UE, Patti Lateranensi, Burkina Faso, Iran, musulmani in Francia

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Secondo quanto riferito dal rettore, Papa Francesco ha dato il suo accordo di principio e gli ha chiesto di rivolgersi al cardinale George Koovakad, nuovo prefetto del Dicastero per il Dialogo interreligioso. L’11 febbraio, Chems-eddine Hafiz ha già avuto un primo colloquio con padre Laurent Basanese, che lavora nel dicastero e che fungerà da officiale di collegamento.

Papa Francesco incontra il candidato egiziano per l’UNESCO

Khaled el Enany, candidato per la posizione di direttore generale dell’UNESCO, è stato ricevuto lo scorso 10 febbraio in udienza da Papa Francesco. Enany era accompagnato dal ministro plenipotenziario Wael Abdel Wahab.

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Secondo un comunicato distribuito successivamente, Enany ha delineato al Papa per sommi capi la sua visione per l’UNESCO, sottolineando che “costruire pace e rispetto mutuo possono essere raggiunti attraverso il dialogo e la cultura”, sottolineando che “il potere del dialogo e della buona educazione è un ponte che connette cuori e menti”.

Enany e Papa Francesco hanno parlato anche del ruolo della donna, della necessità di ascoltare e rispettare la maggioranza delle voci che restano di solito inascoltate, concordando sul ruolo primario dell’UNESCO di preservare l’eredità e diversità culturale del mondo promuovendo educazione e diffondendo scienza, tecnologi e cultura.

Dopo l’incontro, El-Enany ha detto che “l’ignoranza e la divisione alimentano il conflitto. L’UNESCO deve essere una forza guida dietro un dialogo globale basato su educazione, cultura, scienza, comunicazione e informazione. Questa missione risuona profondamente nel messaggio di fraternità umana di Papa Francesco”.

Verso un viaggio di Papa Francesco a Teheran?

Mentre Papa Francesco è in ospedale, è difficile parlare di possibili viaggi del Papa. Si sa che nel 2025 dovrebbe andare a Nicea per il 1700esimo anniversario del Concilio, e che il viaggio dovrebbe toccare solo la città turca, e non anche la capitale Ankara, e questo dovrebbe avvenire il 24 maggio. Poi c’è la volontà di andare in Serbia, per un viaggio di un solo giorno.

Tutto sembra passare in secondo piano. Tuttavia, il 5 febbraio – prima dell’ospedalizzazione del Papa – l’ambasciatore di Iran presso la Santa Sede Mohammad Hossein Mokhtari ha incontrato diversi giornalisti in vista della festa nazionale del 7 febbraio, e nell’occasione ha affermato che c’è una intenzione di Papa Francesco di un viaggio in Iran, condivisa anche dalle autorità locali.  “Sarebbe – ha detto l’ambasciatore – un onore per noi accogliere Papa Francesco a Teheran. Abbiamo le braccia aperte per il Santo Padre. Cerchiamo sempre di far sì che questo si realizzi (…) Lui è una persona speciale. Una persona rispettosa dell’Iran come delle altre nazioni. Da entrambe le parti c’è questa intenzione per il viaggio. Come ambasciatore penso sia meglio invitare prima il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in occasione dei festeggiamenti che presto faremo in Iran per i 70 anni delle relazioni diplomatiche. Questo può essere un inizio”.

Mokhtari ha anche detto che l’Iran apprezza “le parole del Santo Padre sul dialogo interreligioso. Tutte le sue parole per noi sono veramente preziose. C’è un pensiero di Papa Francesco che mi piace tantissimo, che ‘il dialogo interreligioso fa sparire l’odio, fa diminuire le distanze, aiuta la comprensione reciproca’. Questo è un messaggio religioso e divino”. (…)

Per questo, ha aggiunto “trasmettiamo sempre le parole del Papa in Iran perché sono un messaggio religioso (…) Apprezziamo la posizione che ha assunto nei confronti della Palestina. Egli ha sempre avuto una posizione positiva anche sulla questione del nucleare iraniano e sull’accordo di Pace del 2015″.

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L’ambasciatore ha anche rivelato che lo scorso gennaio, quando è stato in udienza dal Papa, ha proposto “lo svolgimento di una Conferenza di Pace a Teheran con tutte le guide religiose. Potrebbe essere la prima Conferenza che viene svolta da tutte le guide religiose del mondo. (…) La proposta era da parte mia, non coinvolgeva la Guida Suprema. A Papa Francesco è piaciuta tantissimo, l’ha molto apprezzata. Se avrà luogo in futuro con tutte le guide religiose del mondo sicuramente avrà un risultato brillante”.

                                                           FOCUS PATTI LATERANENSI

Italia e Santa Sede, i temi del bilaterale per l’anniversario dei Patti Lateranensi

Come ogni anno, Italia e Santa Sede hanno ricordato l’anniversario dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) e la revisione del Concordato del 1984 con un bilaterale di altissimo livello, che si è tenuto il 13 febbraio presso l’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede.

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha così potuto avere incontri con il presidente della Repubblica Italiana Mattarella e con il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni.

Durante il bilaterale, si è parlato di difesa della famiglia, crisi internazionali con un occhio speciale al Medio Oriente, la situazione in Ucraina, il tema dei migranti.

