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Quale è il fattore principale che può determinare il successo o il fallimento di una iniziativa di innovazione aziendale? Non è quasi mai solo una questione di visione strategica, di potenziale dirompente o di disponibilità di risorse: nella maggior parte dei casi si tratta delle persone.
Innovazione in azienda, il giusto mix di collaboratori
Ingaggiare quindi il giusto mix di collaboratori nei gruppi progettuali è vitale per identificare le opportunità di maggiore impatto, tenere alta la motivazione, ed evitare le insidie del groupthink. Ma, all’atto pratico, chi bisogna coinvolgere e come?
Nella prima Innovation Pill abbiamo parlato di combinare le prospettive tra chi si occupa di attrazione del mercato e chi di spinta della tecnologia. Un’altra dimensione da considerare è quella dell’esperienza: i veterani contribuiscono con profonde competenze specifiche ma, come abbiamo visto la settimana scorsa , possono essere più riluttanti a farsi coinvolgere, e rischiano volontariamente o involontariamente di portare avanti le ortodossie (“si è sempre fatto così…”).
Veterani – giovani: come evitare le reazioni di rigetto
D’altra parte, i colleghi più freschi e i collaboratori esterni – ad esempio imprenditori di startup – possono offrire una prospettiva libera da pregiudizi, una sana ossessione per il cliente e una maggiore propensione al rischio, ma probabilmente hanno meno familiarità con le sfide specifiche del mercato di riferimento.
Quando si mescolano due popolazioni molto diverse sotto la pressione di un progetto di innovazione ad alto rischio (magari di quelli sponsorizzati direttamente dai vertici aziendali), il peggio che può succedere è una reazione antigene-anticorpo, in cui ciascuna delle parti rifiuta le posizioni dell’altra indipendentemente dal merito.
Un approccio pratico alla cultura dell’innovazione
Per questo motivo, molte imprese tendono a mantenerle separate, ad esempio creando laboratori di innovazione indipendenti con forte autonomia dalle unità di business. Però questo approccio spesso non fa altro che ritardare l’inevitabile, causando una crisi di rigetto ancora più forte quando arriva il momento di scalare le innovazioni oltre la fase pilotale.
C’è abbondante letteratura su come favorire la cultura dell’innovazione in azienda, affrontando temi complessi come la tolleranza del fallimento, l’incoraggiamento dei comportamenti imprenditoriali, la formazione delle soft skill – ma oggi voglio concentrarmi su un approccio pratico che mi ha aiutato in più di una occasione a scovare e coinvolgere le persone giuste.
La ricerca degli “alleati naturali”
Si tratta della ricerca degli “alleati naturali”: colleghi, fornitori o clienti diversi che hanno in comune una sfida o una problematica rilevante per i nostri obiettivi di innovazione.
Ad esempio, se stiamo esplorando canali alternativi di go-to-market, potremmo cercare e mettere in contatto un coordinatore del servizio assistenza che conosce bene le frustrazioni dei clienti; un venditore ambizioso stufo della burocrazia dei canali tradizionali; un manager con la mente aperta alla ricerca di opportunità di diversificazione dei ricavi; e magari una startup che sviluppa soluzioni eCommerce in modalità Software-as-a-Service.
Scavando un po’ tra i diversi dipartimenti delle realtà più grandi o nelle filiere produttive fatte di medie imprese, non è raro imbattersi in questo tipo di connessioni potenziali: anche se non si trova l’incastro perfetto, le conversazioni che ne scaturiscono sono spesso fonte di apprendimento, aiutando a mettere meglio a fuoco le sfide su cui si sta lavorando e offrendo piste interessanti per esplorazioni future.
L’importante è non scambiare questo punto di partenza per una soluzione completa: non appena si chiarisce il raggio di azione e si lanciano le progettualità vere e proprie, è fondamentale affrontare il tema dello staffing, ovvero di come allocare una parte del tempo di queste persone alle attività di innovazione, ed incentivarne correttamente il coinvolgimento ed il contributo.
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