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come funziona. Messi al sicuro 10mila posti di lavoro #finsubito prestito immediato


Nel 2023 hanno chiuso circa 300mila aziende. Ma aumentano le operazioni di Workers buyout, che vedono i lavoratori salvare le società per cui lavorano quando queste sono in bancarotta e diventarne soci. Tra il 2011 e il 2023 l’agenzia Cooperazione finanza impresa (Cfi), partecipata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha sostenuto 93 imprese cooperative “rigenerate” dai dipendenti, deliberando investimenti per circa 60 milioni di euro. In 38 anni di attività Cfi ha finanziato 332 Workers buyout mettendo al sicuro oltre diecimila posti di lavoro. L’agenzia è nata nel 1986 dopo che la legge Marcora aveva previsto l’istituzione di un fondo destinato al finanziamento delle cooperative costituite dai dipendenti delle aziende in crisi. Fondo che adesso il governo valuta di rafforzare, in seguito anche alle richieste arrivate da Confcooperative. 

Workers buyout, fenomeno in crescita: come funziona

Ci sono state aperture da parte del sottosegretario al Mimit, Massimo Bitonci: «Al posto di finanziare la cassa integrazione o altre politiche passive, con questo strumento si mantengono in vita le imprese con l’impegno diretto dei lavoratori che diventano soci. Questa secondo il ministero potrebbe essere una soluzione per risolvere crisi aziendali di medie e piccole imprese garantendo la continuità produttiva». Una posizione condivisa anche da Forza Italia. Il Workers buyout prevede che i dipendenti che subentrano nella proprietà della società in crisi investano le loro risorse, dalla Naspi al Tfr. Dopodiché, sostenuti da Cfi, possono utilizzare i fondi messi a disposizione della legge Marcora per assumersi la responsabilità della gestione dell’azienda, scommettendo su loro stessi. Ai lavoratori riuniti in cooperativa è stato anche attribuito, dieci anni fa esatti, il diritto alla prelazione nelle procedure che prevedono l’affitto o l’acquisto delle aziende o dei rami d’azienda di cui essi erano dipendenti. 

Oggi Cfi, vigilata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, principale socio in termini di capitale, è partecipata da 393 cooperative e dai fondi mutualistici di Confcooperative, Legacoop e Agci. Gestisce un fondo pubblico rotativo la cui attuale dotazione si aggira attorno agli 80 milioni di euro e può contare su un patrimonio netto superiore a 100 milioni di euro. L’investimento medio per occupato per i salvataggi si attesta sotto i 12mila euro, l’equivalente di un anno di sussidio di disoccupazione. E per ogni euro investito ne sono ritornati quasi otto in termini di gettito fiscale e previdenziale. 

I casi di successo si moltiplicano: secondo uno studio realizzato da Amundi Sgr, Coopfond e Teha Group, il Workers buyout nelle aziende con più di cinquanta impiegati si è rivelato una cura efficace in nove casi su dieci. Non solo. Con le “acquisizioni” dei dipendenti si potrebbero addirittura salvare 91 miliardi di euro: a tanto ammonta il fatturato delle Pmi in forte difficoltà finanziaria e a rischio default che, almeno sulla carta, potrebbero essere rilevate dai lavoratori. Sempre secondo lo studio il 40% delle operazioni di Workers buyout si concentra nelle regioni del Nord, poi viene il Centro con il 30 per cento. 

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