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I successi del settore idrico a 30 anni dalla riforma Galli #finsubito prestito immediato


Sebbene le sfide siano ancora tante, il settore idrico italiano mostra successi incoraggianti soprattutto per la dinamica virtuosa che sembra essersi stabilmente avviata. Ragion per cui, piuttosto che l’apertura di una nuova stagione di cantieri istituzionali, è auspicabile il prosieguo dell’attuale modello «un ambito, una tariffa, un gestore». Anche se andrebbe opportunamente aggiornato, sostiene Antonio Massarutto nel suo articolo su ENERGIA 3.24, secondo i risultati del suo studio.

La debolezza infrastrutturale rappresenta una zavorra per il rilancio del nostro Paese. Lo dimostrava uno studio realizzato da un gruppo di docenti dell’Università Sapienza i cui risultati sono stati pubblicati su ENERGIA 2.21. L’infrastruttura idrica, in particolare, è centrale nelle politiche di transizione digitale, energetica e ambientale del Paese. Ma fa acqua da tutte le parti, sia letteralmente che figurativamente, con perdite di 41 litri su 100.

Sull’acqua, evidenziava Francesco Napolitano, l’Italia sconta un deficit infrastrutturale che richiede investimenti per almeno 10 miliardi di euro. Il tempo medio di attuazione delle opere infrastrutturali è pari a 4,4 anni. Lo stesso aumenta in misura progressiva (indifferentemente dalla fase considerata) al crescere del valore economico dei progetti.

La qualità delle istituzioni

“Ma la soluzione non è nazionalizzare” sosteneva Carlo Scarpa su ENERGIA 2.19, bensì il “miglioramento della qualità delle istituzioni”. Nel settore idrico gli investimenti sono stati per molti anni inferiori al necessario. Questi “hanno avuto una buona ripresa quando è cambiata la regolazione del settore, ovvero quando le competenze regolatorie sono passate in capo alla ex Autorità per l’energia (oggi Arera) e hanno cominciato a seguire un modello moderno di intervento pubblico (1). E si noti che questo non è avvenuto per una trasformazione di proprietà dal pubblico al privato, ma solo per un cambiamento delle responsabilità regolatorie, passate da un livello locale estremamente politicizzato e attento al breve periodo (…) a un modello regolatorio legato a meccanismi maggiormente automatici e capace di guardare in primo luogo alle esigenze di lungo periodo del nostro sistema infrastrutturale”.

Una celebrazione senza grandi clamori: i 30 anni dalla riforma Galli

Un miglioramento della qualità delle istituzioni che rileva anche Antonio Massarutto (Università di Udine) nel suo articolo su ENERGIA 3.24. L’assetto del sistema idrico nazionale è ancora oggi delineato dalla legge Galli del 1994, ma il cambio di marcia si è avuto negli anni 2010. Da allora, una dinamica virtuosa sembra essersi stabilmente avviata, ma necessita fisiologicamente di un lungo periodo per dispiegare appieno i risultati.

L’articolo presenta i principali risultati di uno studio finalizzato a esaminare il percorso compiuto dal settore idrico a 30 anni dalla riforma Galli. La ricerca ne evidenzia i punti di forza e di debolezza. Lo studio è stato svolto su incarico del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. È stato realizzato attraverso un innovativo approccio di valutazione delle policy in collaborazione con E. Cassetta, F. Facchinetti, P. Fedele, A. Garlatti e R. Pauluzzo (Università di Udine); D. Berardi, F. Casarico, G. De Angelis, F. Signori, M. Tettamanzi e S. Traini (REF Ricerche).

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L’articolo muove dalla contestualizzazione del com’eravamo (par. 1). “Trent’anni fa la legge Galli ambiva a una radicale ristrutturazione del settore idrico italiano. (…) Poiché togliere la competenza ai Comuni era politicamente impossibile, il legislatore inventò un curioso nuovo soggetto territoriale, il cosiddetto «ambito ottimale», entro il quale gli enti locali dovevano cooperare seguendo un canovaccio istituzionale disegnato dalle Regioni per dare vita al «servizio idrico integrato»”.

