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Napoli, all’asta lo storico archivio fotografico Parisio, memoria della città dal 1920 al 1994 – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


All’asta 14mila negativi su lastra e pellicola di foto storiche dell’Archivio Privato Giulio Parisio dal 1920 al 1994.

All’asta le foto storiche di Napoli dell’Archivio Parisio: in vendita 14mila negativi su lastra e pellicola, di vario formato, di foto storiche che vanno dal 1920 al 1994. Un tesoro inestimabile per chi ama il capoluogo partenopeo, perché ricco di testimonianze, in molti casi uniche, della storia del Novecento napoletano,  che documentano l’evoluzione della storia socialeculturale ed urbana della città di Napoli e della Campania. Si tratta, infatti, di beni di interesse storico culturale di soggetti diversi facenti parte dell’Archivio Storico Parisio, per i quali vale una speciale disciplina.

La gara pubblica per acquistare i negativi partirà il 30 dicembre 2024, alle ore 15 e ci sarà tempo fino al 9 gennaio prossimo per presentare le offerte. Prezzo a base di gara 56mila euro, a cui si aggiungono 12mila euro di Iva e altri 9.500 euro circa di oneri, per un totale di quasi 78mila euro.

Chi era Giulio Parisio e la storia dell’Archivio fotografico

Giulio Parisio, nato a Napoli nel 1891, è stato una figura importante per la storia del capoluogo partenopeo. Iniziò come fotoreporter e servì nell’aeronautica durante la Prima Guerra Mondiale. Partecipò a una spedizione in Dalmazia nel 1918 e aprì uno studio fotografico a Napoli negli anni ’20. La sua carriera spaziò dalla fotografia di paesaggio alla pubblicità. Partecipò a numerose mostre internazionali e, dagli anni ’50, si concentrò sulla fotografia industriale. È scomparso nel 1967. La sua immensa produzione cinematografica è confluita negli archivi Parisio-Troncone. La sede della Fondazione è in piazza del Plebiscito.

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“L’Archivio Parisio dichiarato bene culturale di notevole interesse storico dal 1998”

“L’Archivio Privato Giulio Parisio – si legge nei documenti allegati all’asta – risulta essere “elemento qualificante della cultura napoletana dichiarato di notevole interesse storico con Decreto della Sopraintendenza Archivistica per la Campania in data 25 novembre 1998 e che, pertanto, è stato sottoposto alla disciplina di cui al D.P.R. 30 settembre 1963, N. 1409”. Il decreto prevedeva il vari divieti, tra cui “alienazione e di esportazione del materiale” senza preventiva comunicazione alla Soprintendenza, il divieto di “smembramento dell’archivio e di scarti effettuati senza l’osservanza della prescritta procedura, nonché l’obbligo di comunicare alla stessa Soprintendenza “ogni eventuale trasferimento del materiale documentario in altra sede.”

Il Decreto Presidenziale è stato, poi, in parte abrogato. Ad oggi, risulta sostituito dalla “disciplina speciale” del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, secondo la quale anche “gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante” rientrano a tutti gli effetti tra i “beni culturali”. Mentre non è prevista nel Codice “alcuna norma che ne precluda l’espropriazione forzata, che, pertanto – si legge nei documenti agli atti dell’asta – pare doversi ritenere consentita”.

Una linea di indirizzo che sembrerebbe confermata nel Codice anche dall’articolo 59, dove si dice che “Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero” e tale denuncia deve essere effettuata entro trenta giorni “dall’acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata”. Il Ministero della Cultura o i competenti enti pubblici territoriali hanno facoltà di acquistare in via di prelazione il bene alienato.

“Se l’acquirente di un bene culturale oggetto di vendita forzata è tenuto a presentare la suddetta denuncia – è l’argomentazione posta nei documenti di asta – ne discende che quel bene può essere legittimamente assoggettato al pignoramento ed alla successiva vendita. Alla luce di quanto esposto, può, dunque, affermarsi che la riconducibilità di un bene alla categoria dei beni culturali non incide sulla sua pignorabilità, ma rileva unicamente ai fini degli adempimenti previsti dalla normativa in richiamo”.





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