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Mafia, dopo 22 anni il figlio di Totò Riina potrebbe lasciare il 41 bis #finsubito prestito immediato


È in carcere da oltre 28 anni per mafia ma anche per alcuni omicidi e finora la Cassazione ha sempre respinto i ricorsi con cui Giovanni Riina, secondogenito del “capo di capi” di Cosa nostra, si è opposto alla proroga del 41 bis. Adesso però la Suprema Corte apre uno spiraglio molto concreto per consentire al mafioso di non essere più sottoposto alle stringenti restrizioni previste dal regime carcerario e di accedere quindi a una detenzione comune. I giudici, accogliendo l’istanza di Riina, hanno infatti ritenuto “meramente apparente” la motivazione con cui il tribunale di Sorveglianza di Roma aveva stabilito invece la correttezza del provvedimento del ministero della Giustizia con cui il 9 novembre del 2023 era stato rinnovato ancora una volta il 41 bis per il detenuto.

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La decisione è della prima sezione della Cassazione, presieduta da Giuseppe De Marzo, che ha disposto l’annullamento con rinvio del decreto che aveva invece confermato la proroga il 7 giugno scorso perché “non realizza un percorso argomentativo effettivo e idoneo a dare conto della ‘perdurante necessità’ di sottoporre il ricorrente al regime differenziato del 41 bis”, come si legge nella sentenza.

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Riina, che venne arrestato il 10 giugno del 1996, è al 41 bis dal 20 giugno del 2002. Da allora il regime carcerario è stato sempre prorogato ogni biennio, anche se la posizione di vertice all’interno di Cosa nostra non è mai stata accertata. La Procura generale per controbattere al ricorso del mafioso ha rimarcato però la “sovraordinazione” di Riina rispetto agli altri affiliati, il fatto che l’organizzazione criminale sia ancora attiva a Corleone e che il figlio di Totò Riina non abbia manifestato alcun segno di ravvedimento e che la sua condotta carceraria non sia stata “sempre regolare”.

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La difesa del detenuto, però, ha messo in evidenza che il provvedimento di proroga del 41 bis “non contiene alcuna rinnovata valutazione sulla pericolosità” di Riina e “ripropone motivazioni dei decreti precedenti”. Non solo: anche se il fratello Giuseppe Salvatore è ormai libero non vi sarebbe alcuna prova che Giovanni Riina eserciti il suo presunto ruolo di capo servendosi di lui, senza contare poi che non è stato coinvolto in nessun processo recente relativo alla mafia di Corleone. Inoltre, si sarebbe completamente omesso di valutare aspetti positivi, come il fatto che Riina junior “ha riconosciuto l’antigiuridicità delle condotte alla base delle condanne con pubbliche affermazioni di contrarietà all’agire mafioso” per esempio.

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La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato perché “non vi è stato da parte del tribunale di Sorveglianza alcun apprezzamento in concreto della incidenza del decorso del tempo in rapporto a una condizione associativa pregressa che non è mai stata processualmente accertata in termini di ruolo di vertice in riferimento a Giovanni Riina, condannato per mera partecipazione al sodalizio mafioso”. Inoltre, come si legge nella sentenza “risulta meramente assertiva e poco chiara la considerazione di una posizione di ‘sovraordinazione’, non essendo stata argomentata la fonte e il significato concreto di tale affermazione in rapporto all’attuale condizione di pericolosità”. In più “non si rintraccia in motivazione un’analisi concreta delle emergenze fattuali che dimostrino l’attivismo esterno del gruppo di riferimento” e “non vi è alcun riferimento in motivazione all’avvenuto apprezzamento in concreto del percorso trattamentale del detenuto”. Da qui l’annullamento con rinvio del provvedimento.

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