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Rialzo dei tassi e inflazione: quale relazione? #finsubito prestito immediato

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Settimana che vede positivi tutti i principali indici: il FTSE MIB cresce del 2,2%, il FTSE ITALIA STAR dello 0,7% così come il FTSE ITALIA GROWTH. Gli investitori continuano a premiare i titoli a maggiore capitalizzazione rispetto alle PMI.

Si è chiusa una settimana che ha visto l’uscita di numerosi dati importanti per i mercati, a cominciare con l’inflazione degli Stati Uniti scesa in settembre al 2,4% annuo (dal 2,5% di agosto), continuando il trend iniziato in tarda primavera. Discesa che, unita alle crescenti richieste di sussidi settimanali alla disoccupazione, consente alla Fed di avvicinarsi al meeting del prossimo 7 novembre con maggiore serenità.

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Settimana che ha anche visto il governo tedesco ridurre la crescita della Germania per il 2024 che ora è prevista ancora negativa e pari al -0,2% (-0,3% nel 2023), confermando che il più grande paese dell’Europa è in recessione per il secondo anno consecutivo.

A livello di titoli, il gradino più alto del podio spetta a BPER (+15,62%), premiata dagli investitori grazie al nuovo piano industriale 2027 che prevede ricavi in aumento dell’1,5% nell’arco del piano, a circa 5,5 miliardi di euro (dai 5,4 miliardi stimati per l’esercizio in corso). Il cost/income è previsto in miglioramento da circa il 52% a fine 2024 a circa il 50% a fine 2027, mentre l’utile netto è previsto in aumento dai circa 1,3 miliardi di euro stimati per il 2024 a circa 1,5 miliardi (+15% 2024-2027).

Seconda posizione per MPS (+9,02%) dopo la comunicazione diffusa dalla Consob il 7 ottobre 2024 dove si apprende che dal 30 settembre Barclays detiene una partecipazione aggregata (diretta e indiretta) nel capitale di Banca MPS del 5,312%.

Medaglia di bronzo del Unipol (+8,66%). Si riaccendono i rumors che vedono il possibile interesse di Unipol ad una integrazione con BPER, dopo le parole del presidente di circa 15 giorni fa.

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Peggior titolo della settimana, Telecom Italia (-5,64%). La società ha comunicato che il consiglio di amministrazione ha esaminato l’offerta non vincolante per l’acquisizione di Sparkle ricevuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e da Retelit, deliberando di conferire mandato a Pietro Labriola, amministratore delegato, di avviare le interlocuzioni con gli offerenti. Le trattative, in via esclusiva, sono finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione, entro il 30 novembre 2024, di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

Secondo peggior titolo Erg (-3,73%) nonostante l’agenzia di rating internazionale GRESB, che valuta le performance ESG delle aziende a livello globale, ha assegnato ad ERG un punteggio complessivo di 98/100 con il secondo posto in Europa nel settore “On-Shore Wind Power Generation”. Il Gruppo ha inoltre ricevuto le cinque stelle, ovvero il massimo riconoscimento per la performance ESG.

Negativa anche Leonardo (-2,55%) dove, nella sostanziale assenza di notizie price sensitive, il titolo si muove lateralmente da alcune settimane.

migliori titoli della settimana

Nel corso degli ultimi due anni le banche centrali hanno aumentato i tassi di interesse con l’evidente scopo di ridurre la corsa dei prezzi. I tempi con i quali la politica monetaria restrittiva comincia ad avere effetti sull’economia reale sono una variabile strategica importante per le banche centrali. Perché tenere i tassi elevati per un periodo più lungo del necessario, può portare il sistema economico verso una profonda recessione. O peggio, se l’inflazione è soprattutto da costi, verso una stagflazione.

Storicamente il rialzo dei tassi di interesse non ha agito sull’economia reale nei medesimi tempi: non è possibile infatti affermare che dopo sei mesi esatti dal primo rialzo, l’inflazione comincia a scendere. Perché?

La ragione risiede nei diversi meccanismi di trasmissione della politica monetaria. Meccanismi che sono storicamente sempre diversi e che interagiscono tra di loro in modo sempre diverso. Tra questi:

– Riduzione della domanda aggregata: quando i tassi di interesse aumentano, i prestiti diventano più costosi. Ciò significa che famiglie e imprese sono meno inclini a prendere in prestito denaro per finanziare spese o investimenti. Di conseguenza, la domanda di beni e servizi diminuisce, riducendo la pressione sui prezzi.

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– Aumento del risparmio: i tassi di interesse più alti incentivano le persone a risparmiare di più, poiché i conti di risparmio e altri strumenti di investimento diventano più remunerativi. Se le persone risparmiano di più e consumano di meno, la domanda di beni e servizi si riduce ulteriormente, contribuendo a ridurre l’inflazione.

– Raffreddamento del mercato immobiliare: I tassi di interesse più elevati rendono i mutui più costosi, riducendo la domanda di immobili e frenando il mercato immobiliare. Questo, a sua volta, può rallentare l’aumento dei prezzi delle case, che è una componente importante dell’inflazione.

