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Povertà in Italia: cosa ci dicono i dati Istat? / In Italia e nel mondo / Home #finsubito prestito immediato

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Sono poco più di 2,2 milioni le famiglie in povertà assoluta, ovvero l’8,4% sul totale delle famiglie residenti. Questa percentuale sfiora però il 10% al sud. Il dato è stabile rispetto al 2022; stabile anche il numero degli individui in povertà: quasi di 5,7 milioni di individui ovvero il 9,7% sul totale degli individui residenti. E stabile infine anche la “povertà relativa” familiare, pari al 10,6%”.

Ma questa stabilità è poco consolante soprattutto se, guardando i numeri, avvertiamo la consapevolezza che dietro a questi numeri ci sono persone, soprattutto famiglie numerose, lavoratori con basse retribuzioni o con lavori precari e soprattutto ci sono bambini. Quello che dovrebbe allarmarci e non fare stare tranquilli è che in questo mare di miseria rischiano di naufragare i minori (quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi, 13,8% in crescita rispetto al 13,4% del 2022).

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Siamo di fronte ad uno stato di povertà che non riguarda solo i più emarginati, quelli che dormono nei cartoni – tanto per intenderci – quelli che definiamo invisibili e nello stesso tempo non sono decorosi per le nostre città.

Anche l’Osservatorio di Caritas Genova che sta concludendo l’elaborazione del consueto rapporto – sarà presentato a novembre – riferisce che i dati confermano che i veri protagonisti della povertà in Italia oggi sono i minori, prevalentemente stranieri.

Un terzo dei 34 Centri d’Ascolto – che complessivamente hanno registrato 5.500 persone – riferisce di un aumento del 40% del totale delle presenze, di queste 2200 hanno chiesto aiuto a Caritas per la prima volta. Gli stranieri, tra i più colpiti dalla povertà, sono in una percentuale stabile smentendo la narrazione di emergenza ed invasione che impedisce di considerare questa presenza come un valore per il territorio. È il caso di chiedersi ancora una volta se una regione come la Liguria, che si conferma la “più anziana” d’Italia, non possa riorganizzarsi per valorizzare l’elemento di potenziale ripopolamento e ringiovanimento offerto dalla popolazione migrante.

Per gli amanti delle statistiche i dati si possono facilmente recuperare sul sito Istat.

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Per gli amanti delle persone possiamo tentare di individuare le cause di questa triste realtà e i possibili rimedi. L’impatto dell’inflazione pesa sulla possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta, aspetto che si associa alla crescita dei prezzi al consumo con effetti che naturalmente risultano più evidenti sulle famiglie meno abbienti.

L’abolizione del reddito di cittadinanza ha penalizzato in particolare i cosiddetti “ritornanti”, ovvero coloro che “ricadono” in povertà dopo aver recuperato non solo attraverso il sostegno economico ma con l’accesso a formazione e lavoro.

Alla causa del lavoro precario, sottopagato e sempre più spesso espulsivo associamo anche il deficit di istruzione, altro aspetto determinante e allarmante soprattutto se teniamo conto degli altri dati Istat sulla povertà educativa presentati la settimana scorsa in occasione della XXIV edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia civile (appuntamento annuale del Centro Studi dell’Università di Bologna).

Dall’incontro è emerso che la povertà educativa in Italia è in rapido aumento ed è tra i principali fattori che alimentano tutte le altre forme di disuguaglianza sociale. La povertà educativa è fenomeno in crescita in Italia e si traduce nella difficoltà di accesso all’educazione o addirittura nell’impossibilità per i minori (e non solo) di apprendere, sperimentare, sviluppare e far crescere capacità, competenze, aspirazioni, e, diciamocelo pure, vocazioni per una vita di senso e di spessore in ordine alla convivenza pacifica. Il 13,5% dei minori di 16 anni in Italia (1,13 milioni) si trova in una condizione di deprivazione materiale e sociale specifica.

La disuguaglianza economica, sociale e culturale è uno dei motivi della dispersione scolastica. Il 16,5% di studenti non conseguirà il diploma. Come possiamo immaginare il futuro nostro e soprattutto quello delle nuove generazioni senza affrontare questa realtà? Occorre mettere in discussione modelli e provvedimenti superati che contrastano con l’utopia di un mondo sviluppato, sostenibile, intelligente?

Non illudiamoci di salvare l’umanità con l’intelligenza artificiale se non correggiamo quella umana! I dati presentati dicono tra l’altro che il 70,5% dei bambini e ragazzi tra i 3 e i 19 anni non è mai entrato in una biblioteca; il 39,2% non ha praticato alcuno sport durante l’anno e il 16,8% non ha fruito di spettacoli fuori casa ovvero non sono mai andati nell’arco del 2023 al cinema, teatro, musei, mostre, siti archeologici, monumenti, concerti.

Ma c’è anche il problema dell’accesso agli asili nido, che rimane limitato: nel 2021-22 solo il 28% dei bambini di età compresa tra 0 e 2 anni ha avuto accesso a servizi educativi pubblici o privati per l’infanzia. Nel complesso ci troviamo di fronte a numeri che rappresentano questioni ma che soprattutto negano persone e futuro. Alle parziali cause citate (che originano il dilagare delle povertà) dobbiamo però aggiungere una buona dose di indifferenza e superficialità. Indifferenza – anche nel nostro mondo di credenti – per lo più associata alla non conoscenza delle questioni e al distacco che regna tra il credere e il professare, tra il dire e il fare, tra la Parola e la vita,; tra contemplazione e azione. Per dirla con il vescovo Tonino Bello, dovremmo essere contemplativi ma anche attivi, ovvero prenderci cura, prendere in carico le questioni (che sono vita della gente!).

Nel caso delle povertà (nuove, vecchie, globali, materiali o culturali) le nostre comunità dovrebbero attivarsi per luoghi di aggregazione, spazi di dialogo, educazione e cura (di sé e degli altri) e nello stesso tempi “organizzare” una partecipazione democratica che agisca sulle decisioni e sui decisori competenti (istituzioni). Occorre creare sinergie “sociali” che, a partire dai reali bisogni, aiutino: a progredire insieme in una visione complessiva orientata ad un reale sviluppo umano integrale di ogni persona e del paese; a non inseguire erogazioni e soluzioni tampone, temporanee, limitate e riservate ma concretamente trasformative; a creare non divisioni ma quella coesione sociale che genera rispetto e dignità in una dimensione che invita a giustizia, pace, convivialità sostenibile e che non ricorre ad assistenza, bonus, beneficienza statale valorizzando l’umano, il senso di rispetto e responsabilità degno di una “società civile”.
*Osservatorio Caritas Genova

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