La mappa del voto: così i 15mila voti per il centrodestra nella zona di Imperia, feudo dell’ex ministro, hanno tamponato il crollo di voti nel capoluogo
DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA – Ci avevano provato in tutti i modi a convincerlo. «Così perdiamo» gli era stato detto durante una notte concitata, poche ore prima di presentare le liste. Gli avevano mandato messaggi per spiegargli che con il veto a quel che resta di Italia viva, dopo che era stato fatto un accordo che prevedeva l’assenza del simbolo e il ritiro dei propri esponenti dalla giunta di Genova guidata da Marco Bucci, cambiava l’inerzia della competizione. E soprattutto, il centrosinistra diceva addio a quell’area di civismo che sarebbe infine risultata decisiva.
Ma Giuseppe Conte aveva già staccato il telefono. Consapevole della situazione e delle conseguenze che avrebbe avuto quel voltafaccia, che stracciava un accordo già chiuso a livello locale dai parlamentari del M5S, Andrea Orlando persino aveva accarezzato l’idea di andare avanti per la sua strada. Ma questo avrebbe stravolto altri precari equilibri della coalizione, e soprattutto avrebbe significato sconfessare la sua segretaria Elly Schlein, che per carità di campo largo, o per inseguirne la chimera, aveva abbozzato una reazione, per dovere d’ufficio. E così, con un candidato di prestigio obbligato a muoversi come un equilibrista in bilico sul filo, addio Liguria per il centrosinistra.
«Per cosa si votava?». Tra le bancarelle al pianterreno del Mercato orientale diventato per qualche ora quartier generale del centrosinistra, c’era grande curiosità per la presenza di tutte quelle telecamere. In piazza Corvetto, davanti al punto elettorale di Marco Bucci, alcuni passanti invece erano convinti che l’assembramento fosse dovuto alla presenza di qualche celebrità, forse un calciatore, oppure un attore.
C’è un vincitore, seppur di stretta misura. Sono mancati gli elettori. Come al solito, questa volta ancora di più. Doveva essere un test nazionale, l’astensionismo l’ha ridotto a una miniatura. Ma siccome gli assenti hanno per definizione sempre torto, è tempo di tirare le somme di una competizione elettorale tanto improvvisata quanto importante, che ha presentato alcune anomalie non di poco conto. Nei giorni prossimi verranno prese come aggravanti o scusanti, per alleggerire il peso di questo voto, oppure al contrario.
Niente è andato come previsto, tanto per citare un convinto sostenitore delle grandi alleanze a sinistra come il francese François Hollande, che ha intitolato così la sua autobiografia. Marco Bucci, il coniglio estratto dal cappello da un centrodestra che sembrava in difficoltà, era stato scelto per tamponare la situazione di svantaggio a Genova, la città della quale è sindaco da ormai sette anni. Invece, il voto nel capoluogo della Regione ha segnato una clamorosa bocciatura nei suoi confronti, replicando e accentuando quella delle recenti elezioni europee, dove il centrosinistra aveva stravinto. Genova sembra essere anche l’unico luogo della Liguria dove l’effetto della recente bufera giudiziaria che ha spazzato via il regno locale di Giovanni Toti si è fatto sentire. A detta di tutti, la città più grande sarebbe risultata decisiva, e per giunta Orlando si è aggiudicato anche tre capoluoghi su quattro.
L’unica eccezione gli è stata fatale. La differenza tra vittoria e sconfitta è stata fatta dai quindicimila voti di differenza nell’Imperiese a favore della coalizione di centrodestra, che hanno tamponato a favore di Bucci il suo sprofondo genovese. È la terra di Claudio Scajola, antica volpe della politica che d’accordo con Edoardo Rixi, nume tutelare della Lega ligure, aveva messo il veto a ogni candidatura politica del centrodestra. Voleva un civico, come Bucci. Sapeva che la gara sarebbe stata serrata e si sarebbe giocata sul campo delle liste apartitiche, i famigerati centristi.
La giravolta di Conte, dovuta soprattutto a ragioni di sopravvivenza interna, mostrarsi inflessibili e torquemadiani per somigliare almeno un po’ ai grillini del tempo che fu oggetto delle nostalgie di Beppe Grillo, ha dato il via libera alla narrazione di una sinistra senza centro, che nel ponente che fu feudo democristiano esercita sempre un certo fascino. Un attimo prima della sua scelta, i sondaggi davano un comodo vantaggio al centrosinistra. Dopo, sempre dietro. Forse è improprio attribuire valore nazionale a un voto denso di significati locali, come l’alluvione che ha tenuto lontano gli elettori della Val Bormida, zona deindustrializzata del Savonese da sempre di sinistra. Ma comunque la si pensi, il voltafaccia contiano di quella notte è stato il momento decisivo.
Andrea Orlando ha lavorato, ha studiato, ha unito le anime del suo partito, e già in Liguria questa era impresa tutt’altro che facile. Ma si è trovato in mezzo alla tempesta perfetta del Movimento. L’ex senatore M5S Nicola Morra, candidato di protesta contro il Movimento di Conte, ha portato via 4.200 voti alla coalizione di centrosinistra. L’appello alla dissoluzione fatto da Beppe Grillo, con annesso riferimento ai candidati 5 Stelle della sua Regione, a suo dire «paracadutati» dall’alto e da Roma, ha fatto il resto. Strattonato da ogni parte, il Movimento 5 Stelle, che alle Europee aveva fatto segnare in Liguria il suo miglior risultato, raggiungendo il 10,2%, si avvicina ormai a percentuali renziane, fermandosi al 4,5%. Così muore un Movimento. Così si sbagliano i rigori a porta vuota.
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