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i genitori rispondono per la condotta del figlio minorenne #adessonews

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Durante una partita di calcio in un campionato dilettantistico per ragazzi tra i 14 e i 16 anni, un giocatore interviene a gamba tesa con piede a martello contro il ginocchio dell’avversario, che aveva fermato la palla. Il malcapitato riporta delle lesioni e i genitori agiscono in giudizio al fine di ottenere il ristoro del danno patito. I genitori del ragazzo-danneggiante vengono condannati al risarcimento ma impugnano la decisione di merito, sostenendo che debba applicarsi la scriminante sportiva, essendo la lesione maturata sul campo da gioco durante una competizione agonistica.

A quali condizioni l’illecito sportivo (il fallo) può integrare gli estremi di un illecito civile e/o penale?

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Secondo la Corte di Cassazione, Sezione III, ordinanza 22 luglio 20924, n. 20171 (testo in calce), per valutare se un illecito sportivo (come il fallo in discorso) possa integrare anche un illecito civile e/o penale occorre accertare se l’atto illecito sia stato volontario, ossia se la competizione sportiva rappresenti solo il pretesto per recare l’offesa. Inoltre, affinché il comportamento del giocatore integri una responsabilità civile, non basta la volontarietà dell’atto ma occorre altresì che non sussista un collegamento funzionale tra l’azione di gioco e l’evento lesivo. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno escluso che il fallo commesso dal giocatore possa godere della scriminante sportiva poiché la violenza esercitata (il colpo sul ginocchio dell’avversario) era sproporzionata, il gesto volontario e non collegato funzionalmente al gioco. Inoltre, anche se il calcio rientra tra le discipline a violenza eventuale e i giocatori accettano il rischio che determinate azioni possano comportare una potenziale lesività «non rientra tra i rischi accettati dai giocatori di calcio una condotta di un avversario così scorretta e scoordinata rispetto al leale sviluppo dell’agonismo della competizione quale l’intervento a gamba tesa e con piede a martello su gamba che già aveva bloccato il pallone».

Oltre a quanto sopra, i giudici di legittimità ripercorrono i presupposti della responsabilità per il fatto illecito dei figli minori (art. 2048 c.c.) e rilevano che i genitori del ragazzo non hanno offerto la prova liberatoria, ossia non hanno allegato di aver adempiuto al proprio obbligo di vigilanza e di educazione e, pertanto, non hanno superato la presunzione di colpa stabilita dalla norma.

Danno e Responsabilità, di Autori AA. VV., Ed. IPSOA, Periodico. Problemi di responsabilità civile e assicurativa e tematiche del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
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La vicenda

Durante una partita di calcio di un campionato dilettantistico per ragazzi tra i 14 e i 16 anni, il giocatore di una squadra fa un intervento a gamba tesa con il piede a martello sul ginocchio dell’avversario, che aveva fermato il pallone a terra con il piede, cagionandogli delle lesioni personali. Dopo l’episodio viene avviato un procedimento penale presso il Tribunale per i minorenni che si conclude con l’affermazione di responsabilità per lesioni personali colpose ma è disposto il non doversi procedere per irrilevanza del fatto (ex art. 27 DPR 448/1988). I genitori del minore danneggiato agiscono in sede civile evocando in giudizio i genitori dell’altro ragazzo; questi ultimi si difendono negando che la condotta di gioco abbia integrato una lesione risarcibile e chiamano in giudizio la società sportiva presso cui giocava il ragazzo, nonché il centro sportivo organizzatore del torneo. In primo e secondo grado, viene accolta la domanda attorea ed accertata la responsabilità dei genitori del minore per non aver provato di non aver potuto impedire il fatto, inoltre, viene esclusa la responsabilità delle società sportive convenute.

Si giunge così in Cassazione.

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Premessa: la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei minori

In linea generale, i genitori rispondono per i danni prodotti dai minori:

La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c. configura una forma di responsabilità diretta per fatto proprio, ossia per non aver impedito il fatto dannoso con un comportamento idoneo (Cass. 20322/2005). I genitori sono responsabili a titolo di colpa presunta iuris tantum e la presunzione può essere vinta tramite la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto. La responsabilità del genitore (art. 2048 c. 1 c.c.) e quella del precettore (art. 2048 c. 2 c.c.) non sono alternative tra di loro. Quando il genitore affida il figlio alla custodia di terzi è sollevato dalla culpa in vigilando ma non dalla culpa in educando e, quindi, in caso di illecito, il genitore è comunque tenuto a dimostrare di aver impartito un’educazione adeguata ad evitare, prevenire, impedire comportamenti illeciti.

Tutto ciò premesso, veniamo al decisum.

