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Due ore di dibattito più utili a Tavares per difendersi e chiedere soldi che per la politica italiana (tutta), in ritardo anni luce nel comprendere e affrontare i problemi globali dell’auto, tanto è vero che nessuno propone l’unica cosa che potrebbe cambiare la situazione: l’ingresso del governo italiano nel capitale di Stellantis per pareggiare i francesi. Mai neanche lontanamente proposta durante il regno di Sergio Marchionne, l’audizione parlamentare di Carlos Tavares di ieri è avvenuta in quella che lo stesso capo di Stellantis ha definito «momento darwiniano per l’industria dell’auto».
Il fragoroso crollo di Volkswagen ne è stato il prodromo. Ma a far deflagrare la crisi è stata la politica: non accompagnando la transizione elettrica con i fondi necessari per salvaguardare occupazione e domanda e con la destra a strillare della necessità di rallentare il cambiamento, ridando fiato alle auto endotermiche che inquinano in modo insostenibile.
QUANTO A TAVARES, la dismissione della produzione in Italia va avanti da due anni ma la destra e il main stream informativo se ne sono accorti solo ora e lo hanno individuato come capro espiatorio. Se i cambi ai vertici decisi giovedì nel cda di Detroit sembrano averlo rafforzato globalmente, il moderato uso del governo italiano della golden power sulla vendita di Comau (gigante dell’automazione ceduto a un fondo americano) è l’ennesimo segnale del voler trattare con Tavares senza mai arrivare a un accordo. Il manager franco-portoghese ha dimostrato coraggio ad accogliere l’invito e abilità nel girare a suo vantaggio la tempesta perfetta che sta affrontando Stellantis, come tutti i gruppi europei.
«Il nostro obiettivo è produrre una mobilità pulita, sicura e conveniente, sappiamo che i cambiamenti veloci producono ansia ma noi saremo gli unici ad essere carbon neutral nel 2035. L’unica cosa che vi chiediamo è la stabilità dei regolamenti», ha esordito Tavares, confermandosi contro la marcia indietro sull’elettrico che Meloni e Urso propongono in Ue.
IL DATO DI FATTO incontrovertibile («l’auto elettrica ha costi di produzione del 40% più alti dell’endotermico») è il grimaldello per chiedere «sussidi e incentivi pubblici» per competere con Pechino: «In Cina ora c’è un surplus di offerta di auto e allora le esportano: hanno un 30% di outsourcing competitivo».
IL PIANO LOGICO di Tavares fila: «Questa situazione fa rabbia a tutti ma vorrei solo che riconosceste che i regolamenti non sono stati decisi da Stellantis ma votati in Europa: non vi piacciono? Neanche a me ma posso solo cercare di risolvere i problemi», ha sostenuto furbescamente. Ha toccato l’apice ribaltando il mitico «milione di auto» da produrre ogni anno in Italia che Urso continua a citare da un anno e mezzo senza riuscire a ottenere: «Non ne parlerò mai, parlerò di un milioni di clienti e quando li avrò potrò produrre anche molto più di un milione di auto. Serve dare supporto alla domanda: non chiediamo soldi per noi, chiediamo aiuto per i vostri cittadini». L’apertura alle proposte del governo è parziale: «Siamo in grado di adattarci a un ritmo diverso nell’elettrificazione ma allungare i tempi dell’elettrificazione allunga anche i tempi della transizione occupazionale e fa aumentare la necessità di incentivi».
IL CAPITOLO PIÙ DELICATO sugli stabilimenti è quello di Termoli, dove Stellantis ha congelato gli investimenti sulla gigafactory di batterie. Anche qui Tavares inverte l’ordine delle cause: «Abbiamo bisogno delle gigafabbriche che abbiamo annunciato ma solo se l’Europa diventa un mercato 100% elettrico». Tavares poi si accalora per contestare che esista una «influenza esterna per mettere l’Italia in una situazione difficile», per «l’abbandono del settore ricerca e sviluppo in Italia» e per «la mancanza di un piano industriale»: «Sono falsità. Stellantis è il leader del mercato italiano con il 30%», omettendo di dire che è in calo da anni, già in epoca Marchionne.
IL PIANO INDUSTRIALE, è però costretto a rivelare Tavares, sarebbero «i due fogli con i nuovi modelli per gli stabilimenti italiani che ho consegnato ai sindacati, che hanno reagito come voi e così lo abbiamo cambiato con più modelli rimasti endotermici e ibridi». Insomma, una presa in giro. Il finale è una richiesta di unione di intenti: «Per ridurre i costi ci vorrà tempo. Arriveremo a quel punto (costo macchine elettriche uguale a endotermiche) ma la domanda è: avremo la pazienza di arrivarci lavorando assieme?».
IL SIPARIETTO CON CALENDA (l’amico di Montezemolo e Marchionne) che lo incalza sul numero di brevetti in Francia rispetto ai pochissimi depositati in Italia serve più allo spettacolo che alla sostanza. «Talvolta mi dicono: vuole vendere gli stabilimenti ai cinesi? Io dico no, ne ho bisogno», è l’avvertimento per il futuro. Il convitato di pietra – evocato solo da Giuseppe Conte nel ricordare i 6 miliardi di prestito del periodo Covid, restituiti in anticipo per poter portare avanti la dismissione in Italia – è stato John Elkann, il presidente fantasma che non conta niente rispetto ai francesi e che è il vero anti italiano visto che da 15 anni intasca dividendi altissimi mentre il numero di lavoratori (e di auto prodotte) in Italia cala in modo veloce. Conte e Avs ne ha chiesto la convocazione, vedremo se avverrà. Le reazione dei sindacati (che avrebbero voluto essere in audizione) sono molto negative: «Tavares non ha dato risposte, si confermano le ragioni per il nostro sciopero unitario del settore automotive del 18», commentano Fim, Fiom e Uilm.
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