In primo luogo, gli ermellini hanno ribadito che il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio.
Dall’altra, l’Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l’unica abitazione familiare, è tenuta a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale, a condizione che chi intenda avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti addotti a sostegno del suo rispetto.
Tali fatti non possono dipendere dalla inerzia del ricorrente ovvero dalla volontà sua o del destinatario dell’ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza, posto che l’ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua inerzia.
Altro punto fondamentale, il fatto che l’ordine di demolizione sia una sanzione ripristinatoria e non punitiva. La natura amministrativa della sanzione non è di per sé incompatibile con il fatto che essa debba essere irrogata nel rispetto di quanto prevede l’art. 7 CEDU per le sanzioni di natura punitiva, considerato che ciò corrisponde alla necessità di salvaguardare l’effettività delle garanzie convenzionali e i connessi profili sostanziali di tutela. In altri termini, l’ordine di demolizione si inserisce in un complesso articolato normativo di ripristino del territorio, in precedenza accennato, comprensivo della confisca, costruito dal legislatore nella sua ormai riaffermata discrezionalità e sviluppato con varietà di iniziative tutte comunque dirette alla funzione di riassetto del territorio e della legalità urbanistica violata, rispetto al quale la stretta correlazione, sul piano funzionale, dei due predetti rimedi, non può che portare a riconoscere ad entrambi il carattere di misure amministrative ripristinatorie e non di pena.
Inoltre, in tema di reati edilizi, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso.
Inoltre si è anche precisato che il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell’immobile abusivo, automaticamente conseguente alla scadenza del termine di novanta giorni fissato per l’ottemperanza all’ordinanza sindacale di demolizione, non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l’ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l’autorità comunale abbia dichiarato l’esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell’assetto urbanistico violato.
Per quanto riguarda la presentazione di una istanza di condono, gli ermellini hanno evidenziato come l’abuso in esame non fosse condonabile, dato che è situato in area vincolata, né sono state fornite adeguate allegazioni sull’esito o almeno sulle ragioni di una rapida e imminente e positiva decisione. In tema di esecuzione penale, non sussiste infatti un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e di indicare (specificamente) al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi alla autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.
Tale onere è stato disatteso tuttavia dal ricorrente, come evidenziato dalla Corte, perché non si è fatto carico di allegare alcun concreto elemento dal quale il Giudice dell’esecuzione avesse potuto desumere che la domanda di condono fosse definibile in tempi brevi – posto che erano trascorsi oltre venti anni dalla data di presentazione della istanza di condono del 2004 – in maniera che il collegio di merito avesse potuto dare corso ad una istruttoria diretta ad accertare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare:
- a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento;
- b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento.
Infine, laddove si lamenta la mancata applicazione dell’art. 34 del testo unico dell’edilizia sul rilievo per cui la demolizione non potrebbe avvenire senza pregiudizio della parte edilizia legittima, conclude la Cassazione che il richiamo alla normativa è inconferente perché si tratta una possibilità inerente difformità parziali e, peraltro non è stato contestato che si potesse procedere alla demolizione senza pregiudizio di altre parti edilizie legittime.
Il ricorso è stato quindi totalmente respinto, con conferma della piena legittimità dell’ordine di demolizione.
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