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Il mondo industrializzato si trova a dover affrontare alcune delle sfide più importanti degli ultimi secoli, che comporteranno un profondo cambiamento sociale, tanto negli stili di vita quanto nelle modalità di concepire il risparmio pubblico e privato, i contesti economico finanziari e la sanità. Si è di fronte, infatti, alla più grande transizione demografica che l’umanità abbia mai sperimentato e ciò si tradurrà per tutti i Paesi avanzati – Italia in primis – in un periodo di invecchiamento della popolazione che toccherà il suo culmine attorno al 2045/2050 per poi vedere una graduale riduzione dell’età media.

Già prima di arrivare a tale nuovo assetto, l’invecchiamento comporterà un notevole aumento delle prestazioni sanitarie ed esponenzialmente di quelle di assistenza e non autosufficienza che, per il nostro Paese, per via dei stringenti vincoli di bilancio pubblico, difficilmente potranno essere ulteriormente finanziate dallo Stato: il rischio sarebbe quello di mettere in difficoltà il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e quello socio-assistenziale INPS. Di qui, la necessità di studiare nuovi prodotti e nuovi servizi per gestire questa fase nella quale il risparmio e gli investimenti privati saranno sempre più indirizzati a proteggersi dai bisogni futuri: buona vita in buona salute, assistenza nelle funzioni quotidiane e non autosufficienza, solitudine.

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Le prospettive indicano pertanto un ruolo sempre più centrale per la sanità integrativa, chiamata ad assolvere un compito tanto fondamentale quanto delicato: affiancare il sistema pubblico nell’erogazione dei servizi socio-sanitari al fine di poter efficientare la programmazione e la redistribuzione della spesa pubblica sanitaria e assistenziale. Qual è lo stato dell’arte del settore in Italia? Quali sono le criticità e i possibili sviluppi? Ecco la fotografia aggiornata sui fondi e sulle Casse di assistenza sanitaria integrativa elaborata dal Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali nell’Undicesimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2023”. 

 

Fondi e Casse di assistenza sanitaria integrativa in Italia

Come anticipato nell’articolo “Verso una sanità integrativa 2.0?” di Michaela Camilleri, rimane pressoché costante il numero dei fondi sanitari attestati all’Anagrafe del Ministero (324), mentre cresce il totale delle prestazioni – che supera i 3,2 miliardi di euro (+5% rispetto al 2021) – e il numero di iscritti alle forme sanitarie integrative del SSN, che raggiunge quota 16,2 milioni tra lavoratori, pensionati e persone a carico.

Per quanto concerne la forma giuridica adottata, i fondi sanitari hanno scelto tali configurazioni: 79,7% associazione non riconosciuta (a norma articolo 36 del codice civile); 16,5% Società di Mutuo Soccorso (enti senza fini di lucro che perseguono finalità di interesse generale attraverso l’esclusivo svolgimento di attività sociosanitarie in favore dei soci e dei loro familiari conviventi (legge 15 aprile 1886, n. 3818); 2,2% associazioni riconosciute (a norma articolo 12 e ss. del codice civile); l’1,6% Fondazioni (articolo 14 e ss. del codice civile). È quanto emerge dagli ultimi dati diffusi dall’Anagrafe dei Fondi sanitari gestita dal Ministero della Salute che, tuttavia, ammette come i dati pubblicati possano essere considerati solo come indicativi. Permane infatti una situazione “anomala” nel panorama del welfare complementare italiano: la sanità integrativa è a oggi priva di una legge quadro di riferimento e di un organo di vigilanza, tant’è che, i fondi sanitari possono anche non pubblicare bilanci o fornire informazioni molto parziali alla stessa Anagrafe.