Da un modello finanziario basato sul contributo pubblico a fondo perduto, a uno imperniato sull’investimento privato sostenuto dalle tariffe

“Una vera rivoluzione: dalla gestione diretta in economia, imprigionata dai mille lacci del diritto e della finanza pubblica, a una gestione industriale, pertanto fondata su un affidamento disciplinato da contratti a soggetti imprenditoriali di natura privatistica – ancorché, come vedremo, sempre saldamente in mano pubblica. Da un modello finanziario basato sul contributo pubblico a fondo perduto, a uno imperniato sull’investimento privato sostenuto dalle tariffe”.

Tuttavia, la riforma ebbe un avvio stentato (par. 2). “Ci sono voluti sei più sei anni, non mesi, perché la maggioranza delle Regioni riuscissero a venire a capo della nuova organizzazione territoriale, gli enti d’ambito si insediassero e gli affidamenti fossero effettuati. (…) In generale, la riforma è stata a lungo incapace di produrre effetti, finché non si è colta la necessità di costituire un modello di regolazione adeguato. Da quel momento, che ha coinciso forse accidentalmente con il referendum del 2011, si avvia un percorso virtuoso che permette di guardare con ottimismo al futuro. (…) Con l’avvento di Arera inizia una stagione completamente nuova. Raggiunto l’obiettivo iniziale di allineare le tariffe ai costi effettivi, ci si è progressivamente spostati verso un modello di regolazione incentivante, ma senza perdere di vista il focus sull’equilibrio finanziario, oltre che economico”.

Un innovativo approccio di valutazione delle policy

L’articolo valuta gli esiti sin qui raggiunti nel settore idrico attraverso un innovativo approccio di ricerca. Esso adatta strumenti di valutazione, solitamente applicati a una scala più micro nei bilanci di sostenibilità a livello aziendale, a un livello di policy. Il Metodo d’indagine viene presentato in maniera dettagliata nel par. 3 assieme a una ricca mole di dati. “Sono state utilizzate diverse fonti: i bilanci dei gestori con almeno 100.000 abitanti serviti presenti sul database AIDA, integrati da indagini dirette sui siti internet aziendali; le relazioni annuali di Arera (2024); il sempre preziosissimo BlueBook (Utilitatis 2024)”.

“Il progresso più tangibile si registra sul lato degli investimenti. Se nel primo periodo, con molta fatica (e molte differenze tra territori) si era raggiunta quota 30 euro/abitante/anno, nel periodo successivo la crescita è continua, arrivando agli attuali 70; ancor più importante, il dato migliora sensibilmente per pressoché tutte le gestioni che sono state in grado di completare la transizione verso un modello industriale. Le aree del paese che invece non ci sono riuscite (come Calabria e parte della Campania e della Sicilia) mostrano valori non lontani da quelli del periodo pre-riforma”.

“I livelli medi di spesa sono cresciuti e continuano a crescere, sebbene l’Italia resti anche ciò malgrado tra i paesi con le tariffe più basse al mondo (Fig. 2). Mediamente, la spesa familiare è cresciuta in termini reali del 33% rispetto al 2011, incremento che va a sommarsi a quello altrettanto consistente verificatosi dal 2000 al 2011 (+41%). Oggi un’utenza familiare tipo spende mediamente 326 euro/anno per il ciclo integrato (fornitura di acqua potabile e collettamento acque reflue). I valori medi tradiscono situazioni anche molto differenziate da un ambito all’altro (la spesa varia da un terzo al doppio del valore medio)”.

L’ultimo paragrafo è dedicato alle riflessioni conclusive (4. Squadra che vince non si cambia). “L’analisi illustrata nel paragrafo precedente evidenzia successi, seppur parziali, che sono incoraggianti soprattutto per la dinamica che sembra essersi stabilmente avviata. I miglioramenti sono ancora stentati e parziali, d’altra parte il settore idrico è per sua natura caratterizzato da notevole inerzia”.

