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Stereotipi, pregiudizi, aspettative sociali sbilanciate e svalutazione dei talenti femminili fanno parte del complesso insieme di fattori che spiegano la scarsa presenza delle donne nel mondo della ricerca scientifica. Traendo spunto dalla propria esperienza personale, dai dati statistici e dai risultati della letteratura scientifica sull’argomento, Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani approfondiscono il problema in Oltre Marie, prospettive di genere nella scienza (le plurali, 2023). L’opera è tra i cinque libri finalisti all’edizione 2024 del Premio Galileo.
Come argomentano Pezzulli e Cipriani, gli stereotipi (di genere, ma non solo) derivano dalla nostra capacità di generalizzare e semplificare singoli fatti e fenomeni per classificare – e quindi comprendere – meglio il mondo. Talvolta, però, queste categorie mentali non assumono solo valore descrittivo, ma anche normativo, diventando fonte di pregiudizi e discriminazioni. Ad esempio, la scarsa rappresentazione delle donne nella scienza rafforza lo stereotipo secondo cui lo “scienziato per antonomasia” debba essere un uomo, solitamente bianco, che ha intuizioni geniali mentre lavora da solo nel suo laboratorio. Di conseguenza, si tende a riconoscere meno credibilità e autorevolezza a chi non rispecchia lo stereotipo.
Come argomentano le autrici, gli stereotipi di genere – come, ad esempio, quello secondo il quale le donne sarebbero poco inclini allo studio delle materie scientifiche perché poco ‘razionali’ e meno brillanti rispetto agli uomini – rischiano di originare una sorta di “profezia che si autoavvera”. La trasmissione culturale di tali pregiudizi attraverso le generazioni – che, come spiegato nel testo, avviene fin dalla prima infanzia – influenza le scelte di vita e di carriera delle persone, spingendo le ragazze a intraprendere meno frequentemente percorsi di studio e di lavoro in ambito scientifico.
Come ricordato in Oltre Marie, il problema del divario di genere in questo settore non riguarda però solo il momento dell’iscrizione all’università. Pezzulli e Cipriani fanno riferimento alla “metafora del tubo che perde”, che descrive il progressivo allontanamento delle donne dalla carriera scientifica e la loro scarsa rappresentazione nelle posizioni di prestigio o di potere.
Le autrici evidenziano diverse cause alla base di tali disparità; tra queste troviamo le discriminazioni di genere negli ambienti accademici (nel testo vengono menzionati, infatti, alcuni risultati scientifici che dimostrano come lo stesso curriculum venga valutato in modo diverso a seconda che venga attribuito a un uomo o a una donna) e le diverse aspettative sociali imposte a uomini e donne. Su queste ultime ricade in misura maggiore la responsabilità di gestire la casa e la famiglia: un onere che talvolta obbliga a compiere scelte difficili tra la carriera e la vita privata. Inoltre, le donne che proseguono la carriera scientifica, comprese quelle che raggiungono posizioni di vertice, sono ancora costrette a scontrarsi con atteggiamenti sessisti, trattamenti sminuenti o molestie, correndo quindi un rischio più alto di sviluppare problemi di autostima o la sindrome dell’impostore.
Una riflessione particolarmente interessante proposta dalle autrici riguarda infine i limiti e le caratteristiche della ricerca scientifica. Trattandosi di un fenomeno umano, l’attività scientifica non è mai impersonale e perfettamente oggettiva. Essa, al contrario, è inevitabilmente influenzata dalle credenze, dai contesti culturali e persino dai pregiudizi dei ricercatori, il cui punto di vista personale influenza i quesiti di ricerca, la scelta dei metodi e l’interpretazione dei dati.
Questo limite può essere in parte superato attraverso un approccio basato sul pluralismo e la cooperazione. Considerare il lavoro scientifico come un’impresa collettiva e plurale – e non, quindi, come l’opera di pochi individui folgorati da intuizioni geniali e perfettamente oggettive – aiuta infatti a comprendere quanto la diversità sia un valore fondamentale per la scienza. Ricercatori e ricercatrici di provenienza, genere, orientamento sessuale, background culturale e storie di vita diverse possono arricchire il dibattito scientifico di nuove prospettive e punti di vista.
Come fare, quindi, ad abbattere gli stereotipi e le discriminazioni di genere e promuovere la partecipazione delle donne? Come spiegano le autrici, la soluzione non è semplice, né unica. È necessario uno sforzo collettivo – da attuare sul piano culturale, politico ed educativo – per ripensare i valori che desideriamo difendere e trasmettere culturalmente e per imparare a riconoscere i pregiudizi ancora radicati nell’immaginario collettivo, compresi quelli più invisibili.
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Abbiamo bisogno, come società, di cambiare il sistema di valori che trasmettiamo alle nuove generazioni, di eliminare la discriminazione nelle scuole, di essere coscienti delle aspettative che proiettiamo e di garantire un’educazione equa e plurale
Oltre Marie, prospettive di genere nella scienza, Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani (le plurali, 2023)
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