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In mancanza di dati ufficiali relative alle contribuzioni che affluiscono ogni anno alle “forme sanitarie”, al rapporto contributi/prestazioni, al patrimonio (e relative modalità di investimento), il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ha individuato un campione di 48 operatori rientranti nelle principali forme sociosanitarie e rappresentative del 70% circa degli iscritti totali al sistema fondi sanitari iscritti all’Anagrafe del Ministero. La maggior parte dei dati di seguito esposti è il frutto di elaborazioni eseguite sulla base dei dati riportati nei contratti collettivi istitutivi di queste forme socioassistenziali, di quelli comunicati dai fondi nel miniquestionario somministrato al campione e dei valori di bilancio esaminati.

 

Contribuzioni

Dal campione analizzato, le entrate totali derivanti da contribuzioni degli iscritti, delle persone a carico e dei datori di lavoro, per il 2023, sono pari a oltre 2,9 miliardi di euro (2,7 miliardi nel 2022 e 2,5 nel 2021) con un incremento di 226 milioni rispetto all’anno precedente (+8,37%).

Se si volesse realizzare una classifica per il totale delle contribuzioni versate, al primo posto troveremo il FASI (fondo sanitario che assicura i dirigenti delle aziende industriali) alla soglia dei 457 milioni di contributi, seguito da Fondo Est (forma che associa lavoratori e datori di lavoro delle imprese commerciali e di servizi aderenti a Confcommercio) con 344,46 milioni, mentre al terzo posto si colloca MetaSalute (fondo sanitario per il comparto metalmeccanico industria) prossimi a 230 milioni di euro; seguono al quarto e quinto posto il Fondo sanitario del Gruppo IntesaSanpaolo e il Fasdac, il fondo dei dirigenti delle aziende commerciali e di servizi. I primi 5 operatori rappresentano il 47,75% circa del campione.

 

Patrimonio 

L’analisi che segue si riferisce al solo patrimonio investito: un primo dato che viene restituito dal campione ristretto di 39 fondi (alcuni soggetti hanno preferito non indicare il loro patrimonio) evidenzia un patrimonio di oltre 3,2 miliardi di euro: su questa base e considerando gli importi medi di versamento, il numero di iscritti e le uscite per prestazioni, possiamo stimare che il patrimonio investito totale dei 324 operatori censiti dall’Anagrafe sia di circa 5,4 miliardi di euro rispetto ai 5 miliardi del 2022, ai 4,85 del 2021 e i 4,75 miliardi stimati per il 2020.

Secondo le stime elaborate, il 90% del patrimonio (pari a 4,8 miliardi) è investito in strumenti mobiliari e immobiliari e circa 540mila euro in immobilizzi materiali e immateriali (ad esempio, programmi informatici, sedi, strumentazioni, altro). Per quanto concerne invece la gestione finanziaria del campione analizzato, il 17,65% dei patrimoni è in gestione indiretta affidata a gestori tramite mandati o gestioni patrimoniali, mentre il restante 82,35% è gestito direttamente tramite acquisto di titoli obbligazionari, azionari, ETF o di sottoscrizione di quote di OICR, SICAV e polizze di assicurazioni. Anche per il 2023, un terzo del patrimonio gestito direttamente è in liquidità (conti correnti, depositi bancari o postali e investimenti a breve termine in fondi monetari o di liquidità); il 13,86% è investito in titoli di Stato, mentre la quota impegnata in risparmio gestito (fondi comuni) rappresenta il 13,25%, seguita dalle polizze di ramo I e V, con circa il 10%. Di rilievo anche gli investimenti diretti in azioni e titoli corporate (2,5% e 3,2% rispettivamente). Gli alternativi rappresentano ancora una quota modesta (0,87%), per lo più immobiliari, private equity e private debt.

La figura che segue evidenzia il mix di investimenti dei fondi sociosanitari rilevati sul campione analizzato per il 2023.

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Figura 1 – Distribuzione % del patrimonio investito per asset class nel 2023

Figura 1 - Distribuzione % del patrimonio investito per asset class nel 2023

Fonte: Undicesimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2023”

 

Si tratta di investimenti coerenti con le attività specifiche dei fondi sanitari che hanno impegni verso gli iscritti nell’anno e poco più, per cui almeno le principali riserve devono essere disponibili e liquidabili in tempi strettissimi soprattutto per i numerosi fondi di modeste dimensioni patrimoniali, mentre quelli medio-grandi presentano una gestione più diversificata con investimenti di medio-lungo periodo delle riserve oltre che in azioni anche in fondi alternativi.

