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Tributi locali, l’accordo tra comune e contribuente fa compensare le spese #finsubito prestito immediato


L’annullamento degli avvisi di accertamento da parte del Comune, in seguito a un accordo sottoscritto con il contribuente, non comporta il pagamento delle spese processuali. L’accordo sottoscritto dalle parti dà luogo alla cessazione della materia del contendere e alla compensazione delle spese di lite. Lo ha affermato la Corte di cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza 31440 del 7 dicembre 2024.

Per i giudici di legittimità, “era stato sottoscritto un accordo tra le parti nell’ambito del quale si erano date reciprocamente atto dell’insussistenza del presupposto di fatto per l’applicabilità della Tosap” e in esecuzione dell’accordo il Comune aveva annullato gli avvisi di accertamento, chiedendo al giudice di dichiarare la cessata materia del contendere, con conseguente estinzione del processo.

La materia del contendere risulta cessata, per la Suprema corte, “perché è venuto meno l’atto lesivo dell’interesse materiale oggetto della tutela giurisdizionale”. Quindi, le spese vanno compensate “in considerazione della condotta processuale delle parti”.

La decisione

Si tratta di una decisione particolare legata alla definizione della questione tramite un accordo. Normalmente, quando l’amministrazione resistente procede all’annullamento dell’atto impositivo in autotutela, in sede giudiziale, viene condannata al pagamento delle spese per soccombenza virtuale. Il giudice in caso di annullamento dell’atto deve valutare se sussistono i presupposti per la condanna al pagamento delle spese processuali.

La Cassazione, con l’ordinanza 18459/2023, ha sostenuto che l’annullamento in autotutela non comporta automaticamente la condanna. La Commissione tributaria regionale di Roma, sezione XIV, con la sentenza 40/2012, ha stabilito che l’amministrazione deve essere condannata solo se abbia posto in essere un comportamento riprovevole nei rapporti con il contribuente.

La condanna, invece, deve essere pronunciata se la pretesa tributaria è manifestamente illegittima. Ne consegue che, quando viene dichiarata la cessata materia del contendere, non necessariamente l’ente impositore deve essere condannato a pagare le spese di lite.

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La riforma fiscale

Sono state introdotte nuove regole sui casi di compensazione delle spese con uno dei decreti delegati che ha dato attuazione alla legge di riforma fiscale (111/2023) e ha modificato alcune norme del processo tributario. L’articolo 1 del decreto legislativo 220/2023, infatti, ha apportato modifiche alla disciplina delle spese. In particolare, l’articolo 15 del decreto legislativo 546/1992, nella nuova versione, prevede che le spese del giudizio devono essere compensate anche quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio.

La ratio legis è quella di indurre le parti ad anticipare la produzione dei documenti nella fase amministrativa. La norma amplia i casi in cui il giudice tributario deve compensare le spese giudiziali. Fermo restando che la compensazione delle spese ha natura eccezionale.

Il giudice arreca un danno alla parte vittoriosa se compensa le spese tra le parti e non motiva in fatto e in diritto le ragioni per le quali non ha condannato alle spese la parte soccombente. Può essere disposta la compensazione, totale o parziale, delle spese di lite se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni da indicare esplicitamente nella motivazione.

A ciò si aggiunge la mancata produzione di documenti ritenuti rilevanti nella fase che precede il giudizio. La compensazione può essere dichiarata dal giudice in ragione della particolarità della questione trattata. Le spese processuali, infine, devono essere compensate nel caso in cui l’amministrazione e il contribuente definiscano la questione controversa con una transazione.

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