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Douglas Dall’Asta, il giovane brasiliano abbandonato dopo l’adozione: «Arrivato in Italia a nove anni, dopo quattro giorni sono stato lasciato solo» #finsubito richiedi mutuo fino 100%


di
Ludovica Brognoli

Presentato per la prima volta a Modena il libro “Figlio di nessuno” scritto dal 27enne assieme alla giornalista Valentina Reggiani: «Tornerò in Brasile per trovare il resto della mia famiglia»

Il giovane brasiliano Douglas Dall’Asta ha solo 27 anni, ma il peso che si porta sulle spalle condensa una storia lunga tutta una vita, fatta di adozioni fallite, di sofferenza e di un «senso di abbandono, provocato dalla famiglia e dalle istituzioni, difficile da superare». Arrivato in Italia dal Brasile all’età di nove anni, dopo essere stato adottato da una coppia di Piadena, nel cremonese, Dall’Asta è stato infatti abbandonato di nuovo. Da quel momento, racconta, comincia un percorso di crescita molto complesso.

L’incontro cruciale con l’avvocato Barbiero

Dalla prima casa famiglia, «subito chiusa per abusi sessuali sui minori, ai continui cambi di comunità, passando addirittura per un “soggiorno” lungo un mese in una palestra». Dopo anni di difficoltà, l’incontro con l’avvocato Gianluca Barbiero apre uno spiraglio di speranza nella vita di Dall’Asta. «E’ la prima persona che riesce a conquistare la mia fiducia – confessa il giovane – e a cui decido di raccontare la mia storia per intero». Nasce così l’idea di «esprimerla quella storia e quel dolore e di dargli forma nelle pagine di un libro», scritto insieme alla giornalista modenese Valentina Reggiani e presentato per la prima volta in questi giorni proprio a Modena. Intitolato, non a caso, “Il figlio di nessuno”, il libro, secondo Dall’Asta, «è un modo per superare un trauma, ma anche per raggiungere più persone possibili e dimostrare come l’istituto dell’adozione abbia tante cose da migliorare. Perché non è accettabile che un bambino venga abbandonato ben due volte, in Brasile e poi in Italia, senza che gli venga garantito un affido sicuro». 




















































Il percorso dal Brasile all’Italia

Nella storia del giovane si condensano i paradossi e le storture «di un sistema che spesso lascia soli i più giovani». Parlando della sua esperienza, Dall’Asta racconta che «per completare la procedura di adozione dall’orfanatrofio brasiliano, ho dovuto passare quattro mesi insieme ai miei genitori adottivi. Nonostante ciò – prosegue – dopo essere venuti in Italia a loro sono bastati solo quattro giorni per cambiare idea su di me e abbandonarmi. Io ancora non riesco a spiegarmi come questa cosa sia potuta succedere». A rappresentare un elemento ancor più doloroso, per il giovane, sono poi le comunità di affido. «Ne ho cambiate trenta – sostiene – e solo in una ho avuto un’esperienza positiva. Credo che il problema principale sia che i ragazzi e i loro problemi in comunità non vengono ascoltati, anche quando si tratta di difficoltà legate alla salute. Quando ero ancora minorenne, per esempio, mi è capitato di avere un episodio di malessere fisico importante. I medici, però, sono stati chiamati in ritardo e di questa disattenzione grave io soffro ancora le conseguenze». 

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La scrittura come valvola di sfogo

Prima di conoscere Barbiero, il ragazzo si è ritrovato per un periodo a vivere in strada fino anche a scontare una pena in carcere. «Dopo aver incontrato l’avvocato ho avuto la forza di ripercorrere gli episodi più difficili della mia vita. All’avvocato ho confidato ciò che era successo con i miei genitori adottivi, che nel periodo in cui ho vissuto per strada, prima del carcere, incontravo e sentivo. Prima ero confuso a riguardo, ma con Barbiero ho capito che era giusto iniziare una causa legale nei loro confronti». Dall’Asta, però, non attribuisce alla sua famiglia adottiva la colpa delle numerose difficoltà subite. «Non penso affatto siano stati gli unici a sbagliare. Le responsabilità sono da rintracciare nel sistema delle adozioni che non dà valore alle persone che arrivano da lontano e sono speranzose di trovare una realtà positiva». Nonostante tutto, il protagonista di questa sfortunata storia, che nella scrittura ha trovato una valvola di sfogo terapeutica, ha deciso di rialzare la testa: «Ho in progetto di tornare in Brasile per trovare il resto della mia famiglia e poi di scrivere ancora, perché so che è utopico pensare che quello che ho vissuto io non lo rivivrà mai più nessuno ma, almeno, con il mio libro spero che chi ha esperienze simili alle mie si senta meno solo». 

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