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I 60 anni dell’Odin Teatret di Eugenio Barba: a Lecce un convegno per festeggiare e riflettere #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


C’era una volta il teatro di gruppo. Erano i favolosi, e terribili, anni Settanta. Che ne è oggi, a distanza di mezzo secolo, di questo fenomeno, e in particolare della vasta area che si riconobbe nella definizione di Terzo Teatro, coniata nel 1976 da Eugenio Barba, fondatore e direttore dell’Odin Teatret, una delle compagnie più importanti e longeve della scena internazionale?

Dopo decenni di disattenzione critica (almeno in Italia), da un po’ di tempo si è tornati ad occuparsi di quella che sempre Barba ha chiamato “la parte nascosta dell’iceberg teatrale”. Sono soprattutto gli stessi gruppi (di diverse generazioni) che hanno ripreso a incontrarsi, anche per tentare forme di collaborazione e organizzazione comune.
L’ultima occasione in ordine di tempo è stata il convegno internazionale per i 60 anni dell’Odin Teatret, organizzato a Lecce nella prima settimana di novembre dall’Università del Salento, in collaborazione con la Regione Puglia, la Fondazione Barba Varley e il LAFLIS-Living Archive of Floating Islands (di cui ho già parlato in questo blog). Sotto il titolo Prospettive contemporanee. Terzo Teatro, Archivi, Regia, il convegno (curato, oltre a Barba, da Francesco Ceraolo, Franco Perrelli e Julia Varley) ha riunito studiosi e teatranti di molte parti del mondo.

Naturalmente, trattandosi innanzitutto di una festa di compleanno, tanti partecipanti erano persone che sono state e sono vicine in vari modi alla celebre compagnia italo-scandinava, a cominciare da gruppi storici come Teatro Potlach, Teatro Tascabile di Bergamo, Teatro Nucleo. In questo senso, particolarmente significativi sono risultati gli incontri con i rappresentanti di due gruppi storici sudamericani: La Candelaria (Colombia), di cui ha parlato Patricia Ariza, e Yuyachkani (Perù), presentati da Miguel Rubio.

Ma non è stata soltanto una bellissima festa, con annessa presentazione degli ultimi lavori dell’Odin (purtroppo privo di alcuni membri storici): I violinisti stregoni, Le nuvole di Amleto e Compassione. Si è trattato anche di una specie di “stati generali” del teatro di gruppo. E, dei tre temi indicati nel titolo, quello riguardante il Terzo Teatro mi è sembrato capace di suscitare le riflessioni più interessanti, allargatesi in modo naturale a uno sguardo complessivo sulle condizioni attuali della ricerca teatrale.

Il convegno ha offerto in particolare l’occasione per riflettere sul destino singolare del Terzo Teatro nel nostro Paese. Nonostante sia stato lanciato da un italiano, sia pure emigrato in Scandinavia, e nonostante l’Italia sia stata il Paese in cui esso si è diffuso maggiormente, il Terzo Teatro, come denominazione e come fenomeno, da noi non ha mai goduto di un vero riconoscimento critico.

Eppure, a conti fatti, si tratta dell’unica denominazione sopravvissuta da allora. Fateci caso. Tutte le altre sono scomparse. Nessuno da tempo parla più di Postavanguardia, Teatro immagine, Nuova Spettacolarità, Teatro di sperimentazione, se non al passato. Tanto meno si organizzano raduni e convegni (come questo di Lecce) all’insegna di tali denominazioni. Se questo è accaduto ci sarà una ragione. A mio parere è successo perché esse si riferivano a linee o tendenze estetiche, riguardanti insomma soltanto il come fare teatro, non il perché e il per chi farlo.

Ora, le scelte espressive da tempo non sono più considerate in grado di istituire distinzioni legittime o utili, ancor meno di creare tendenze. Ormai ogni gruppo, ogni singolo artista, si considera, dal punto di vista estetico, un capitolo a sé, pur riconoscendo ovviamente maggiori o minori affinità con altri gruppi o artisti.

Questa obsolescenza non ha colpito, invece, le questioni connesse al perché, al per chi e al dove fare teatro, più vive e necessarie che mai, riguardanti le motivazioni personali e gli scopi collettivi dell’agire teatrale. E sono le questioni fondative del Terzo Teatro, che nacque appunto sulla base di discriminanti etico-politiche e socio-antropologiche piuttosto che estetiche.

Teatro come luogo in cui poter trovare risposte alle proprie necessità e inquietudini personali, in cui incanalare creativamente il proprio spirito di rivolta, la ribellione alle ingiustizie della società, immaginandone nello stesso tempo una migliore. Teatro come luogo per incontrare l’altro, il diverso, lo straniero, per fare esperienza dell’alterità, a cominciare dalla propria.



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