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Europa, perché nella nuova governance economica la flessibilità non basta #finsubito prestito immediato

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Ultim’ora news 27 ottobre ore 20

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Siamo giunti al Terzo Atto delle politiche fiscali europee: dopo il Trattato di Maastricht che risale al 1992 e quello istitutivo del Fiscal Compact di vent’anni più tardi, con l’anno 2025 si inaugura un assetto che, se pure cerca di fare tesoro dell’esperienza maturata in questo così lungo lasso di tempo, facendo prevalere mediante la predisposizione di un Piano strutturale di Bilancio il criterio della flessibilità pluriennale per arrivare al rispetto dei parametri stabiliti in ordine al deficit e al debito pubblico, rispetto alla loro tradizionale tassatività su base annuale.

La difficoltà di conciliare il raggiungimento di obiettivi su base pluriennale

Ciò pone complessi problemi sia politici sia costituzionali, in quanto i percorsi di aggiustamento che si iscrivono in una prospettiva di risanamento quadriennale o quinquennale a seconda della durata della legislatura in ciascun Paese, o addirittura settennale in casi specifici, travalicano il principio della annualità della legge di bilancio, previsto in tutte le Costituzioni nel rapporto tra governi e Parlamenti, che verrebbe completamente svuotato.

Aver dovuto comunque prevedere che il Piano, una volta approvato a livello europeo, possa essere modificato sia in caso di entrata in carica di un nuovo governo sia di revisione della normativa europea, conferma la difficoltà di conciliare il raggiungimento degli obiettivi su base pluriennale con la continua evoluzione del quadro politico sia a livello nazionale sia europeo.

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Sarà tutto in perenne rinegoziazione: da una parte, c’è infatti una Commissione appena costituita in un contesto di maggioranza quanto mai incerta, e dall’altra ci sono i governi di Francia e Germania in condizioni assai precarie. La prospettiva di usare la flessibilità per scaricare il sacrificio degli aggiustamenti maggiori sugli anni a venire non potrà che invelenire i rapporti con l’opposizione e soprattutto esasperare il dibattito elettorale: saranno i nuovi governi, in ogni caso, a pagare lo scotto più pesante.

I criteri qualitativi della spesa nel merito delle politiche di bilancio

Come se non bastasse, per la prima volta in assoluto, la riforma della governance economica europea che è entrata in vigore il 30 aprile 2024 aggiunge ai consueti criteri meramente quantitativi per i bilanci pubblici, il tetto del 3% al deficit e quello del 60% al debito, anche criteri qualitativi della spesa, che entrano nel merito delle politiche di bilancio: si tratta della transizione ecologica e digitale, della sicurezza energetica, del pilastro europeo dei diritti sociali e della difesa dell’Ue. In una fase ancora così complessa per le ricadute industriali, occupazionali e sociali, oltre che per le relazioni internazionali, di tutte queste problematiche, si è deciso di forzare comunque la mano: una scelta che può rivelarsi imprudente.

D’altra parte Bruxelles ricorre sempre alla forzatura dei processi, salvo poi fare rapidamente macchina indietro come è successo col Fiscal Compact, dopo aver constatato i catastrofici risultati derivati dall’aver imposto ad un intero Continente una violenta politica recessiva attraverso il pareggio strutturale del bilancio pubblico: in Italia, ci troviamo pure fortemente sbilanciati con una prescrizione che è stata recepita con la revisione dell’articolo 81 della Costituzione e con successive norme di pari rango che fanno un fumoso rinvio alle norme europee in materia, che consente comunque di derogarvi attraverso un voto parlamentare a maggioranza qualificata che è divenuto prassi costante. Un obbligo di pareggio ormai fuori contesto e completamente privo di costrutto.

Novità positive per l’Italia

Il nuovo assetto europeo introduce d’altro canto novità assai positive per l’Italia, le cui finanze pubbliche sono squilibrate per via dell’eccezionale livello del debito e dell’alto costo del suo servizio a causa dello spread sul Bund: il parametro principale per misurare l’aggiustamento verso l’obiettivo della riduzione del deficit al di sotto del 3% è finalmente la spesa primaria, quella misurata al netto degli interessi.

Oltre a questa componente, particolarmente rilevante per l’Italia, vengono detratti gli effetti delle misure discrezionali sul lato delle entrate, le spese per i programmi dell’Unione interamente finanziata dai fondi dell’Unione, la quota nazionale per il cofinanziamento di programmi finanziati dall’Unione, la componente ciclica derivante dai sussidi di disoccupazione, le misure una tantum e le altre misure temporanee.

Il tasso di crescita nell’Unione Europea resta basso

Nella prima attuazione del nuovo assetto della governance economica, la Commissione dovrà considerare il dato sistemico che sta caratterizzando l’intera Unione: nonostante l’elevato deficit pubblico, che l’anno scorso nell’Eurozona è stato in media del 3,6%, con il picco del 7,4% in Italia che però scontava gli effetti una tantum del superbonus, seguita dalla Francia col 5,5%, si è registrato un tasso di crescita particolarmente basso: ancora nel secondo trimestre di quest’anno è pari allo 0,2% sia nell’intera Unione sia nell’Eurozona.

Questa distonia deriva dalla violenta contrazione dei redditi reali delle famiglie, che sono stati falcidiati dall’inflazione a vantaggio del recupero di fatturato ottenuto dai fornitori di servizi e dal rialzo dei tassi di interesse applicati sui prestiti e sui mutui. In Italia, a picchiare sul deficit sono stati gli interventi fiscali volti a ridurre la tassazione sui redditi più bassi, insieme alla decontribuzione salariale ed al sostegno alle famiglie bisognose ed ai disoccupati. La non integrale rivalutazione delle pensioni ha contribuito a sua volta a ridurre il volume della domanda.

È questo sostegno fiscale straordinario alle famiglie che deve essere valutato con estrema cura nella verifica della coerenza dei bilanci pubblici per il 2025 con le nuove regole della governance economica della Unione, facendo leva sul parametro della spesa netta che finalmente esclude sia gli interessi che le altre componenti cicliche e non strutturali. Dopo lo stress violento determinato dall’inflazione e dal rialzo dei tassi, ora serve tanta prudenza. (riproduzione riservata)

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