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Alzheimer: si può prevenire così. Dove sta andando la ricerca #adessonews

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Numeri in lento ma inesorabile aumento quelli delle demenze, che colpiscono 2 milioni di persone solo in Italia. Entro il 2050 i pazienti saliranno a oltre 3 milioni, con costi proibitivi. Se la stima oggi è di 600mila connazionali con Alzheimer, sono circa 750.000 persone con declino cognitivo lieve a elevatissimo rischio di ammalarsi. A ricordarlo sono Istituto superiore di sanità (Iss), società scientifiche e specialisti che, in occasione della Giornata mondiale dedicata alla malattia, accendono i riflettori sulla prevenzione, sulla ricerca e sulle opzioni terapeutiche in arrivo.

I fattori da tenere d’occhio

Dall’Istituto superiore di sanità ricordano che sono 14 i fattori di rischio modificabili per prevenire o ritardare quasi la metà dei casi. Diabete, colesterolo, ipertensione, fumo, obesità, inquinamento atmosferico. Ma anche traumi cranici, depressione, attività fisica, assunzione di alcol, anni di istruzione, attività cognitiva continua, prevenzione e trattamento della perdita di udito, trattamento della perdita della vista, interazione sociale.  

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Il fatto è che, nonostante il 49% della popolazione sia preoccupata che la malattia possa in futuro riguardarla personalmente o colpire una delle persone care, solo 1 italiano su 10,si dichiara “molto informato” su questa patologia. E molti non sanno come difendersi. Ecco perché Airalzh Onlus (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer) ha avviato una campagna di sensibilizzazione per invitare la popolazione ad adottare uno stile di vita ad hoc, per la prevenzione delle demenze.

I quaderni salva-ricordi

Muoversi, riposare il giusto, contrastare obesità e diabete, alimentarsi in modo sano, allenare la mente possono tenere lontano il ladro dei ricordi. Per saperne di più, l’associazione ha messo a punto dei quaderni divulgativi (scaricabili dal minisito https://prevenzione.airalzh.it) che aiutano a seguire uno stile di vita ‘protettivo’. “La prevenzione, primaria e secondaria, è un dovere – ha sottolineato Sandro Sorbi, Past President Airalzh e direttore Neurologia I presso il ‘Careggi’ di Firenze – Abbiamo necessità di indicare alla popolazione l’importanza di adottare alcuni accorgimenti sugli stili di vita come per esempio l’attività fisica, l’alimentazione ed il sonno, ma anche la stimolazione cognitiva e l’importanza delle relazioni. Per una patologia come la demenza, non solo sono fondamentali la diagnosi precoce, il trattamento e il supporto, ma anche le strategie di riduzione del rischio, come appunto il perseguimento di uno stile di vita salutare”.

Chi rischia di più e gli esami per scoprirlo

“Esiste una forma prodromica di demenza che viene definita Mild Cognitive Impairment (Disturbo Cognitivo Lieve o MCI degli anglosassoni) – ricorda Paolo M. Rossini, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze dell’Irccs San Raffaele Roma – Questi soggetti sono sostanzialmente efficienti ed efficaci da un punto di vista cognitivo, tranne avere uno a più test neuropsicologici alterati. Questa condizione comporta un rischio parecchie volte più elevato della popolazione di eguale sesso, età o scolarità, visto che circa il 40% si ammala di una forma di demenza vera e propria nei 3 anni successivi alla diagnosi”.

L’identificazione all’interno della popolazione di età superiore ai 60 anni di soggetti con disturbo cognitivo lieve in fase prodromica di demenza ovvero di quelle persone che, pur essendo ancora sostanzialmente sane, hanno un elevatissimo rischio di svilupparla, rappresenta una delle urgenze maggiori in tema di politiche sanitarie. “Si tratta, infatti, di soggetti di fatto già ammalati di una forma molto iniziale, ma che ignorano di esserlo”. Ebbene, con l’aiuto di biomarcatori di vario tipo (PET, EEG, Liquor, Genetica, tests neuropsicologici etc.) e dell’intelligenza artificiale , si stanno mettendo a punto metodi per scovare per tempo questi individui, prima cioè che manifestino i sintomi irreversibili e progressivi della patologia.

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“Questo –  evidenzia Rossini – potrebbe cambiare il corso delle cure, una volta che si rendessero disponibili dei nuovi farmaci contro l’Alzheimer, la forma più diffusa di demenza. Ma anche permettere un intervento mirato e precocissimo con i farmaci attualmente disponibili. Arrivare prima significa intervenire su uno scenario in cui molta parte della ‘riserva neurale’ (cioè quella dote di neuroni e di sinapsi che ognuno di noi possiede ed a cui si può attingere per vicariare –almeno in parte- la funzione svolta da neuroni e sinapsi distrutti dalla malattia) è ancora disponibile e quindi ottenere risultati decisamente superiori nella cura non solo dei sintomi, ma della evoluzione della malattia”.

Alzheimer: i segnali ‘spia’ e un video per non dimenticare

Intercettare la demenza

Sono in corso diversi studi su questi temi: Interceptor, che mette a confronto le capacità di diagnosi precoce e il rapporto costi/benefici di diversi biomarcatori in una popolazione di oltre 300 soggetti con MCI che è terminato alla fine del 2023 (i risultati sono in corso di elaborazione da parte dell’istituto superiore di sanità) e uno studio europeo su intelligenza artificiale e demenze (AI-MIND) finanziato dalla Commissione Europea con circa 14 milioni di euro ed in cui l’Italia vanta ben 4 unità operative.

La ricerca di soluzioni farmacologiche

La ‘caccia’ a un farmaco anti-Alzheimer dura da più di 30 anni, come ricorda l’Iss. Due anticorpi monoclonali diretti contro le diverse forme di aggregati amiloidei che si accumulano nel cevello dei malati sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (Fda) per la commercializzazione negli Stati Uniti; uno di questi è stato approvato anche nel Regno Unito. L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha invece rifiutato per questi farmaci l’autorizzazione alla immissione in commercio in Europa.

Come ricorda Adnkronos Salute, queste molecole, pur presentando capacità di rimozione delle placche amiloidee a livello cerebrale, hanno mostrato una minima efficacia nelle prime fasi della malattia, nel rallentare il declino cognitivo, con ricadute funzionali scarsamente quantificabili, a fronte della segnalazione di eventi avversi talvolta gravi. Il dibattito a livello nazionale e internazionale è acceso, soprattutto per via del diverso atteggiamento degli enti regolatori americano e britannico rispetto a quello europeo. In attesa di soluzioni concrete e accessibili per ‘imbrigliare’  l’Alzheimer, resta dunque fondamentale la prevenzione. 



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