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La Cassazione pone nuovi paletti in merito al diritto del lavoro intervenendo sul tema del licenziamento. Nello specifico, una recente sentenza tratta del licenziamento tardivo per contestazione disciplinare, evidenziando la necessità della tempestività nelle azioni del datore di lavoro affinché venga considerata valida la piena legittimità del provvedimento. In mancanza di tempestività, l’ex lavoratore ha diritto al risarcimento. Resta invece esclusa per il licenziato la possibilità di poter ottenere il reintegro nel suo vecchio posto di lavoro. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 24609/2024.
Il caso
La Cassazione si è trovata a dover decidere sul ricorso di un ex dipendente licenziato per motivi disciplinari. Il fatto si era verificato il 9 dicembre 2018, mentre la contestazione disciplinare gli era stata notificata il 19 febbraio 2019, cioè oltre 70 giorni dopo.
Il principio dell’immediatezza
I supremi giudici hanno stabilito che nel caso di specie la contestazione dell’azienda è arrivata con eccessivo ritardo, il che ha dato all’ex lavoratore il diritto di pretendere un risarcimento.
In questi casi, è stato specificato, vale il principio dell’immediatezza: la contestazione disciplinare deve avvenire in tempi brevi dopo la conoscenza del fatto illecito. Questo principio evita incertezze per il lavoratore e garantisce una difesa efficace. Un arco temporale eccessivamente ampio fra lo svolgimento dei fatti e l’arrivo della contestazione potrebbe al contrario ingenerare nel lavoratore la falsa convinzione che il suo operato non abbia dato luogo a nessuna sanzione. E ciò, di conseguenza, si tradurrebbe in una ridotta capacità di agire in propria difesa.
La Cassazione ha però specificato che la tempestività può essere relativa, tenendo conto della natura dell’illecito e del tempo necessario per le indagini approfondite, specialmente nelle aziende più complesse.
Quando il licenziamento è non tempestivo
Il licenziamento è da considerarsi non tempestivo, e dunque, suscettibile di risarcimento:
- se senza motivo passa troppo tempo tra l’illecito e la contestazione;
- se il datore di lavoro ha tollerato comportamenti simili in passato.
Il datore di lavoro non può procrastinare la contestazione con lo scopo di rendere più difficile la difesa del dipendente, oppure perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto di lavoro. Secondo i supremi giudici, una tale condotta risulta essere lesiva dei principi di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto professionale.
I precedenti
Nel decidere sul caso, i giudici della sezione Lavoro della Cassazione hanno fatto riferimento ad alcuni precedenti.
La sentenza 290/2023 del Tribunale di Firenze ha chiarito che il principio di immediatezza della contestazione deve tener conto delle circostanze concrete del caso. A una maggiore complessità nel giudizio possono dunque corrispondere tempistiche più dilatate.
La Corte d’Appello di Milano con la sentenza 813/2023 ha chiarito che la tempestività della contestazione non si valuta dal momento in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dei fatti ma dal momento in cui ne ha acquisito piena conoscenza, dopo i dovuti approfondimenti.
Infine la sentenza 18070/2023 della Cassazione ha stabilito che in caso di licenziamento tardivo il dipendente non ha diritto al reintegro ma esclusivamente al risarcimento del danno.
Recentemente la Cassazione è intervenuta anche sul licenziamento per superamento del limite di comporto in caso di malattia e sul licenziamento in caso di applicazione della Legge 104.
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