Come liberare Cecilia Sala? L’appiglio sui pasdaran che può guidare le mosse del ministro Nordio su Abedini

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di
Giovanni Bianconi 

Braccio di ferro con l’Iran per la liberazione di Cecilia Sala: c’è l’ipotesi della revoca dell’arresto per l’ingegnere iraniano Abedini, fermato a Milano, per il quale gli Usa chiedono l’estradizione. E c’è un precedente

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Per il governo italiano la prima urgenza è diventata ottenere condizioni decenti e accettabili per Cecilia Sala, prigioniera da due settimane a Teheran senza accuse dalle quali possa difendersi. Perché per risolvere l’altro corno del problema — la reclusione dell’iraniano Mohammad Abedini-Najafabadi, del quale gli Stati Uniti continuano a reclamare l’estradizione — serve tempo: quello che spetta ai giudici e quello necessario alla politica e alla diplomazia per prendere le decisioni conseguenti.
I destini dei due detenuti appaiono ormai inesorabilmente intrecciati, ma in attesa che vengano sciolti i nodi per liberare la giornalista divenuta ostaggio di un intrigo internazionale servono garanzie sulla reciprocità delle condizioni di detenzione. Quelle offerte finora dalle autorità della Repubblica islamica si sono rivelate insufficienti e soprattutto non veritiere.

Reciprocità negata

Il viceministro degli Esteri Vahid Jalalzadeh aveva assicurato il «benessere» della detenuta, ma nelle telefonate che ha potuto fare a casa la reporter ha raccontato tutt’altro. Sul versante opposto, Abedini sta ricevendo un trattamento totalmente diverso. L’ingegnere esperto di droni, accusato dagli Usa di complicità con i terroristi che un anno fa hanno ucciso tre soldati americani in Giordania, ha già cambiato tre penitenziari e soprattutto è stato tolto dalla prigione di Rossano Calabro (dove vengono abitualmente destinati gli islamici inquisiti per reati di questo tipo) e riportato in Lombardia, nel carcere di Opera, come richiesto del consolato iraniano. Ha incontrato più volte il suo avvocato che ha presentato istanza per gli arresti domiciliari, ha parlato con la famiglia in Iran, è dotato di un Ipad (sia pure non connesso a Internet) e ha accesso ai notiziari televisivi. Condizioni imparagonabili con quelle in cui è costretta Cecilia Sala.
Il ministero degli Esteri continuerà a premere sul piano diplomatico per eliminare questa disparità, ma nel frattempo è cominciata la partita giudiziaria sulla detenzione e estradizione di Abedini, che vede in campo altri due protagonisti: i giudici e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Con ruoli distinti e separati, ma entrambi decisivi.




















































Il ruolo dei giudici

La corte d’appello di Milano dovrà decidere prima sulla concessione dei domiciliari e poi sulla consegna del detenuto iraniano che in Italia non ha commesso alcun reato, e si trova in carcere solo su richiesta degli Stati Uniti. Da dove non è ancora arrivata la documentazione con le prove a carico dell’estradando. I magistrati sono indipendenti dal potere politico e faranno le loro scelte sulla base di considerazioni giuridiche, ma se dovessero dire no alla scarcerazione di Abedini in attesa di decidere sull’estradizione, il governo avrebbe comunque la possibilità di revocare l’ordine d’arresto e lasciare che l’iraniano possa tornare a casa. Il codice prevede che la revoca della misura cautelare a fini estradizionali «è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta».
Gli uffici del Guardasigilli, su delega di Nordio, hanno inizialmente chiesto il mantenimento degli arresti, ma in presenza di elementi nuovi il Guardasigilli potrebbe cambiare idea e decidere diversamente. Sbloccando la situazione sul fronte Abedini.

La «black list»

È già successo tre anni fa con il regista ucraino Yevhen Lavrenchuk reclamato dalla Russia; e l’ultima volta il 18 dicembre scorso con l’informatico italo-francese Hervé Falciani, accusato in Svizzera di aver sottratto documentazione bancaria, arrestato e liberato, su richiesta del Guardasigilli, dopo alcuni giorni trascorsi a San Vittore e poi agli arresti domiciliari.
L’intervento del ministro può trovare ragione nella difficoltà a consegnare la persona ricercata al Paese richiedente, e sebbene da oltreoceano non siano ancora state trasmesse le carte necessarie a deliberare non è scontato che l’estradizione negli Usa fili liscia. Anzi.
In Italia i reati contestati a Abedini hanno caratteristiche e presupporti diversi rispetto agli Usa: dai componenti minimi necessari a costituire una presunta associazione a delinquere fino all’accusa di terrorismo. Secondo il tribunale del Massachusetts l’ingegnere ha fornito sistemi di navigazione utilizzati dai pasdaran dell’Ircg, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica che soltanto negli Usa, in Canada e in Svezia è catalogato come organizzazione terroristica. Non è presente nella black list dell’Onu né in quella dell’Unione europea. Nonostante il Parlamento di Strasburgo abbia votato una risoluzione per includerlo, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha escluso che ciò possa avvenire senza una contestazione specifica di terrorismo mossa all’Ircg da qualche autorità nazionale dell’Unione.

Tensioni in vista

Una differente visione dell’organizzazione favorita da Abedini può essere un motivo di mancata estradizione e dunque di revoca dell’arresto preventivo; così come il tipo di trattamento che i detenuti accusati di terrorismo ricevono negli Usa, diverso da quanto avviene in Italia. Se i giudici dovessero negare gli arresti domiciliari all’iraniano, insomma, il ministro potrebbe trovare un motivo per tornare indietro e revocare la misura.
È naturale che, per evitare o quanto meno attutire le prevedibili tensioni con gli Usa, il governo preferirebbe che fossero i magistrati a risolvere il problema, e già il parere contrario della Procura generale di Milano alla concessione dei domiciliari avrebbe suscitato un certo malumore nel gabinetto del ministro. Ma c’è il precedente dell’evasione di Artem Uss, rievocato ieri dagli americani per insistere sulla conferma del carcere, che pesa anche sui rapporti tra giudici e Guardasigilli. Quando il presunto trafficante Uss fuggì dagli arresti domiciliari accordati dalla corte d’appello di Milano, Meloni e Nordio scaricarono immediatamente la responsabilità sui magistrati, che il ministro mise sotto inchiesta disciplinare (poi finita in nulla al Csm) nonostante il parere contrario della Procura generale della Cassazione alla quale si era inizialmente rimesso.
Un’iniziativa che fece scandalo tra le toghe, sulle quali ora il governo fa affidamento per alleggerire la posizione giudiziaria di Abedini e potersi giustificare, con gli Stati Uniti, dietro il paravento dell’indipendenza della magistratura. Ma pure se fosse, potrebbe non bastare.

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3 gennaio 2025 ( modifica il 3 gennaio 2025 | 07:18)

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