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La Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza numero 37021 del 2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da P. F. contro la confisca di una somma di denaro trovata nella sua abitazione, confermando così la decisione del giudice di merito. La questione, discussa il 13 settembre 2024 davanti ai giudici Giovanni Liberati e Alessio Scarcella, verteva sulla sproporzione tra il denaro sequestrato e i redditi dichiarati dal ricorrente.
I fatti
Nel corso di un’indagine, l’uomo era stato trovato in possesso di una somma di 174.070 euro, nascosta in un armadio della camera che condivideva con il fratello. Aveva fornito spiegazioni in merito all’origine del denaro, sostenendo che 28mila euro provenissero da doni nuziali e il resto da una vita di risparmi derivanti dalla sua attività lavorativa, con un reddito mensile di circa 1.800 euro. Tuttavia, il giudice di merito aveva ritenuto non credibile questa versione, soprattutto a causa della mancanza di documentazione a supporto delle sue affermazioni.
La motivazione della Corte
Il ricorso si basava principalmente sul presunto vizio di motivazione riguardante l’applicazione dell’art. 240-bis del Codice Penale, che prevede la confisca per sproporzione. L’uomo sosteneva che il giudice di merito non avesse tenuto conto del fatto che l’armadio in cui era stato trovato il denaro fosse accessibile anche al fratello e che la coabitazione con i genitori rendesse dubbia la titolarità esclusiva delle somme.
La Cassazione, però, ha ritenuto che la motivazione fornita dal giudice di merito fosse adeguata e immune da vizi logici. In particolare, la Corte ha sottolineato come la sproporzione tra il denaro sequestrato e le condizioni economiche del ricorrente fosse ben documentata, in assenza di prove a supporto delle dichiarazioni. Inoltre, è stato ribadito che, secondo il principio della “vicinanza della prova”, spetta all’interessato dimostrare la legittima provenienza delle somme.
La sentenza
La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3mila euro a favore della Cassa delle Ammende. La sentenza riafferma un principio consolidato in materia di confisca per sproporzione: l’onere della prova circa la legittima provenienza dei beni incombe sull’imputato, che deve fornire elementi concreti e verificabili.
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