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Sud, la crescita è solo un’illusione #finsubito prestito immediato


Il Sud continua a crescere, persino più del resto del Paese. Ma il trend positivo potrebbe presto rivelarsi un’illusione. Tant’è che già l’anno prossimo è previsto che si torni alla «normalità». E per normalità s’intende un Mezzogiorno che corre meno del Centro Nord. Lo afferma il cinquantunesimo rapporto Svimez, presentato a Roma.

Lo studio sottolinea il ruolo di slancio per l’economia che hanno avuto il Pnrr e gli investimenti in costruzioni. Solo che per l’anno prossimo prevede, a politiche invariate, «il manifestarsi di fattori strutturali sfavorevoli al Sud a causa del rientro dalle politiche di stimolo agli investimenti privati e di sostegno ai redditi delle famiglie, solo parzialmente compensati dall’impatto positivo degli investimenti del Pnrr».

Nonostante la crescita, e la conseguente ripresa occupazionale, il potere d’acquisto resta la criticità più rilevante. Dal 2019 ad oggi i salari reali si sono ridotti del 5,7%. Un vero e proprio crollo, causato dai prezzi e dai ritardi nei rinnovi contrattuali, in un mercato del lavoro che ha raggiunto livelli patologici di flessibilità.

La precarietà è infatti ormai diffusissima: nelle regioni meridionali più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine. Al Sud, inoltre, si concentra il 60% dei 2,3 milioni di lavoratori poveri italiani (circa 1,4 milioni).

Ad impoverirsi è anche il tessuto sociale. Nel Mezzogiorno l’emergenza non è l’immigrazione, ma l’emigrazione. I giovani scappano, mentre in 3 mila comuni le scuole primarie sono a rischio chiusura per mancanza di alunni. Entro il 2050 il Sud perderà 3,6 milioni di abitanti. A rimanere saranno soprattutto gli anziani. Siamo al gelo demografico.

L’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno sostiene che per contrastare lo spopolamento servirebbero politiche di lungo periodo «orientate al rafforzamento del del welfare familiare, degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, dell’offerta dei servizi per l’infanzia, dei sostegni effettivi ai redditi e alla genitorialità, superando la frammentarietà degli interventi».

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Come se non bastasse, prosegue l’emorragia di giovani laureati: negli ultimi 10 anni sono andati via in 200 mila. Le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalla mobilità studentesca: due studenti meridionali su dieci (20mila all’anno) si iscrivono a una triennale al Centro-Nord, quasi quattro su dieci (18mila all’anno) a una magistrale in un ateneo settentrionale.

Tra il 2010 e il 2023, il sensibile aumento del numero di laureati meridionali si è realizzato esclusivamente grazie ai titoli conseguiti presso atenei del Centro-Nord (+40mila), mentre è addirittura diminuito il numero di laureati presso gli atenei meridionali.

Preoccupa, ancora, la dispersione scolastica, più alta al Sud. Dei 583.644 alunni iscritti al I anno di scuola secondaria di I grado a settembre 2012, 96.177 (il 16,5%) hanno abbandonato il sistema scolastico senza conseguire un titolo di studio nei sette successivi anni. L’abbandono scolastico è particolarmente diffuso al Sud (17,4%) e nelle Isole (20,6%), mentre nel Centro-Nord si attesta al di sotto del dato nazionale.

Il Mezzogiorno, però, non è un deserto industriale. Il peso del Sud è rilevante in diverse filiere nazionali: Agroindustria, Navale e Cantieristica, Aerospazio, Edilizia e Automotive. Queste filiere però vanno sostenute con l’attivazione di processi di cambiamento strutturali, quindi attraverso Fondi per la crescita sostenibile, Accordi di Innovazione, Venture capital, Contratti di Sviluppo.

La crisi dell’automotive, assolutamente da scongiurare, rischia di trascinare nel baratro l’intero Mezzogiorno. Scrive Svimez: «La filiera è il settore sul quale si giocherà la sfida europea nel cambiamento strutturale del sistema produttivo e il futuro industriale del Mezzogiorno. L’industria automobilistica italiana è collocata, infatti, prevalentemente nel Mezzogiorno. Nei primi 9 mesi del 2024, gli stabilimenti del Mezzogiorno hanno fornito quasi il 90% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma hanno perso più di 100mila unità sul 2023 (-25%). Lo stabilimento di Melfi ha visto da solo una perdita di quasi 90mila unità (-62%). Il rilancio dell’industria automobilistica in Europa e la difesa dell’occupazione e dell’indotto richiede un cambio di paradigma che passa da un piano industriale europeo, finalizzato al rafforzamento della filiera elettrica e alla riduzione del gap tecnologico accumulato rispetto ai competitor, mettendo al centro gli stabilimenti del Mezzogiorno».

Lo studio promuove l’idea delle Zone Economiche Speciali:. «Il percorso però necessita di un’accelerazione delle procedure attuative e di risorse certe nel tempo per le agevolazioni alle imprese (il credito d’imposta Zes è finanziato per il solo 2025), ma soprattutto di una continuità di impegno politico. L’incertezza sulle prospettive delle deleghe governative per il Mezzogiorno e il rischio di uno spacchettamento delle deleghe su Affari europei, Sud e Pnrr rischiano di pregiudicare il completamento delle riforme avviate».

A questo quadro a tinte fosche, si aggiunge, l’abrogazione dal 2025 della misura di parziale decontribuzione a favore delle imprese private che operano nel Mezzogiorno (Decontribuzione Sud), introdotta dalla Legge di Bilancio 2021, che ha svolto un ruolo importante in questi anni, prima nel favorire la tenuta dell’occupazione nella crisi e poi per sostenerne la dinamica nella ripresa. L’eliminazione della Decontribuzione Sud dal 31 dicembre 2024 – segnala Svimez- comporta impatti significativi su crescita e occupazione. Secondo le stime, l’abrogazione comporterà una riduzione di due decimi di punto della crescita del Pil del Mezzogiorno e di tre decimi dell’occupazione, con circa 25 mila posti di lavoro a rischio.

Infine, la sanità. Ennesima nota dolente. Lo studio Svimez non usa giri di parole: al Sud poca prevenzione a alta mobilità. Il rapporto loda le esperienze positive, come la rete oncologica campana, ma dice chiaramente che il riparto delle risorse per la sanità penalizza i cittadini delle regioni del Mezzogiorno.

Insomma, a conti fatti, la crescita registrata negli ultimi due anni appare come un fuoco di paglia. Un’illusione generata innanzitutto dall’enorme flusso di finanziamenti portati dal Pnrr.

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Sotto la superficie, restano i problemi di sempre: scarsa competitività, spopolamento, emigrazione, fuga dei giovani, carenza di servizi.

Tocca alla politica, per la sua parte, promuovere interventi mirati e strutturali, mettendo in campo politiche industriali, utilizzando i fondi a disposizione in modo sinergico, strategico e non frammentario. Bisogna, inoltre, lavorare su welfare e servizi, e trattare l’immigrazione non più solo come un problema, ma come una risorsa che può salvare intere comunità da morte certa.

Per fare ciò, occorrerebbe ragionare in modo pragmatico, mettendo da parte divisioni ideologiche e bandiere di partito che finiscono, sovente, per lasciare tutto com’è.





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