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Dopo aver incassato il sostegno della Germania, molto contraddittorio a dire il vero, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è tornato a chiedere il rinvio degli attuali regolamenti sulle emissioni. Forse, proprio perché non si fida eccessivamente dei tedeschi, stavolta ha però cercato di smorzare i toni. Ha infatti affermato che il nostro Paese potrebbe accettare il previsto bando ai motori endotermici per il 2035, a patto che siano previsti corposi aiuti per consumatori e imprese.
Adolfo Urso chiede incentivi per il sì italiano al bando per i motori endotermici
Il governo Meloni prova a cavalcare il malumore dell’opinione pubblica per il bando ai motori endotermici previsto nel 2035. In flessione di consenso e con alle porte una Legge di Bilancio molto impegnativa, il centrodestra ha concentrato i suoi sforzi sulla questione che sta preoccupando non poche case automobilistiche, non solo europee.
Il ministro Adolfo Urso, però, ha cercato di smussare i toni nella presentazione della posizione italiana. Ecco quanto da lui affermato, al proposito: “Domani (26 settembre, ndr) chiederemo ai governi e alla Commissione europea di anticipare la clausola di riesame prevista nel 2026 ai primi mesi dell’anno prossimo e di anticipare le decisioni al secondo trimestre 2025”. Parole rilasciate nel corso di un incontro con alcuni deputati europei.
Per poi aggiungere: “A quel punto avremo due strade: la prima è la strada maestra di confermare l’obiettivo del 2035, ma decidendo altresì di realizzare le condizioni necessarie per raggiungerlo; la seconda è posticipare il passaggio all’elettrico. Noi preferiamo la prima strada, rendendo sostenibile l’obiettivo del 2035”.
Le condizioni del governo italiano per un sì al bando dei motori endotermici
La domanda, quindi, è la seguente: quali sono le condizioni poste dall’Italia? È stato ancora Urso a ribadirle: l’esistenza di risorse “comuni” (leggasi comunitarie) sufficienti per accelerare la transizione, l’indicazione di obiettivi coerenti con le “esigenze di autonomia strategica dell’Europa”, al fine di riuscire a creare “le condizioni affinché tutto ciò che serve alla produzione green sia sotto controllo europeo, estratto, lavorato nel continente o comunque lavorato in Paesi dai quali possiamo avere garanzie di fornitura, e la neutralità tecnologica per la decarbonizzazione.
Nel caso in cui tali condizioni non siano soddisfatte, non resterebbe altra ipotesi che il rinvio dello stop alle vendite di nuove auto diesel e benzina. A tal proposito, Urso ha aggiunto: “Non è questo che vogliamo, ma noi vorremmo la prima strada sulla quale si può trovare la massima convergenza”. Per poi affermare che occorre farla finita con il teatrino delle finzioni, una pratica che comunque è in voga in tutta l’eurozona. Ove ciò non accada, la politica si ritroverà a dover fronteggiare il malcontento operaio, coi sindacati che già stanno facendo rullare i tamburi, in vista di un autunno caldo. Soprattutto in Germania e Italia.
Il lavoro diplomatico del governo italiano
Urso, in vista della sua partecipazione al Consiglio sulla competitività, sta cercando di attrarre consensi sulla proposta italiana per il rinvio di quel termine del 2035 che a molti appare alla stregua di uno spauracchio. Per farlo, deve però smussare i toni e presentare proposte fattibili.
Per quanto riguarda le seconde, spicca quella relativa alla mobilitazione di fondi ingenti, sia pubblici che privati, in grado di pareggiare l’Inflaction Reduction Act degli Stati Uniti. Solo in tal modo sarebbe possibile dare vita alla necessaria accelerazione su tecnologie, produzione delle imprese, riuscendo anche a sostenere l’acquisto di auto elettriche costose che oggi non sono alla portata delle classi popolari.
In questo quadro ha incontrato il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia e dell’Industria, Robert Habeck, incassando un contraddittorio sostegno tedesco. In pratica la Germania afferma di sostenere la proposta italiana e contemporaneamente si mostra inflessibile sul bando del 2035. A motivare tali contraddizioni, a detta dello stesso Habeck la necessità di tenere in conto il parere degli altri Paesi. Come al solito, quindi, l’UE si accosta alla discussione con posizioni estremamente variegate. Resta da capire se sarà capace di trovare una sintesi tra le stesse.
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