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Ritardare l’accesso alla pensione e salire sopra 64,2 anni di età, ecco come arriva il grande botto nella manovra di Bilancio #finsubito prestito immediato

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Non bastavano i diktat di Bruxelles, che chiedono correttivi al sistema previdenziale limitando le uscite anticipate dal mondo del lavoro, e nemmeno le esigue dotazioni della manovra finanziaria, che non consentono al governo di varare una vera riforma delle pensioni. A tutto questo si è aggiunto l’ultimo rapporto dell’INPS sullo stato del sistema previdenziale italiano, che ha causato un vero scossone nel dibattito sulle pensioni in Italia. I dati presentati dall’INPS nell’ultimo rapporto annuale, anche se poco discussi pubblicamente, costringono il governo a rivedere i suoi piani per la riforma delle pensioni su cui si lavora da tempo.

Si prospetta un vero cambio di rotta, che abbandona l’idea di superare la riforma Fornero, con l’obiettivo principale di innalzare l’età pensionabile oltre i 64 anni.

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Ritardare l’accesso alla pensione e superare i 64,2 anni: il grande cambiamento nella manovra di Bilancio

Dal rapporto dell’INPS è emersa una realtà che pochi avevano considerato fino a poco tempo fa: nonostante l’età pensionabile in Italia sia fissata a 67 anni, le pensioni vengono concesse in media molto prima, con un’età di uscita pari a 64 anni e 2 mesi. Un’età troppo bassa per garantire la stabilità a lungo termine del sistema previdenziale.

Il sistema previdenziale italiano è tutt’altro che al riparo da problemi di sostenibilità. Da quando è stato pubblicato il rapporto dell’INPS, sembra che il governo abbia cambiato approccio rispetto ai lavori sulla riforma delle pensioni, puntando a limitare i danni con una riforma pensioni peggiorativa rispetto alle regole attuali. Inoltre, rispetto alle misure di cui si parlava fino a poche settimane fa, si sta già abbandonando l’idea della quota 41 per tutti, anche se ormai si era trasformata in una pensione contributiva e quindi penalizzante. Ora si cercano soluzioni per aumentare l’età media di uscita dal mondo del lavoro.

Pensioni sempre più distanti? Ecco perché è necessario superare i 64,2 anni

L’obiettivo è chiaro: allontanare l’età del pensionamento, portando la media di uscita dal lavoro oltre i 64,2 anni. Questo si affianca all’altro obiettivo di ridurre la spesa previdenziale. Non ci sono dubbi: quanto più i lavoratori vanno in pensione prima dei 67 anni, tanto più l’INPS deve spendere. Inoltre, con l’aumento dell’aspettativa di vita, l’INPS è costretta a pagare le pensioni per un periodo più lungo, aumentando ulteriormente la spesa.

Si sta quindi considerando l’idea di introdurre incentivi per chi rimane al lavoro oltre l’età pensionabile. Estendendo così le proposte già avanzate per il settore pubblico anche a quello privato. L’idea è di incoraggiare i lavoratori a rinunciare alla pensione e restare in servizio oltre i 67 anni. Aumentando così l’età media di uscita grazie a chi potrebbe trovare conveniente posticipare il pensionamento.

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Anche le finestre di decorrenza possono aiutare a risparmiare e a posticipare l’età pensionabile oltre i 64,2 anni

Tuttavia, premiare i lavoratori che restano in servizio potrebbe non bastare per aumentare l’età media di uscita. Per risparmiare fondi, si sta studiando la possibilità di ritardare ulteriormente la data di decorrenza della pensione anticipata ordinaria. Come? Estendendo di 3 o 4 mesi la finestra di decorrenza della pensione. Attualmente, la pensione anticipata ordinaria, raggiungibile con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, decorre dopo una finestra di 3 mesi. L’idea in discussione è di estendere questa finestra a 7 mesi. Come già avviene per la quota 103 (con 7 mesi per i privati e 9 mesi per i lavoratori pubblici).

Questa estensione verrebbe probabilmente applicata anche alla quota 41 per i lavoratori precoci. Che oggi ha una finestra di 3 mesi, come la pensione anticipata ordinaria.

Ecco cos’altro può succedere

In questo contesto, non si possono escludere altre misure penalizzanti per i lavoratori.

Ad esempio, anche se improbabile, potrebbe essere considerata l’idea di innalzare da 20 a 25 anni il requisito minimo di contribuzione per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria. Questo sarebbe un provvedimento estremamente penalizzante, che escluderebbe dalla pensione molti lavoratori con carriere di 20 anni o poco più. Come le donne, i lavoratori stagionali e quelli con contratti discontinui. Ogni misura, tuttavia, potrebbe essere utile per innalzare l’età pensionabile oltre i 64,2 anni.

Un’altra ipotesi estrema, ma non del tutto da escludere, è quella di imporre un tetto minimo all’importo della pensione. Tetto al di sotto del quale i lavoratori non potrebbero accedere al trattamento previdenziale dall’INPS. Questo limite, presentato come una misura a tutela di chi rischia una pensione povera, potrebbe costringere molti lavoratori con pensioni basse (700/800 euro al mese) a restare al lavoro oltre l’età pensionabile. Sebbene queste siano ipotesi estreme, non possono essere del tutto escluse.



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