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Lo stop a Decontribuzione Sud affossa il Mezzogiorno #finsubito prestito immediato


Politica

di Giuseppe Ariola





Dalla legge di Bilancio arriva un duro colpo al Mezzogiorno. Lo stop alla misura Decontribuzione Sud, ovvero alle agevolazioni fiscali per favorire l’occupazione nella regioni meridionali, rischia di determinare ripercussioni pesanti in un’area del Paese che già soffre di un gap endemico e strutturale con il Nord Italia. Nel dettaglio, l’agevolazione prevedeva uno sconto sul versamento dei contributi previdenziali a carico delle aziende pari al 30% fino a tutto il 2025 che si sarebbe ridotto al 20% per il biennio 2026-2027 e, infine, al 10% in quello 2028-2029. Il timore principale è che in questo modo a risentirne, oltre al mondo del lavoro, saranno anche gli investimenti sul territorio con tutti gli effetti a cascata che ne deriverebbero, in particolare per quanto riguarda il comparto agricolo. Non a caso a lanciare l’allarme per il mancato rifinanziamento di Decontribuzione Sub sono organizzazioni di ogni tipo, dallo Svimez a Confindustria, oltre ovviamente ai vari enti che operano in quelle zone che adesso saranno private di fondi ritenuti essenziali. Per ben comprendere la reale entità della questione i numeri aiutano un bel po’. La misura, immaginata per sostenere la ripresa del Mezzogiorno nella fase post pandemia da Covid 19, ha portato nel Sud Italia risorse pari a 3 miliardi nel 2020, 3,3 miliardi nel 2022 e 3,6 miliardi nel 2023. Nei tre anni in questione a beneficiare di questi fondi è stata una platea di lavoratori rispettivamente di 1,2, 1,4 e 1,5 milioni. Il quadro dà l’idea dell’effettiva portata di Decontribuzione Sud la cui soppressione consentirà un risparmio di risorse pubbliche di 5,9 miliardi di euro nel solo 2025 e di circa ulteriori 4 miliardi in ciascuno degli anni 2026 e 2027. Una cifra assolutamente considerevole, tanto più alla luce del fatto che il valore complessivo della Manovra 2025 si aggira attorno ai 30 miliardi di euro. Un dato alla luce del quale inizia a sollevarsi anche un certo fruscio politico, con fonti della stessa maggioranza che fanno notare come oltre un sesto dei fondi della Manovra in discussione alla Camera siano stati “sottratti” al Sud, “come al solito” aggiunge qualcuno. E quando facciamo a nostra volta notare che, come espressamente recitato dal comma 1 dell’articolo 72 della legge Bilancio con il quale si è di fatto stoppata la misura inizialmente prevista fino al 2019, rientrando nella disciplina degli Aiuti di Stato, l’applicazione di Decontribuzione Sud era soggetta a un’apposita autorizzazione della Commissione europea che a giugno ha dato il via libera alla sua applicazione fino alla fine del 2025, la risposta di un deputato calabrese è stata netta: “Chi è mutu nun po essere servutu” (per avere qualcosa bisogna innanzitutto chiederlo). Insomma, l’idea che serpeggia è che il governo, alle prese con tagli e spending review, non si sia per nulla speso per il mantenimento in vigore dell’agevolazione, ben felice di recuperare solamente per il prossimo anno quasi 6 miliardi di euro, sebbene parte di questi saranno comunque utilizzati per interventi destinati al Sud. Ma a conti fatti, secondo i calcoli riportati nella Memoria Svimez trasmessa alla commissione Bilancio di Montecitorio, tra il 2025 e il 2027 il Meridione si vedrà sottratti fondi per 5,3 miliardi di euro. Ecco perché il timore diffuso è che sul Mezzogiorno – e in alcune regioni in particolare, come la Sicilia – si abbatterà una vera e propria mannaia dalla quale sarà difficile riprendersi perché a essere minacciato è il suo stesso tessuto produttivo, con le imprese che avranno difficoltà a mantenere stabili i livelli occupazionali, nonostante le altre misure, di ben diversa portata, previste in Manovra. Il rifinanziamento per 1,6 miliardi del credito di imposta della Zes (Zona Economica Speciale) unica e gli sgravi contributivi relativi alle nuove assunzioni avranno effetti solamente marginali rispetto alla portata di Decontribuzione Sud e, più in generale, alle necessità di un’area del Paese che, per ridurre l’atavico divario con il resto della Penisola, del quale è complice uno storico meccanismo perverso di distribuzione delle risorse statali, ha bisogno di interventi strategici di ampio respiro e, soprattutto, di lunga visione e ampia portata.


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