Tifiamo Pistoletto! Contro gli stereotipi di un’arte lontana dalla realtà

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Si è detto in passato che la realizzazione di Cittadellarte fosse l’ultima grande opera di Pistoletto e che lui lavori – ancora molto e molto apprezzato – per sostenere questa ambiziosa impresa, volta a trasmettere ai giovani una prospettiva di vita con al centro l’arte come motore di una trasformazione responsabile e inclusiva della società.

Oggi queste sono parole piuttosto abusate ma, nel caso di Pistoletto, che peraltro ha cominciato a pronunciarle in tempi non sospetti, sono fondate. E basterebbe questo suo impegno verso le generazioni future per giustificare la candidatura al Premio Nobel avanzata dalla Fondazione Gorbachev e accolta favorevolmente a Oslo. Non a caso, quando l’artista ne è stato informato, l’ha accolta «non come un premio personale per ciò che ho fatto finora, ma come impegno per il lavoro futuro».

Ma c’è dell’altro che motiva la nomina. Molto altro. Scandito attraverso tappe inequivocabili che hanno costellato l’intera attività di Pistoletto. Non staremo qui a ricordare il tratto innovativo della sua arte degli inizi: la performance con il gruppo Zoo creato insieme alla sua preziosa e inseparabile compagna Maria Pioppi o, molti anni dopo, all’inizio dei Novanta, quando è stato il primo artista occidentale a entrare in una Sarajevo ancora non del tutto pacificata per sostenere il nascente Museo Ars Aevi.

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Ripercorreremo solo due momenti, ma salienti. Nel 2003, quando l’idea di guerra preventiva prende corpo individuando nell’Iraq di Saddam Hussein la centrale del male, Pistoletto rilancia e contrappone l’idea di “pace preventiva”. È il Terzo Paradiso, che l’artista ha realizzato ovunque, rischiando a volte di sembrare ostaggio di un certo protagonismo, a dare forma plastica – i due cerchi dell’infinito tenuti insieme da un anello centrale – a un forte messaggio spirituale: l’armonia tra gli opposti, tra elementi antitetici come natura e tecnologia, uomo e ambiente, il sé e l’altro. Confermando quella capacità di prefigurare il futuro propria della vera arte, l’obiettivo è attivare le coscienze prima che i conflitti ambientali e politici diventino insostenibili. «Agire oggi per evitare i conflitti del futuro», come dice lui.

Nel 2023, la mostra a Palazzo Reale di Milano, intitolata “Preventive Peace”, è l’occasione per lanciare la call internazionale “Preventive Peace Path”, che unisce migliaia di persone per creare delle “linee” in diversi angoli del mondo in grado di mettere in evidenza la bruttezza della nostra società. E a novembre un suo discorso apre i lavori per l’High Level Ministerial Dialogue on Education for Peace all’Assemblea Generale dell’UNESCO. Pistoletto, dunque, costruttore e ambasciatore di una pace duratura, a capo di quel nutrito gruppo, sparso in tutto il mondo, di ambasciatori del Terzo Paradiso.

Ma cos’è la pace veramente per lui? «Per me significa non avere come scopo il nutrimento istintivo dell’animale, che si traduce nella cultura possessiva dell’essere umano tesa a nutrirsi culturalmente e anche fisicamente sopprimendo i suoi simili. Con la ‘parola’ pace, dunque, intendo una vera e propria rifondazione del pensiero». E poi aggiunge: «Non è necessario utilizzare la parola ‘pace’ in ogni progetto, ma agire in modo che si realizzi veramente lavorando a un progresso pacifico costante, esteso globalmente attraverso ogni ambito del tessuto sociale».

Quindi, centrali sono il pensiero critico di cui l’arte è espressione e l’impegno costante per una pace duratura che permea l’intera società. Ma una tale visione, alta e con al centro una pratica, l’arte, in particolare contemporanea, che non sempre è capita e apprezzata dal pubblico, riuscirà a bucare la sensibilità collettiva, quel muro di gomma che spesso si frappone tra gli artisti e il mondo intorno? Ricordiamo, a tal proposito, le polemiche per la candidatura, e la successiva aggiudicazione, del Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan. Certo, il sommo musicista americano, non andando a Oslo a ricevere il premio, non ha aiutato a smorzare i rumours. E, prima di lui, ricordiamo la sorpresa pelosa, le battute quando ad essere premiato fu Dario Fo. Un giullare, un attore? E che c’entra col Nobel? Sembra, insomma, che la cultura, nelle sue varie espressioni, sia vista, e debba rimanere, estranea all’agire sociale che motiva un Premio Nobel. È uno stereotipo duro a morire.

Noi, ovviamente, facciamo il tifo per Michelangelo Pistoletto. Per lui e per la sua idea di pace e di società.





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