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Incastrato da uno scontrino trovato in un’autovettura rubata e usata da una banda di quattro ladri dopo un furto in abitazione. Dopo nove anni di indagini e processo, però, viene assolto perché il fatto, avvenuto, non può essere imputato a lui.
L’imputato, un albanese di 33 anni difeso dall’avvocato Massimo Brazzi, era accusato, in concorso con altre due persone non identificate, di avere “al fine di trarne profitto” perpetrato un furto in un’abitazione a Valfabbrica, portando via due smartphone Samsung, un portagioie con della bigiotteria, un paio di occhiali da sole, un salvadanaio con all’interno delle monete, un orologio Breil da uomo, un paio di scarponi da uomo marca Lumberjack, una tracolla da uomo, un computer portatile marca Sony, un paio di pantaloni da uomo, una cintura Calvin Klein e l’autovettura Fiat Gran Tipo del proprietario dell’abitazione svaligiata.
Il furto, compiuto il 22 marzo del 2015 da tre persone mentre una quarta rimaneva all’esterno e svolgeva la funzione di palo. L’auto veniva ritrovata a Fiuminata, in provincia di Macerata, qualche tempo dopo. I Carabinieri trovavano all’interno dell’abitacolo uno scontrino di un bar di Perugia, datato 24 marzo del 2015, cioè due giorni dopo il furto.
Le indagini portavano ad un gruppo di albanesi e i Carabinieri si presentavano nel bar che aveva rilasciato lo scontrino e il titolare riconosceva due persone, tra quelle che avevano frequentato il locale, nell’album fotografico che gli veniva sottoposto.
A chiusura delle indagini l’albanese veniva rinviato a giudizio e poi davanti al giudice del Tribunale penale di Perugia con l’accusa di furto aggravato per l’effrazione della finestra della camera da letto dell’abitazione e per aver devastato l’intera casa.
Al termine del processo la pubblica accusa ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione ritenendo provata la presenza dell’uomo sul luogo del delitto e partecipe del furto. La difesa ha contrapposto una ricostruzione che conduceva all’assoluzione: lo scontrino trovato in auto riportava la data di due giorni dopo il furto e, quindi, anche a fronte del riconoscimento da parte del barista, chiunque avrebbe potuto salire in auto nei giorni successivi. Le celle telefoniche, inoltre, collocavano l’imputato sempre a Perugia, non sul luogo del furto a Valfabbrica né a Fiuminata, dove è stata trovata l’autovettura. Certo, avrebbe potuto tranquillamente lasciare il telefono a Perugia sia durante il furto sia nel corso dall’abbandono della vettura, ma questo non vale come prova.
E, infatti, il giudice ha emesso una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.
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