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Caso Albania, gli strafalcioni di Nordio e quelli del governo. Perché l’annunciato decreto sui Paesi sicuri rischia di non servire a nulla #finsubito prestito immediato

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Nel suo attacco alle decisioni dei giudici di Roma, che venerdì non hanno convalidato il trattenimento dei 12 richiedenti asilo, il ministro della Giustizia Carlo Nordio si è reso protagonista di un mix di strafalcioni del tutto incompatibile con il suo passato nella magistratura. “Alla quale in un certo senso io mi onoro ancora di appartenere”, premette ai microfoni della stampa. Già la partenza è emblematica. “C’è una sentenza della Cedu, tra l’altro in francese, che io ho letto attentamente…”, esordisce Nordio riferendosi a quella che i giudici di Roma hanno dovuto applicare e sulla quale si basa il mancato trattenimento dei 12 del centro di Gjader. La Cedu è “la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, l’organo giurisdizionale volto ad assicurare il rispetto della Carta europea dei diritti dell’uomo da parte degli Stati contraenti”. Nella stessa pagina del sito del governo dal quale è copiata la definizione, c’è scritto che “la Corte europea dei diritti dell’uomo non va confusa con la Corte di Giustizia“. E invece a confondersi è addirittura il Guardasigilli, ex magistrato. Quella della sentenza che il 4 ottobre ha demolito i piani del governo in Albania è appunto la Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Ma anche ammettendo che si sia confuso, resta poco da concedere alle parole successive. La sentenza in francese che ha letto attentamente, assicura Nordio, “non dice affatto quello che, almeno secondo i giornali, pare essere stato il motivo della sentenza di Roma”. Lasciando da parte la stampa, che non dovrebbe essere al centro delle considerazioni di chi ha delle sentenze da poter confrontare, sul pronunciamento della Corte di Giustizia il ministro dice una cosa inesatta. La sentenza dei giudici di Lussemburgo è chiara e ribadisce i limiti posti dalla normativa vigente, in particolare l’articolo 37 della direttiva 32 del 2013, alla designazione di un Paese d’origine come sicuro ai fini delle procedure d’asilo da parte degli Stati membri come l’Italia. In particolare stabilisce che tale designazione non consente l’esclusione di aree di territorio e, trattandosi del medesimo articolo che ha abrogato in toto la precedente direttiva, di categorie di persone considerate a rischio. Eccezioni presenti in Repubblica Ceca, da cui veniva l’interpello alla Corte Ue sul caso in esame, che riteneva sicura la Moldavia ad eccezione della Transnistria. La Corte di Giustizia Ue dice che per la vigente direttiva un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. E siccome 15 dei 22 Paesi designati sicuri dal governo Meloni presentano eccezioni con le quali il ministero degli Esteri esclude le persone che tanto sicure non sono, gli stessi non possono essere considerati sicuri ai fini delle procedure da applicare all’esame delle domande d’asilo. Un’interpretazione chiara proprio perché restrittiva e restrittiva perché, spiega la sentenza, le minori garanzie delle procedure d’esame che è possibile applicare a chi proviene da Paesi d’origine “sicuri” impediscono un’interpretazione estensiva dell’articolo 37. La Corte Ue lo chiarisce senza ulteriore dubbio al punto 71 della sentenza, che chiunque può leggere per farsi un’idea.

Cosa hanno detto le sentenze dei giudici di Roma per meritarsi di essere definite “abnormi” da Nordio? Hanno solo applicato la sentenza Ue, come lo stesso governo era tenuto a fare immediatamente dopo la pronuncia del 4 ottobre mentre ha preferito ignorarla per poi dare la colpa ai magistrati. I 12 di Gjader erano tutti cittadini di Egitto e Bangladesh, paesi inseriti nella lista del governo con le necessarie eccezioni. Nel primo caso, scrive la Farnesina, il Paese non è sicuro “per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251″. Nel secondo per “persone LGBTQI+, vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte. Si segnala anche il crescente fenomeno degli sfollati “climatici”, costretti ad abbandonare le proprie case a seguito di eventi climatici estremi”. Applicando la direttiva Ue così come va fatto secondo l’unica Corte titolata a dirlo, i due Paesi non possono essere considerati sicuri e i suoi cittadini non possono essere sottoposti alle procedure accelerate di esame in frontiera della richiesta d’asilo per la quale è previsto il trattenimento che quindi viene invalidato. Ancora una volta, i giudici italiani non avevano altra scelta perché i vincoli all’ordinamento europeo e alle sentenze della Corte di Giustizia sono imposti dalla nostra Costituzione. Anche al governo, che invece l’ha violata nel momento in cui ha trasferito in Albania quelle persone.