I genitori devono provare di aver fornito al figlio un’educazione adeguata

I ricorrenti lamentano che la decisione gravata abbia affermato la loro responsabilità stante la mancata prova liberatoria; in particolare, sostengono che non poteva essere richiesta loro alcuna particolare prova, essendosi l’azione svolta all’interno dell’attività agonistica ed entro i limiti consentiti dal gioco.

I giudici di legittimità ricordano che i genitori sono responsabili per gli atti illeciti commessi dai figli minori, in quanto grava su di essi:

Come abbiamo visto, questa forma di responsabilità (art. 2048 c.c.) si fonda su una presunzione di colpa dei genitori (dei tutori, dei maestri e dei precettori). Per vincere la presunzione occorre fornire la prova liberatoria che non consiste nella prova negativa di non aver potuto impedire il fatto, ma nella prova positiva di aver impartito una buona educazione e di aver esercitato una vigilanza adeguata.

La valutazione sull’adeguatezza dell’educazione impartita va effettuata tenendo conto delle condizioni sociali e familiari, dell’età, del carattere e dell’indole del minore. In mancanza di prova contraria, si può desumere l’inadeguatezza dell’educazione impartita dalle modalità con cui è avvenuto il fatto illecito. Infatti, dall’evento può ricavarsi il grado di maturità del minore e il livello di educazione ricevuta.

Vigilanza ed educazione: due obblighi correlati

Secondo la giurisprudenza (Cass. 22541/2019; Cass. 9556/2009), la prova liberatoria ex art. 2048 c.c. coincide con la dimostrazione:

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  • non solo di aver impartito al figlio un’educazione in linea con le proprie condizioni sociali e familiari,
  • ma anche di aver esercitato una vigilanza che sia adeguata all’età con l’obiettivo di correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa.

In che modo il genitore può offrire la suddetta prova?

Secondo i giudici di legittimità occorre allegare che «per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui questi viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i di lui rapporti con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi». Invece, non assume rilievo la circostanza che il fatto illecito sia avvenuto mentre il minore era affidato ad altri, infatti, per i genitori, l’obbligo di vigilanza non è autonomo rispetto all’obbligo di educazione, ma sono correlati. Quindi, i genitori devono vigilare affinché l’educazione impartita sia idonea al carattere ed alle attitudini del minore; inoltre, devono vigilare anche per accertarsi che il figlio abbia compreso gli insegnamenti e li metta in atto, in modo da poter vivere in modo autonomo ma anche corretto (Cass. 9556/2009).

Attività sportiva e illecito civile

I genitori lamentano, altresì, che la decisione gravata non abbia considerato la scriminante sportiva. L’azione posta in essere dal figlio, nel ruolo di difensore, era diretta ad interrompere l’azione della squadra avversaria e al recupero del pallone. Pertanto, secondo le loro difese, sussisteva uno stretto collegamento tra il gioco e l’evento lesivo.

I giudici di legittimità ricordano che l’attività sportiva può essere distinta in tre macrocategorie:

  • necessariamente violenta (come il pugilato)
  • a violenza eventuale, allorché il contatto fisico sia possibile (come il calcio o il basket)
  • non violenta (come nuoto, tennis, atletica).

Il calcio è uno sport a violenza eventuale, pertanto, occorre appurare se l’esercizio dell’attività da parte del giocatore ecceda (o meno) i limiti consentiti dalla disciplina di riferimento. Chi pratica il calcio accetta il rischio di esporsi a contatti potenzialmente violenti ma occorre acclarare quando l’episodio violento fuoriesca dall’illecito sportivo e possa integrare un illecito penale e/o civile.

Innanzitutto, è necessario accertare l’elemento soggettivo, ossia se l’atto illecito sia stato volontario, infatti:

  • costituiscono illeciti sportivi, non punibili penalmente né sanzionabili civilmente, le lesioni determinate da violazioni involontarie del regolamento;
  • invece, possono configurare illeciti penali e/o civili le lesioni cagionate volontariamente durante la competizione sportiva, ove la gara rappresenti solo il pretesto per recare offesa.

L’esempio scolastico di condotta penalmente e civilmente rilevante è quella del calciatore che, a gioco fermo e con la palla lontana, colpisca l’avversario.

Nel caso dell’attività calcistica, affinché il comportamento del giocatore integri una responsabilità civile non basta la volontarietà dell’atto ma occorre altresì che non sussista un collegamento funzionale tra l’azione di gioco e l’evento lesivo.

I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi sopra espressi, ritenendo che il fallo commesso dal giocatore non possa godere della scriminante sportiva poiché la violenza esercitata (il colpo sul ginocchio dell’avversario) era sproporzionata, il gesto volontario e non collegato funzionalmente al gioco. Si tratta di una statuizione formulata all’esito di un giudizio di fatto che è insindacabile in sede di legittimità.

