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Poste pronta a rinunciare a bollettini e raccomandate: «Il servizio universale non conviene più» #finsubito prestito immediato

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Audizione dell’ad Del Fante alla Camera: siamo un’azienda di mercato. Il costo del lavoro di Poste è di circa 6 miliardi

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«È ovvio che a Poste non conviene più essere fornitore del servizio universale, quindi ci rinunciamo, siamo un’azienda di mercato». Non succederà oggi, ma potrebbe accadere in un futuro non troppo lontano di dire addio a bollettini e raccomandate negli uffici postali. Dopo una proroga di 16 mesi, nel 2026 scadrà la concessione del contratto di programma per il servizio universale che Poste Italiane ha con lo Stato, e allora l’azienda, spiega l’ad Matteo Del Fante, potrebbe «non essere interessata a svolgere quel servizio, è un rischio reale». Rispondendo in un’audizione in Commissione Trasporti della Camera sui risultati e le prospettive della società, Del Fante ha fatto due conti: «Noi siamo strutturalmente sotto compensati da 10 anni per i servizi che facciamo: l’azienda ha una percentuale ormai ampiamente inferiore al 10% di attività negli uffici dovuti al servizio universale, ormai stiamo andando verso il 5%». Il resto delle attività, «il 95%, sono di mercato».

«No ai venditori di energia concorrenti negli uffici postali»

Il costo del lavoro di Poste, ha ricordato l’ad, è di circa 6 miliardi, che scende a 3 miliardi senza i postini e lasciando solo gli uffici: «Se concordiamo che è importante quella presenza sul territorio – ha detto Del Fante – dobbiamo permettere all’azienda di operare sul libero mercato in concorrenza con altri operatori». La precisazione arriva in risposta al Garante delle concorrenza che ha chiesto a Poste di aprire i propri uffici ai competitor per la vendita di energia, uno scenario «non percorribile» secondo Del Fante: «Si creerebbe una situazione come quella di più lavavetri che si contendono gli automobilisti al semaforo, c’è un problema di spazi, se ce lo impongono, allora a Poste non conviene più essere fornitore del servizio universale». E chiarisce: «Ci sono 800 aziende autorizzate a vendere e stipulare contratti, 60 si sono formalmente palesate per richiedere l’accesso» e non per andare «nei piccoli comuni, ipotizziamo che scelgano un ufficio grande. Sicuramente in 40 chiederanno di entrarci. Se gli do quello di piazza Bologna a Roma
fisicamente non ci stanno, mettiamo che ne entrino 20 quando c’è la coda
per pagare i bollettini, non è percorribile dal punto di vista fisico».




















































Ricavi in crescita, crescono i servizi finanziari, in calo la corrispodenza

Per quanto riguarda i ricavi di Poste italiane, nel 2023 si sono attestati a 12 miliardi di euro, con una crescita del 2% rispetto al 2017, quando è partita la nuova gestione. L’Ebit è stato pari a 2,6 miliardi, con un +15% e l’utile netto di 1,9 miliardi, pari a +19%». Sono gli altri dati illustrati dall’ad di Poste Italiane. «L’andamento positivo sul fronte positivo ha avuto, ovviamente, un riflesso sul fronte azionario», sottolinea Del Fante. «Cento euro investiti in azioni di Poste italiane nel 2017 oggi valgono 313 euro». «Tuttavia, si sono registrati risultati negativi sul fronte della corrispondenza, mentre crescono i servizi finanziari, assicurativi e dei pagamenti».

Verso la privatizzazione

Del Fante non ha voluto invece commentare l’ipotesi di privatizzazione della società su cui sta lavorando il Mef: «Quanto perderà lo Stato dalla decisione di vendere, cedendo quote, privatizzando? Non è una decisione nostra. Non possiamo rispondere. È una domanda che non può essere fatta a noi visto che non è una nostra decisione. Siamo i manager di una azienda che fa una attività sul mercato, ha un piano industriale ufficiale con dei numeri, punto. E siamo valutati dal mercato e dai nostri azionisti sulla base della capacità o meno di rispettare quel piano».

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26 settembre 2024 ( modifica il 26 settembre 2024 | 07:29)

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