– Rafforzamento della valuta nazionale: un aumento dei tassi di interesse può attrarre investitori esteri, che desiderano ottenere rendimenti più elevati sui loro investimenti in valuta locale. Questo aumenta la domanda per la valuta nazionale, rafforzandola rispetto alle altre valute. Una valuta più forte rende le importazioni meno costose, il che contribuisce a ridurre l’inflazione.

– Aumento del costo del capitale per le imprese: le imprese trovano più costoso ottenere finanziamenti per nuovi investimenti, espansioni o per coprire spese operative. Questo rallenta la crescita economica e riduce la capacità delle imprese di aumentare i prezzi, contenendo così l’inflazione.

Al fine di permettere alla politica monetaria di agire sull’economia reale, occorre quindi analizzare quanto le imprese sono indebitate e la scadenza di tale debito. Il risultato di diverse analisi mostra come gli investimenti delle aziende sono più reattivi alla politica monetaria quando una frazione maggiore del loro debito matura. Due sono i canali che spiegano questo:

– le aziende con un debito in scadenza maggiore hanno maggiori esigenze di roll-over e sono quindi più esposte alle fluttuazioni del tasso di interesse reale (rischio di roll-over);

– queste aziende hanno anche un rischio di insolvenza più elevato e quindi reagiscono più fortemente alle variazioni del peso reale del debito nominale in essere (eccesso di debito).

La politica monetaria non convenzionale, che opera attraverso tassi di interesse a lungo termine, ha effetti maggiori sulla scadenza del debito ma effetti minori sulla produzione e sull’inflazione rispetto alla politica monetaria convenzionale.

Il debito è la principale fonte di finanziamento esterno per le imprese e svolge un ruolo chiave per gli investimenti. Tuttavia, non tutto il debito è uguale. Mentre una parte del debito deve essere rimborsata nel breve termine, una grande quota viene emessa con scadenze lunghe e non deve essere rimborsata fino a molti anni nel futuro. Negli Stati Uniti, per esempio, mentre per molte imprese solo una piccola frazione del debito scade entro l’anno successivo, in quasi un quinto dei trimestri aziendali questa frazione ammonta al 90% o più. Tale eterogeneità è chiaramente importante per gli effetti reali della politica monetaria.

Iniziamo dicendo che le imprese reagiscono più fortemente agli shock di politica monetaria quando una percentuale maggiore del loro debito giunge a scadenza. Dopo un irrigidimento della politica monetaria, le imprese con una quota più alta di debito in scadenza subiscono una maggiore diminuzione degli investimenti, dei prestiti, delle vendite e dell’occupazione, e un maggiore aumento degli spread di credito.

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La scadenza del debito è quindi una variabile rilevate per la politica monetaria a causa del rischio di rinnovo del debito (“roll-over risk”) e del “debt overhang” (sovraindebitamento). Le esigenze di rinnovo rendono le imprese con quote più elevate di debito in scadenza più sensibili ai cambiamenti nei tassi di interesse. Il debito a lungo termine protegge le imprese dal rischio di rinnovo, ma crea sovraindebitamento. Quando una politica monetaria più restrittiva aumenta il peso reale del debito nominale a lungo termine, questo porta a un maggior rischio di insolvenza e a una riduzione degli investimenti.

Consideriamo uno shock di politica monetaria espansiva non convenzionale che riduce i tassi di interesse a lungo termine, ma lascia invariato il tasso a breve termine. Mentre nel breve termine la politica monetaria non convenzionale stimola la domanda aggregata e riduce i tassi di insolvenza, la riduzione dei tassi di interesse a lungo termine induce un forte accumulo di debito a lungo termine delle imprese, che successivamente aumenta i tassi di insolvenza e frena gli investimenti. Gli effetti complessivi su produzione e inflazione sono quindi inferiori rispetto a quelli generati dalla politica monetaria convenzionale.

L’analisi empirica mostra che gli investimenti delle imprese sono più sensibili alla politica monetaria se una quota maggiore del loro debito giunge a scadenza al momento dello shock. Questo risultato è significativo sia dal punto di vista statistico che economico. Dopo un tipico shock di politica monetaria restrittiva, le imprese con una quota di obbligazioni in scadenza più alta, sperimentano una riduzione aggiuntiva e persistente del loro capitale. Supponendo un rapporto investimenti/capitale del 10%, ciò corrisponde ad una riduzione degli investimenti dell’1% circa.

I risultati sollevano nuove domande per la conduzione della politica monetaria sistematica. Come dovrebbe la politica della banca centrale rispondere agli shock tenendo conto della scadenza del debito? Di fronte a un compromesso tra la stabilizzazione della produzione e dell’inflazione, il ruolo importante del sovraindebitamento e della deflazione da debito suggerisce che un dato aumento improvviso dell’inflazione può ottenere una maggiore riduzione del gap di produzione.

Antonio Tognoli

Antonio Tognoli

Ho iniziato a lavorare come analista finanziario nel 1983, occupandomi di economia e politica economica e nel frattempo mi sono laureato in scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Oggi mi occupo di analisi macroeconomica all’interno di Corporate Family Office – CFO SIM. Giornalista pubblicista, docente ai corsi post laurea de “24Ore Business School” e dell’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria – AIAF e co-autore del libro Analisi Finanziaria e Valutazione Aziendale, a cura di Franco Pedriali.

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