ROVIGO – Una buona notizia e tre cattive. Quella buona è che i redditi in Polesine sono aumentati del 3,48% fra 2022 e 2023. Fin qui tutto bene. Ma c’è un ma. Anzi, ce ne sono tre. Il primo è che nello stesso arco di tempo l’inflazione è aumentata quasi del doppio, il 5,7%, quindi i maggiori guadagni sono stati inferiori in termini reali rispetto all’aumento della spesa per la vita di tutti i giorni.
Il secondo “ma” è che i redditi polesani restano ancora i più bassi fra tutte le province del veneto e che l’aumento del 3,48% è stato inferiore all’aumento medio regionale, pari al 4,43%.
Detto in numeri il reddito medio in Polesine è passato da 21.515 a 22.242 euro, mentre il reddito medio veneto da 23.262 a 24.285. Oltre duemila euro di differenza.
Il reddito medio più alto è in provincia di Padova, 25.801 euro, con un aumento del 4,58%, il secondo più basso dopo quello di Rovigo è a Verona, con 22.987, comunque in aumento del 6,35%. L’aumento percentuale più basso è stato a Vicenza, il 2,54%, ma i redditi vicentini si attestano comunque su una media di 25.727.
E la terza brutta notizia? Che l’Iperf mediamente pagata dai contribuenti polesani ha avuto un incremento quasi triplo rispetto ai redditi, con una crescita dell’8,39%, passando da 3.020 a 3.273. Fortunatamente è una crescita leggermente al di sotto della media regionale, pari al 10,41%, ed è più bassa dell’Irpef media a livello regionale, che è pari a 3.772, comunque decisamente più vicina rispetto alla disparità reddituale.
A fornire questa analisi su guadagni e imposte è uno studio della Uil Veneto commissionato al Csse, il Centro Studi Sociali ed Economici, su dati del Caf Uil Veneto, dal quale emerge che il reddito medio in Veneto è in aumento del 4,43% tra il 2022 e il 2023, ma inflazione e tassazione ne hanno annullato i benefici e i veneti si trovano paradossalmente più poveri.
“L’analisi – spiega il segretario generale Roberto Toigo – è svolta su chi ha fatto la dichiarazione dei redditi, circa 60mila persone, agli sportelli del Caf Uil Veneto in tutta la regione. Il reddito medio è di 24.285 euro nel 2023, in aumento rispetto ai 23.262 del 2022. L’aumento è di circa il 4,5%, ma è completamente annullato dall’inflazione che, secondo l’Istat, nello stesso anno si è attestata al 5,7%. E va ricordato che nel 2022 si era raggiunto il picco dell’8,1%”.
C’è poi un altro valutato dal Csse: fino al 2023 c’erano due scaglioni Irpef, 23% sui redditi fino a 15.000 euro, 25% sui redditi compresi tra 15.000 e 28.000 euro. Entrambi i redditi medi registrati al Caf Uil Veneto appartengono a questi scaglioni. Ad un piccolo aumento del reddito sarebbe dovuto corrispondere un analogo e proporzionato aumento dell’Irpef pagata.
Invece, rimarca la Uil “la tassazione Irpef è salita del 10,41%, passando in media da oltre 3.400 euro a quasi 3.800 euro a contribuente. In una fase di calo dei tassi di interesse, che nello scorso biennio hanno messo in difficoltà chi aveva mutui e prestiti, e di una certa stabilità della bolletta energetica, che è comunque ancora altissima, e con una addizionale Irpef che la Regione Veneto mantiene da anni fissa al minimo previsto per legge, l’1,23%, c’è solo una spiegazione a questa crescita della tassazione: si tratta inevitabilmente di addizionali comunali”.
La considerazione di Toigo è che “la non applicazione di una Irpef regionale non vuol dire esattamente che non aumentano le tasse per i veneti. I Comuni, che soffrono un costante calo di risorse e trasferimenti, sono costretti ad applicare una tassazione locale, senza la quale diventa impossibile garantire i servizi. Si crea così però una situazione a macchia di leopardo, che penalizza in generale tutti i contribuenti ma in particolare quelli dei comuni più piccoli, che fanno fatica a dare le risposte attese dai cittadini”.
Il segretario generale della Uil Veneto conclude notando come “certamente il tema da affrontare è quello di una eccessiva tassazione dei redditi. Non basta il mantenimento del cuneo fiscale ed occorrono politiche sulla contrattazione di secondo livello e sulla detassazione degli aumenti contrattuali. E una reale lotta all’evasione, visto che a pagare i servizi continuano a essere a carico di dipendenti e pensionati. Il contesto internazionale non aiuta: con la Germania in recessione, con la Francia in crisi, con le probabili politiche protezionistiche che adotteranno gli Stati Uniti, è necessario trovare una nuova via per una crescita giusta, collaborativa, in cui a farla da padrona non sia la concorrenza esasperata”.
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