 

Conclusioni e prospettive

Alcune considerazioni finali:

– Nonostante la crescita del settore sotto molti punti di vista (iscritti, contributi, prestazioni) sul versante normativo le uniche novità per il settore sono riconducibili ai due decreti ministeriali che hanno costituito l’Osservatorio nazionale permanente dei fondi sanitari integrativi-Ofsi (DM 15 settembre 2022) e il Cruscotto delle prestazioni dei fondi sanitari (DM 30 settembre 2022). Siamo però ancora molto distanti da una legge quadro sul modello della previdenza complementare che potrebbe concretamente dare slancio all’adesione ai fondi sanitari, anche a favore dei soggetti non contrattualmente coperti e dei lavoratori autonomi, superando auspicabilmente, l’attuale regime fiscale diversificato tra fondi sanitari (tema deducibilità e detraibilità). In tal modo, si potrebbe stimare e porsi come obiettivo una crescita di ulteriori 15 milioni di assicurati, tenendo conto in particolare sia dei lavoratori subordinati non ancora aderenti (circa 8 milioni) sia di eventuali soggetti a carico a loro carico.

– Le prestazioni erogate sono cresciute negli ultimi anni, raggiungendo quota 3,2 miliardi di euro, tanto da portare il rapporto contributi su prestazioni molto vicino al valore di pareggio. Cifre importanti che tuttavia pesano ancora troppo poco: il 12% sull’intera spesa privata per la salute, valutata in circa 48 miliardi; il rimanente 86% è rappresentato da spese OOP (out of pocket), ovvero direttamente a carico dei cittadini. In prospettiva, se oltre ai 16 milioni di italiani già iscritti a forme di sanità integrativa, aderissero i sopracitati ulteriori 15 milioni di utenti, il sistema sanitario nel suo complesso potrebbe beneficiare di una fortissima riorganizzazione, tra cui la riduzione delle liste di attesa e quindi ampi benefici anche per i non iscritti ai fondi. 

Il patrimonio di funzionamento e i fondi di riserva per molti fondi sono poco rappresentativi, in particolar modo nelle forme assicurate. Per garantire una maggiore solidità del sistema, potrebbe essere opportuno introdurre un patrimonio di riserva pari a 1,5-2 annualità, come richiesto ai principali operatori di mercato (Solvency per le assicurazioni, funding ratio per i fondi e Basilea per le Banche) anche per poter fronteggiare con margini di sicurezza situazioni sanitarie impreviste quali quella recente di COVID-19.

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– Considerando l’invecchiamento della popolazione e vista l’obbligatorietà dell’adesione ai fondi sanitari contrattuali, l’inserimento per tutti gli iscritti della prestazione LTC obbligatoria vita natural durante potrebbe accelerare l’evoluzione della copertura sanitaria nel suo complesso. Ciò garantirebbe infatti sia ai lavoratori sia alle persone a carico, con un costo modesto (peraltro totalmente deducibile), una sicurezza per la non autosufficienza che, certamente, aumenterà all’invecchiare della popolazione e che potrebbe raddoppiare o addirittura triplicare gli importi delle pensioni private e pubbliche all’insorgere della non autosufficienza. La gestione delle risorse potrebbe, in tal senso, vedere la sinergia tra fondi pensione e fondi sociosanitari.

Spunti a quali cercheremo di dare seguito al prossimo Annual Meeting di studio dedicato alle forme socio-sanitarie integrative, programmato per il prossimo 6 febbraio 2025, ideale approfondimento di alcuni dei temi già trattati negli anni nel corso degli eventi dedicati al “Welfare Integrato”.  

Giulia Sordi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

1/10/2024



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