E invece Nordio insiste. “La sentenza della Corte Ue non è stata disapplicata da noi, ma male interpretata dai nostri giudici. La definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura, ma è una valutazione politica pur nei parametri del diritto internazionale”, ha detto in un’intervista rilasciata a Repubblica. Sull’interpretazione non si scappa, quanto alla seconda frase si scade nel paradossale. Il concetto di Paese di origine sicuro ai fini delle procedure d’asilo (e non dei rimpatri di cui parla Meloni) l’abbiamo acquisito attraverso l’ordinamento europeo. I precedenti tentativi di inserirlo in quello italiano avevano trovato un ostacolo mai superato nell’articolo 10 della nostra Costituzione, ben più tutelante del diritto d’asilo rispetto allo stesso ordinamento europeo. La stessa facoltà degli Stati membri e dei rispettivi governi di designare quali Paesi considerare sicuri ai fini dell’esame delle domande deriva dall’Unione ed è normata dal suo diritto al quale siamo dunque vincolati come alle sentenze della Corte di Giustizia. È dunque impossibile pensare di potersi chiamare fuori, com’è grottesco credere che basti un decreto a sollevare i giudici dai vincoli comunitari, dai quali il governo dimostra invece di continuare a volersi sottrarre. Tra le ipotesi al vaglio dell’esecutivo – Nordio dice che “la materia è oggetto di approfondimento” – c’è quella di un decreto che trasformi la lista dei Paesi sicuri in norma primaria dello Stato.

Una lista blindata in cui i 22 Paesi saranno ri-definiti sicuri, magari senza eccezioni, in barba a chi subisce abusi, violenze, minacce. Ma soprattutto sulla quale i giudici non potranno esprimersi. Tutto questo, però, non servirà a nulla. Intanto perché, come hanno ricordato i giudici nei pronunciamenti di venerdì, la convalida del trattenimento è una “garanzia costituzionale dello status libertatis” che, nel caso di non convalida per assenza dei presupposti (demoliti dalla Corte Ue) deve essere immediatamente riacquistato. E poi perché nella medesima sentenza europea del 4 ottobre, e questo punto deve proprio essere sfuggito a Nordio, i giudici Ue impongono al giudice di merito una verifica attuale (ex nunc) della sicurezza nel Paese, che è ovviamente sempre una presunzione, e sempre in riferimento al singolo caso esaminato. Come? Esattamente come devono fare i governi. Il solito articolo 37 dice che “la valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti” (art. 37 comma 3 direttiva 32/2013). Comprese, a volte, le inchieste giornalistiche della stampa italiana e internazionale. Ma non è tutto ed è qui che l’ipotetica nuova lista, qualunque sia il decreto in cui la vorrebbero infilare, diverrebbe carta straccia. La stessa sentenza impone al giudice di merito di verificare d’ufficio la legittimità della designazione del Paese sicuro. E questo perché da un lato il diritto europeo impone sempre una valutazione del caso singolo in materia d’asilo, e non c’è lista che tenga. Dall’altro, attraverso il controllo giurisdizionale garantisce che a nessun governo venga in mente di credere che può fare come vuole. Non è così, non ancora. E dunque anche l’altra idea ipotizzata nelle ultime ore, quella di “rendere vincolante il parere della Commissione che decide sulle richieste di asilo per i giudici che verificano la convalida dei trattenimenti”, non pare utilmente percorribile. In sede di convalida di un trattenimento di un richiedente asilo il giudice italiano è giudice europeo, e finché l’Italia sarà membro di questa Unione europea non può sottrarre la magistratura agli obblighi che ne derivano. Questo non significa che le forzature non possano arrivare un domani a incidere sul diritto e le sentenze europee, ma per ora sarebbe meglio rimanere coi piedi per terra.

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