Infine, gli ermellini precisano che l’area penale e quella sportiva sono rette da regole diverse in quanto volte a gestire rischi diversi:

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  • «quelli sportivi, conosciuti e accettati dagli atleti, i quali in tale ambito sono consapevoli della potenziale lesività di determinate azioni di gioco, quale conseguenza possibile della pratica sportiva svolta;
  • quelli civili e/o penali, quale conseguenza dannosa di azioni che esorbitano dall’ordinario sviluppo del gioco o della pratica sportiva interessata, aventi cioè un “quid pluris” che le rende perseguibili penalmente o civilmente sanzionabili in quanto caratterizzate da dolo ovvero da colpa».

Esclusa la responsabilità del centro sportivo

I genitori rimarcano come la condotta del minore sia avvenuta quando lo stesso si trovava sotto la responsabilità del centro sportivo.

La doglianza è infondata infatti, i giocatori minorenni, durante le partite dei vari campionati, si intendono affidati dai genitori alle società sportive con cui sono tesserati e, in particolare, all’allenatore e all’accompagnatore. Questi soggetti, però, non hanno alcun rapporto di lavoro o preposizione con il centro sportivo evocato in giudizio, che si limita ad accogliere l’iscrizione delle squadre ai campionati, a redigere i gironi e simili. Inoltre, correttamente, non è stato applicato l’art. 2049 c.c. che disciplina la responsabilità dei padroni e dei committenti, in quanto il fatto lesivo si è verificato durante la partita, in seguito ad un intervento repentino, che non poteva essere impedito dall’allenatore. In particolare:

  • «i genitori, nel momento in cui iscrivono il proprio figlio minore ad una squadra di calcio, accettano il rischio che il medesimo possa incorrere in infortuni funzionalmente riconducibili alla disciplina sportiva, ma non prevenibili da parte di alcuno (e, quindi, non addebitabili alla società sportiva di appartenenza)»;

I genitori conservano la propria responsabilità per il caso in cui siano i propri figli a cagionare ad altri quegli infortuni.

Omesso deposito di copia della sentenza e della relata: ricorso improcedibile

Il ricorrente deve depositare a pena di improcedibilità (art. 369 c. 2 c.p.c.)

  1. “il decreto di concessione del gratuito patrocinio;
  2. copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta […];
  3. la procura speciale, se questa è conferita con atto separato;
  4. gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

La ratio del deposito della copia della sentenza e della relata (sub 2) è da ricercarsi nella necessità di consentire alla Corte di controllare la tempestività nell’esercizio del diritto di impugnazione. Infatti, quanto la sentenza viene notificata, il ricorrente deve rispettare il termine breve.

La disposizione è stata oggetto di diverse interpretazioni:

  • secondo un orientamento restrittivo e risalente, il deposito della copia della sentenza e della relata di notifica deve avvenire contestualmente al deposito del ricorso nel termine di 20 giorni dall’ultima notifica (Cass. 2067/1971; Cass. 10959/1995),

  • in base all’indirizzo meno restrittivo, è possibile il deposito della copia della sentenza e della relata anche separatamente dal deposito del ricorso, in virtù dell’applicazione estensiva dell’art. 372 c.p.c. che ammette il deposito autonomo di documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso (Cass. SS. UU. 11932/1998).

Di recente, la Suprema Corte nella sua più autorevole composizione ha affermato che il ricorso non possa dichiararsi improcedibile, anche in caso di omesso deposito di copia della sentenza e della relata, se tale documentazione risulti nella disponibilità del giudice «per essere stata prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.) – mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» (Cass. SS. UU. 21349/2022)1.

Conclusioni: sì alla responsabilità dei genitori

Secondo i giudici di legittimità, i genitori del minore (divenuto, nelle more, maggiorenne) non hanno fornito la prova liberatoria, né hanno allegato di aver fornito un’adeguata educazione al figlio. Inoltre:

Il ricorso viene dichiarato improcedibile e i ricorrenti sono condannati al pagamento delle spese di legittimità.

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NOTE

[1] Nel caso di specie, la documentazione non è stata reperita nel fascicolo, cartaceo e telematico, del ricorrente né in quello del controricorrente. Inoltre, non può trovare applicazione il principio secondo cui il ricorso deve considerarsi procedibile, anche in caso di omesso deposito di copia della sentenza e della relata, se la sua notifica dal lato del ricorrente si è perfezionata entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza. Infatti, il collegamento tra la data di pubblicazione e quella di notifica assicura lo scopo di consentire al giudice dell’impugnazione di accertare la tempestività del ricorso. Nella fattispecie in esame, però, la sentenza è stata depositata in cancelleria il 12 ottobre 2021 mentre il ricorso è stato notificato il 15 dicembre 2021, ossia quando il termine di 60 giorni era spirato.




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