutere dei numeri: non sono tre al giorno, sono due, poi ci sono i morti «in itinere», poi per leggere i dati va considerata la statistica pre-covid, post-covid…
Ma il punto è: se anche fosse una vittima al giorno, anche una alla settimana, sarebbe tutto comunque intollerabile. Per il numero, certo. Ma anche perché nel 99,9 per cento dei casi gli infortuni si possono evitare, le vite si possono risparmiare.

Capiremo dall’inchiesta la dinamica della morte di Francesco. Ma la logica ci dice che se è precipitato non era agganciato a nulla oppure era agganciato e qualcosa nel sistema di sicurezza non ha funzionato, e quindi qualcuno non ha fatto quel che doveva per garantire che lui salisse al sicuro.

La sicurezza sul lavoro si deve pretendere, dagli altri e da se stessi. Sì, anche da se stessi, anche quando il responsabile di turno non ti obbliga a osservarla, come invece dovrebbe fare. Si deve pretendere. Sempre. Non esiste l’«opzione B» per accorciare i tempi o perché «tanto non è mai successo niente», non salgo su una impalcatura se non sono imbragato, e non importa se l’imbragatura richiede tempo o se limita i movimenti. Devo pretenderla. E prima di me deve pretenderla la persona responsabile – guarda un po’- proprio della sicurezza.

Siamo il Paese di Suviana, di Casteldaccia, di Brandizzo, dell’Esselunga di Firenze, di Calenzano…nomi che abbiamo imparato ad associare a stragi. E poi ci sono i singoli morti. I dati istituzionali del 2024 non li abbiamo ancora ma, ancora una volta: i morti sono troppi, anche se fossero la metà del 2023.
Al momento disponiamo soltanto del numero dei morti contato dall’«Osservatorio nazionale di Bologna sui morti sul lavoro», un centro di monitoraggio non proprio scientifico nel metodo di raccolta dati. Insomma: non è certo l’Istat in quanto ad affidabilità ma ci da lo stesso un’idea di massima dell’entità della cifra.

L’Osservatorio ne conta in tutto il 2024 1481, che sarebbero 4 lavoratori ogni giorno. Ma il numero comprenderebbe le cosiddette morti «in itinere», cioè nello spostamento da e per il luogo di lavoro. Senza quel conteggio – e lo dice sempre l’osservatorio, quindi prendiamo tutto con beneficio di inventario — i morti sarebbero 1055. Cioè 2,89 al giorno. Una enormità.

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E, ripetiamo: se anche questo numero fosse del tutto inaffidabile e si parlasse – ipotizziamo – della metà: non sarebbe comunque l’ora di «agire, con responsabilità e severità» come ha chiesto il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno?

3 gennaio 2025

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