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“Questo lavoro, che segue a “Non è un Paese per madri”, è nato – spiega la socio-demografa e autrice –dal bisogno di dare sfogo e proporre un ragionamento sul discorso della maternità, non però considerato come fine a se stesso, ma guardando oltre verso la ricerca di risposte in tema di genitorialità condivisa, che la cultura e struttura in cui viviamo non ha ancora ben definito. È importante che si superi lo scoglio di parlarne anche all’interno della famiglia”. Occorrono – è questa la proiezione – ben due mesi in più ogni anno per una madre lavoratrice, rispetto a un padre lavoratore, impiegati a prendersi cura della famiglia, mentre il partner può leggere, andare in palestra, fare gli straordinari o giocare a calcetto con gli amici. Il ruolo degli uomini e padri rimane in effetti ancorato a dei cliché: “Abbiamo tre fasi – prosegue l’autrice –: quella in cui l’uomo è assente; dove viene chiamato “mammo”, con una bruttissima espressione e quella che si avvera quando anch’egli partecipa alla cura e viene considerato (anziché essere esaltato) un fatto normale dai media. Noi siamo ancora alla seconda fase”.
Le giovani donne subiscono un pressing sociale basato sul diktat della performance a tutti i costi, nella carriera e nella maternità, ma la filosofia del pro-natalismo non funziona, in primis se non è sorretta dalla libera scelta e, anche in questo caso, se non si investe sui servizi adeguati. Rivoluzionare il paradigma culturale è allora indispensabile, per “spezzare” il ciclo generazionale e puntando sul futuro. “Pensiamo alla scuola – osserva Minello -, che dovrebbe diventare sempre più una comunità, oltrepassando il mero concetto di servizio scolastico; vi sono poi altri strumenti: l’assegno unico e i congedi parentali, su cui la vicina Spagna è avanti rispetto a noi”. La prospettiva, se non si mette mano a questi asset, non è buona: “ci vorranno 204 anni per arrivare ad una parità di tempo dedicato”. Nel frattempo, la visione della famiglia tradizionale, modello “Mulino bianco”, è stata scalzata da altre tipologie di famiglie, da quelle monoparentali a quelle omoaffettive.
Ci sono tanti modi per spingere ad un cambiamento di mentalità, che comprendono l’esempio applicato all’interno della propria famiglia, il compito delle agenzie educative e la formazione anche alle classi dirigenziali, per “scardinarne la resistenza alla parità”. “Il traguardo – conclude la relatrice – è sempre lo stesso: mirare al benessere e migliorare la qualità della vita di tutti i soggetti, bambine e bambini, donne ed anche gli uomini, che – lo dimostrano gli studi – ne guadagnano pure in salute”.
Il Wired Next Fest Trentino è organizzato da Wired Italia in partnership con Trentino Marketing per conto della Provincia autonoma di Trento – Assessorato Sviluppo Economico, Lavoro, Università e Ricerca, Trentino Sviluppo, Comune di Rovereto, APT Rovereto, Vallagarina e Monte Baldo. Insieme alla redazione di Wired Italia, hanno contribuito alla costruzione del palinsesto la Fondazione Bruno Kessler, la Fondazione Edmund Mach, Fondazione Caritro, l’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa – IPRASE, il MUSE – Museo delle Scienze e la Fondazione Hub Innovazione Trentino.
(alr)
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