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Con il governo Meloni il condono conviene ma rischia il flop #finsubito prestito immediato


Facciamo un’ipotesi: negli ultimi anni c’è qualc uno che ha evaso 100 mila euro. Il governo Meloni-Giorgetti gli ha offerto un condono (pardon, sanatoria). L’evasore pagherà per i prossimi due anni una sanzione da 7.500 euro a fronte di un importo dovuto di oltre 138 mila euro. Che cosa farebbe chi, s’intende, ha una partita Iva piuttosto ricca? A occhio è un regalone:pagare solo solo il 5,4% del dovuto. È il pensiero più gentile verso gli evasori dai tempi dei condoni dei governi guidati da Silvio Berlusconi, il padre fiscale-spirituale della destra post-fascista e leghista al governo.

FISCO DELLE MIE BRAME: qual è il condono più conveniente del reame? Dall’epoca d’oro di Silvio (il suo secondo governo che iniziò nel 2001) l’ultimo orchestrato dal governo di Giorgia Meloni. Lo sostiene l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano che ha pubblicato un’analisi dal titolo molto spiritoso dove si contestualizza, con ricchezza di fonti, la storia dei condoni in Italia, la ragione politica e sociale di una destra che vuole fare una rivoluzione dall’alto facendola pagare ai contribuenti onesti, ai dipendenti che non possono evadere, ai pensionati. E alle partite Iva lavoratrici: freelance, ordinisti professionisti dipendenti che sono lavoratori poveri. Di solito, a sinistra, si pensa che siano tutti evasori. E invece, come hanno dimostrato le ricerche di Sergio Bologna, costituiscono uno degli assi del nuovo proletariato.

MA C’È DI PIÙ, scrivono Carlo Cignarella, Carlo Cottarelli, Ilaria Maroccia dell’Osservatorio sui conti pubblici . Tanto più cresce il reddito, e la somma nascosta all’erario, tanto meno si paga. Un contribuente che dichiari 200 mila euro su un reddito effettivo di 450 mila, pagherebbe infatti 9 mila euro. Cioè solo 1.500 euro in più di chi ha evaso la metà e ha un reddito stimato inferiore. «Il sistema di aliquote crescenti per i presunti grandi evasori è un correttivo insufficiente, perché non compensa il fatto che al ridursi di quanto dichiarato si riduce la base imponibile e, dunque, la somma dovuta al fisco» concludono i ricercatori.

LA STORIA DEI CONDONI contenuta nel documento dell’Osservatorio è interessante. Procede a ritroso fino alle origini del reame di Berlusconi. Da allora quasi tutti i governi hanno cercato di farne uno. Compresi quelli del Pd nella stagione renziana o di poco postuma. Berlusconi ne fece tre: nel 2001, nel 2002 e nel 2009. Erano i tempi. Allora il rapporto tra il pagamento richiesto aderendo al condono e quello dovuto, comprensivo di interessi e sanzioni, a parità di somma evasa era compreso tra l’1,6 e il 3,6%. Dunque molto conveniente.

LO FURONO MENO quelli nel periodo 2014-2023 comprensivo anche di un governo Renzi, quello di Gentiloni e il primo spicchio della stagione meloniania. I condoni con i nomi più fantasiosi, e rigorosamente in inglese per non fare capire nulla se non agli interessati, si riferivano a cartelle esattoriali, e quindi a debiti già accertati dal fisco. Il rapporto tra pagamento richiesto e dovuto superava il 70% (la cosiddetta «rottamazione» delle cartelle). Il «concordato preventivo» di Meloni & Co. è tornato indietro a Silvio per quanto riguarda la convenienza. Ma non si applica al pregresso perché dice all’evasore: dammi una stima del reddito e ti farò pagare il 5% e il 7% del dovuto.

È DIFFICILE, su queste colonne, ma mettiamoci nei panni dell’evasore. Che può chiedersi: va bene, è conveniente. Ma perché ti devo dire che evado solo perché mi fai un condono e non usi gli strumenti per controllarmii? A vedere il nervosismo che aleggia da qualche giorno nella maggioranza, non sembra siano stati in molti ad abboccare. Servirebbero due miliardi di euro. Giorgetti ha detto che ha previsto «zero» nella manovra, tanto per mettere le mani avanti.

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GLI INTROITI REALI, forse, si capiranno l’altra settimana. Confartigianato ha stimato un’adesione di appena il 23%. Dopo averlo escluso con il viceministro all’Economia Maurizio Leo, Fratelli d’Italia e Forza Italia si sono messi a discutere se prolungare i termini oppure farne un altro entro la fine dell’anno. I commercialisti hanno annunciato uno sciopero per ottenere una proroga. Per le opposizioni il concordato è «un fallimento totale» per Francesco Boccia del Pd. Quest’ultimo prospettia un «ricatto» per le partite Iva che «non hanno accettato il principio secondo il quale chi non ci sta, sarà quasi sicuramente controllato». «I dati non ci sono, ma si può già dire che è stato un flop di adesioni» (Tino Magni di Alleanza Verdi Sinistra). «Siamo molto fiduciosi, altrimenti sposteremo l’obiettivo che sposteremo» ha confermato Marco Osnato di Fratelli d’Italia. È il Concordato continuo, il condono perenne, il 15esimo? il ventesimo della legislatura?. Tutto per fare un taglio spot alle tasse.

IL FONDO DEL BARILE è stato raschiato perché il governo vuole finanziare il taglio dell’Irpef alle classi medie con redditi fino ai 50 mila euro medi. Fin’ora ha trovato i soldi (oltre 10 miliardi) per strutturare un taglio del cuneo fiscale fino ai 40 mila euro. È la più onerosa misura di una modesta legge di bilancio che sarà ricordata (da chi l’ha veramente letta) per i 12 miliardi di tagli pluriennali a ministeri e enti locali. Dunque a servizi, Welfare, università, trasporti, fondo «green» per l’automotive.



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