Squadra che vince non si cambia

“Dopo il 2011, due fattori concomitanti hanno contribuito al successo – pur ancora parziale – della riforma. Il primo, evidenziato da molti osservatori, coincide sicuramente con un modello di regolazione finalmente adeguato, che ha fornito al settore quelle basi di certezza delle regole e di prevedibilità delle dinamiche future che sono indispensabili a un settore capital-intensive e con vita economica degli investimenti molto lunga (…).

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Un secondo fattore, meno spesso richiamato, consiste a nostro avviso anche nell’avere chiuso in maniera definitiva il «cantiere» della riforma dei servizi pubblici locali, che per oltre un decennio ha generato un clima di permanente incertezza riguardo ai destini delle aziende – sempre minacciate di dover passare la mano a modelli di tipo privatistico, o comunque costrette sulla difensiva e quindi poco propense ad avviare strategie di lungo periodo. Sancita definitivamente la legittimità dell’affidamento in-house, non più come soluzione di ripiego avversata dal legislatore ma come forma gestionale pienamente legittima, si è potuta avviare una nuova stagione in cui – detto in metafora – hanno lavorato più gli ingegneri che gli avvocati. A trarne beneficio è stato certamente un processo di investimento che la regolazione della qualità da parte di Arera ha intelligentemente accompagnato, permettendo di stabilire un quadro di programmazione orientato al medio-lungo termine)”.

Le sfide sono ancora tante, ma la dinamica è virtuosa

“Le sfide sono però ancora tante: mentre il settore recupera con fatica una capacità di investimento, il degrado dell’infrastruttura ancora non si arresta. L’adattamento ai cambiamenti (climatici, ndr) e le nuove direttive europee, sia per l’acqua potabile sia per gli scarichi, impongono una nuova stagione espansiva per quanto concerne gli investimenti. (…) La dimensione dell’«ambito ottimale» può non esser più sufficiente; sempre più spesso le opere che possono mettere in sicurezza il servizio fanno riferimento a una dimensione territoriale interprovinciale o persino interregionale”.

Segue la presentazione di “alcune utili raccomandazioni per le politiche idriche dei prossimi anni”. Si pensi alla dimensione dei gestori: “sono grandi abbastanza per far fronte, anche finanziariamente, a una nuova stagione di investimenti?”. Oppure, all’impossibilità del settore di sostenersi con le sole tariffe. Senza infine trascurare il lato della domanda, “dove esistono enormi potenzialità di risparmio”.

In conclusione, “sebbene le sfide siano ancora tante, l’analisi mostra successi incoraggianti soprattutto per la dinamica virtuosa che sembra essersi stabilmente avviata e che necessita fisiologicamente di un lungo periodo per dispiegare appieno i risultati. Ragion per cui, piuttosto che l’apertura di una nuova stagione di cantieri istituzionali, è auspicabile il prosieguo dell’attuale modello «un ambito, una tariffa, un gestore» opportunamente aggiornato”.

“Sarebbe pericoloso, a giudizio di chi scrive, aprire una nuova stagione di cantieri istituzionali. Meglio costruire a partire da ciò che c’è e che ha dimostrato di saper funzionare”.

Un giudizio che concorda con quello del citato Carlo Scarpa. “Qualcuno chiamerebbe tutto questo un miglioramento della qualità delle istituzioni. E io sarei d’accordo. Purtroppo, proprio questo miglioramento è oggi sotto attacco dal disegno di legge c.d. «Daga» che punta proprio a riportare ai Comuni la potestà regolatoria sull’acqua. Il che ci conferma che i processi di solo «miglioramento» istituzionale non possono mai dirsi acquisiti”.


Il post presenta l’articolo di Antonio Massarutto Il settore idrico a 30 anni dalla riforma Galli pubblicato su ENERGIA 3.24 (pp. 88-97)


Antonio Massarutto, Università di Udine


Foto: Flickr



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