I tagli di Trump colpiscono anche le associazioni italiane

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Bambine Rohingya assistite da Usaid in un campo profughi in Bangladesh – Reuters

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Nessuno sa come riempire il grande vuoto creato dalla sospensione a sorpresa dei fondi Usaid per 90 giorni. La decisione presa tre settimane fa da Donald Trump ha avuto l’effetto di uno tsunami mettendo in discussione i meccanismi della cooperazione internazionale e del sistema multilaterale. Senza contare l’impatto sulla sanità, le emergenze umanitarie e sull’intero sistema di cooperazione internazionale che ha tra i suoi protagonisti ong e reti di Terzo settore, comprese quelle italiane che spesso operano grazie ai finanziamenti, diretti o indiretti, dell’agenzia americana. Ne parliamo con Luca De Fraia, coordinatore della Consulta Internazionale del Forum Terzo Settore e segretario generale aggiunto di ActionAid Italia.

Cosa rischiamo con il congelamento dei fondi?

La paralisi delle politiche globali per lo sviluppo sostenibile e la perdita di credibilità del sistema multilaterale. I dati disponibili dicono che Washington ha congelato 60 miliardi di dollari su 230 del sistema degli aiuti pubblici lo sviluppo. E non sappiamo cosa accadrà dopo il congelamento che sta già producendo effetti molto concreti ed è molto difficile in questa fase produrre una mappatura completa. Ma è abbastanza chiaro che lo stop è stato immediato anche perché riguarda il finanziamento di strutture di cooperazione, quindi anche di parte del sistema delle Nazioni Unite. Non solo, gli Usa sono usciti da diverse organizzazioni internazionali, quindi dal sistema globale della cooperazione. Il che vuol dire in questa fase rischiare di non raggiungere i grandi obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 che la Comunità Internazionale si era data qualche anno fa. Il più clamoroso ovviamente riguarda i mutamenti climatici. Siamo davanti a un cambiamento radicale e dobbiamo cominciare a capire cosa rimarrà del sistema di cooperazione.

Qual è l’impatto del congelamento dei fondi Usaid sul terzo settore italiano?

Siamo ancora in fase di raccolta dati e il Forum del Terzo settore in questo caso si deve affidare alle informazioni che arrivano dagli associati, in particolare dalle reti di rappresentanza della cooperazione. Le nostre organizzazioni possono essere colpite direttamente nella misura in cui ci possono essere finanziamenti evidenti da Usaid, ma anche, in misura ancora maggiore indirettamente, nel senso che chi lavora con il sistema umanitario e riceve fondi da diverse agenzie come dalla Banca mondiale si trova i fondi congelati. C’è molta cautela nel discutere di questi temi complicati, perché la cooperazione statunitense resta un soggetto molto importante. Negli ultimi anni ha avuto una storia di significativo sostegno della società civile con 10 miliardi di dollari e finanzia il 40% delle risorse che vanno alle organizzazioni. In alcuni paesi il danno è ancora più elevato, penso a casi come quello dell’Etiopia. Come Forum siamo preoccupati per il deterioramento del sistema multilaterale perché abbiamo a cuore pace e la solidarietà. E il benessere dei beneficiari, delle organizzazioni partner e delle nostre organizzazioni. Pensi alla piega presa dalla vicenda Ucraina. Molte delle nostre organizzazioni sono intervenute e ancora oggi c’è la cooperazione italiana e ci troviamo davanti a uno scenario inimmaginabile.
L’obiettivo di raggiungere lo 0,7% del pil per ciascun Paese da destinare agli aiuti per sviluppo è definitivamente tramontato?

In Europa aumentano le spese militari, mentre si resta indietro – Italia in primis – rispetto all’obiettivo sottoscritto a livello internazionale di destinare lo 0,70% della ricchezza degli Stati alla solidarietà internazionale. Gli Stati Uniti non hanno mai fatto proprio l’obiettivo dello 0,7%, perché erano i più grossi contributori in assoluto. Lo 0,7% è chiaramente un obbligo che ci parla dell’esigenza di risorse a termini non commerciali, che non producano debito. Ma anche le altre crisi rimangono, quella ambientale, quella del debito, quella di un sistema di tassazione che non funziona. Se un attore come gli Usa si mette alla finestra, la realizzazione di tutti gli obiettivi diventa molto più difficile.

Cosa può fare la società civile organizzata a livello internazionale, per non arrivare impreparati alla fine dei 90 giorni?

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Abbiamo sentito diverse voci interpretare questa situazione come una sveglia. Quando un attore delle dimensioni degli Stati Uniti si sottrae, si crea lo spazio per altri. Negli ultimi anni l’esempio è la crescente presenza della Cina in Africa, anche attraverso forme di cooperazione. Molti commentatori statunitensi che parlavano del congelamento di Usaid hanno messo in guardia l’opinione pubblica sul fatto che, se il soft power americano viene a mancare altri ne approfitteranno. Comunque, la società civile deve continuare a svolgere il suo ruolo. Il Terzo settore crede nella necessità di rilanciare il sistema multilaterale e un’agenda globale inclusiva.

E quale ruolo può giocare l’Ue, che ha già premesso di non disporre dei fondi di Usaid?

La proposta di escludere la spesa militare dai vincoli fiscali, come ha proposto Ursula von der Leyen, ci deve spingere, secondo me, a osare di più. Proponiamo di tenere fuori dal vincolo fiscale anche la cooperazione allo sviluppo, che è un modo per assicurare pace e stabilità.





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