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L’assunto è semplice: le auto ibride plug-in (PHEV) risolvono i problemi infrastrutturali delle vetture elettriche al 100% (colonnine di ricarica in primis) proponendosi a prezzi inferiori e garantendo il meglio dell’una e dell’altra motorizzazione. Ma l’ultimo rapporto di J.D. Power smentisce questa tesi.
Prima di tutto, l’ibrido plug-in rappresenta solo una piccola frazione di mercato. Stando all’E-Vision Intelligence Report di J.D. Power, è pari infatti al 2% del mercato negli Stati Uniti, al 3,3% in Italia (nel periodo gennaio-settembre 2024) e al 7,1% in Europa (Ue, UK ed Efta nel periodo gennaio-agosto 2024).
E questo – sottolinea la ricerca – nonostante i 41 modelli PHEV disponibili negli USA, contro i 39 ibridi tradizionali, con i BEV che arrivano a 60. Invocare a gran voce i plug-in serve quindi a poco.
Prezzi più alti
Bisogna poi sottolineare che, sempre oltreoceano, i PHEV godono di crediti d’imposta federali simili a quelli dei veicoli elettrici (in Italia sono addirittura più ricchi). Ciononostante i prezzi restano più alti: per un SUV compatto PHEV si parla di 48.700 dollari con bonus, mentre per gli ibridi, che non ricevono crediti d’imposta, la media è di 37.700 dollari e per i BEV è addirittura di 36.900 dollari. In sintesi, i veicoli plug-in sono più costosi e meno diffusi di quelli full electric, ibridi e a benzina.
Soddisfatti a metà
E che dire dell’esperienza cliente? Si dice infatti che coi PHEV gli automobilisti godrebbero di una guida quotidiana senza emissioni e di un’autonomia molto ampia. Ma non è così. Nessuno può dire con certezza quale sia la percentuale di persone che ricaricano davvero le batterie delle auto plug-in o che, al contrario, fanno principalmente rifornimento di carburante, girando in strada con più peso e, perciò, provocando più emissioni.
I PHEV richiedono poi un contributo dei motori a combustione quando è richiesta massima potenza e non supportano la ricarica rapida a corrente continua.
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