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Il docente: «È facile dare la colpa a Fiat. Ma questa è la crisi dell’auto tedesca generata dall’Ue»
«Mirafiori non c’è più a Torino. Come non c’è più in Europa quel modello di grande fabbrica da 40 mila operai. Se continuiamo a guardare la crisi dell’auto dal buco della serratura incolpando Stellantis di tutto rischiamo di non uscire più dal tunnel della crisi. Finiremo solo con l’alimentare i treni Frecciarossa per Milano, pieni dei nostri giovani pendolari». Secondo Bernardo Bertoldi, professore al Dipartimento di Management dell’Università di Torino, esperto di imprese familiari, l’ex capitale dell’auto ora deve guardare «oltre l’auto puntando sulla vocazione manifatturiera ad alto tasso tecnologico».
Torino non è più la capitale dell’auto?
«Non lo è più da un bel pezzo. Abbiamo perso la sfida anni fa perché non ci abbiamo creduto abbastanza. E non è stata solo colpa di Fiat se non siamo tra le prime 5 città dell’auto europee ma di tutto il sistema: istituzioni, sindacati, imprese».
La città senz’auto muore come sostengono le piccole imprese e i sindacati che hanno scioperato in piazza sabato a Roma?
«Torino non è morta dopo aver perso il ruolo di capitale dopo aver fatto l’Italia, non morirebbe senza auto dopo aver fatto l’industria italiana. A fine 2019 scrissi su questo quotidiano, un editoriale per commentare la nascita di Stellantis l’evoluzione dell’auto europea. Il titolo era o si vince la sfida o si sparisce. Non mi sembra che la sfida ci sia vinta, quindi più che morire si rischia di sparire dallo scacchiere industriale dell’Europa».
Nella fusione tra Fca e Peugeot l’Italia e Torino sembrano aver avuto la peggio.
«Stellantis avrebbe potuto investire di più? Certamente. Ma l’attuale crisi dell’auto è europea».
A vent’anni dalla morte dell’Avvocato Gianni Agnelli Torino è riuscita ad andare oltre la Fiat?
«Vent’anni fa si aspettava solo che GM comprasse la Fiat. Chissà se fosse successo che fine avrebbe fatto il marchio Fiat quando GM ha chiuso l’Europa? Lo stato italiano lo avrebbe difeso come quello tedesco ha difeso Opel? Poi c’è stata la crisi finanziaria. Lo Stato tedesco ha riempito di liquidità a basso costo le imprese dell’auto, quello francese è intervenuto direttamente in Renault versando soldi e ha salvato dal fallimento Peugeot. Torino e la Fiat invece hanno salvato la pelle grazie a USA e Brasile. La lobby tedesca che ha sempre guidato la politica industriale europea ha un momento di difficoltà e la UE approva l’elettrificazione del settore. Tutte le imprese dell’auto che possono sopravvivere senza Europa se ne vanno, le altre ci devono provare La crisi di oggi arriva da fuori: è la crisi dell’auto tedesca generata dall’UE».
La ricerca di nuove vocazioni, tra industria e turismo, è diventata quasi sport cittadino. A Torino si parla tanto di futuro ma poi non riesce a cambiare pelle?
«Evoluzione dei settori industriali avviene in modo incessante. La vera domanda e se le nostre industrie sono in grado di evolvere. Per fare questo, servono imprenditori che riescano a intravedere opportunità e a perseguirle con coraggio. Iveco, uno dei più grandi gruppi industriali della nostra regione, ha fatto un’enorme scommessa sull’idrogeno, ha rinnovato i prodotti puntando sull’elettrico e sull’innovazione tecnologica. Basta fare due passi in via Puglia e provare il nuovo S-Way. Oppure visitare la nuova sede di Argotec, Da poco inaugurata, dove si vede cosa può fare un imprenditore con visione e coraggio come David Avino. Di esempi, come questi in Piemonte se ne possono fare moltissimi, resta che per mantenere il nostro livello di Pil dobbiamo averne 10.000 ogni 10 anni. Una bella sfida per chi li deve formare e per chi deve creare una cultura imprenditoriale nella nostra regione».
Dopo gli Agnelli cosa rimane? Ci sono altre grandi famiglie in grado di raccogliere il testimone?
«Le grandi imprese familiari restano la colonna vertebrale su cui si regge la nostra regione. Ce ne sono talmente tante che se si vuole fare una lista, si fa torto a tanti che vengono lasciati fuori. Un’iniziativa degli ambasciatori d’Impresa ha identificato un gruppo di imprese rilevanti per come hanno saputo adattarsi a questo primo quarto di secolo: il numero di imprese piemontesi era molto grande. Le grandi imprese familiari innovano sul territorio ma hanno anche il dovere di internazionalizzarsi, quindi necessario che si crei una cinghia di trasmissione per legare le tantissime piccole medie imprese familiari con questi grandi campioni internazionali. Il Pil di Torino è fermo da vent’anni, come ci hai insegnato la regina rossa non dobbiamo correre più che possiamo; se vogliamo andare da qualche parte dobbiamo correre il doppio del più che possiamo».
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