A margine della cerimonia, è stato il Cardinale Parolin a dare qualche commento. In primis, ha parlato della situazione di Gaza, ribadendo la posizione della Santa Sede che non ci deve essere deportazione e che “la popolazione palestinese deve poter rimanere nella propria terra”.

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Anche perché la parte italiana – ricorda Parolin – ha notato che una deportazione creerebbe “tensione nell’area”, tanto più che “i Paesi vicini non sono disponibili”, e si deve trovare una soluzione che è “quella dei due Stati”, perché questo dà “speranza alla popolazione”.

Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, il cardinale Parolin ha parlato di una “pace giusta”, e ha notato i “tanti movimenti” – il riferimento è anche ai colloqui tra il presidente Usa Trump e quello russo Putin – e la speranza è che questi movimenti “si concretizzino, sperando che si possa arrivare ad una pace che, per essere solida e duratura, deve coinvolgere tutti gli attori che sono in gioco e tener conto dei principi di diritto internazionale e delle dichiarazioni dell’ONU”.

Non è stato invece toccato il tema del suicidio assistito, che era comunque una ferita fresca a seguito della legislazione promulgata dalla Regione Toscana.

Inoltre, ha detto il Cardinale Parolin, nel bilaterale si è parlato “dell’accoglienza e della collaborazione per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti in Italia. La Chiesa sta facendo tantissimo, servono protocolli di collaborazione a livello regionale”. 

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Il viaggio del Cardinale Parolin in Burkina Faso

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Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, sarà in Burkina Faso dal 14 al 19 febbraio per festeggiare il 125esimo anniversario dell’evangelizzazione del Paese. La presenza del cardinale conclude un anno giubilare iniziato il 22 gennaio 2023. Il 16 febbraio Parolin presiederà la Messa di chiusura del Giubileo a Yagma, che avrà luogo al termine del pellegrinaggio nazionale.

Durante la sua permanenza nel Paese africano, Parolin avrà anche un incontro con i vescovi e il clero burkinabé, i fedeli cristiani, e le autorità di altre religiose. La visita sarà anche l’occasione per rinsaldare i rapporti bilaterali tra Santa Sede e Ouedagoudou, dopo la firma e ratifica dell’accordo tra i due Paesi.

Incontrerà il popolo di Dio martedì 18 febbraio 2025 alle ore 10 presso la parrocchia Cattedrale di Ouagadougou.

Parolin all’Eco di Bergamo: Terrasanta, Ucraina, Siria e Medio Oriente

Il 15 febbraio, l’Eco di Bergamo ha pubblicato una intervista al Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in cui il capo della diplomazia della Santa Sede si sofferma su vari temi: dalla tregua tra Hamas e Israele alla Guerra in Ucraina, dalla situazione in Siria alla presenza dei cristiani in Medio Oriente, fino al Giubileo.

Parlando della situazione a Gaza, il Cardinale Parolin auspica che il cessate il fuoco possa essere “permanente, che metta fine alla sofferenza del popolo palestinese”, e sottolinea che è il tempo di dare segni di speranza “sia agli israeliani che ai palestinesi”.

Per quanto riguarda, invece, la situazione in Siria, il Cardinale Parolin afferma che è importante capire prima di tutto “verso quale strada si stia andando”, accompagnando “lungo la strada dell’inclusività e della convivenza armonica”, anche con un supporto della comunità internazionale nella difficili situazioni di povertà generate da tredici anni di guerra”.,

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In generale, si guarda anche al ruolo più ampio dei cristiani in Medio Oriente, da non considerare come una minoranza, ma piuttosto come “una componente essenziale imprescindibile” che “ha sempre contribuito allo sviluppo e al progresso dei loro Paesi”.

Il segretario di Stato vaticano aggiunge che ogni cristiano dovrebbe “potersi recare liberamente in Terrasanta, senza restrizioni”, e questo riguarda anche gli altri luoghi santi che si trovano in Egitto, Libano, Siria e Giordania.

Capitolo Ucraina: tutti possono contribuire alla pace, ma “le soluzioni non devono mai essere perseguite attraverso imposizioni unilaterali”, rischiando di “calpestare i diritti di interi popoli, altrimenti non vi sarà mai una pace giusta e duratura”.

Il Cardinale Parolin sottolinea che “nella diplomazia occorre un approccio che superi la logica dello scontro e favorisca il dialogo inclusivo, la pazienza e la costruzione di fiducia tra le parti”, e per questo “è fondamentale credere nel multilateralismo e rafforzare il ruolo delle istituzioni internazionali”.

In generale, il cardinale Parolin, sulla scorta di San Giovanni Paolo II, chiede all’Europa di “ritrovare se stessa”, perché di fronte ad “ateismo pratico, populismo, analfabetismo religioso e religione ‘fai da te’”, se certamente c’è da preoccuparsi, bisogna anche guardare a fenomeni incoraggianti, come la richiesta di molti giovani, in Francia di essere battezzati. Ma i cattolici devono chiedersi se, con la propria testimonianza, fede, speranza e carità, il Vangelo continua “ad essere ‘sfidante’”.

Il Cardinale Parolin ha parlato anche di laici e donne nella Chiesa, e del ruolo di protagonisti che “deve trovare concreta applicazione in tutti gli ambiti ecclesiali, a cominciare dalla parrocchia”, anche “nella promozione delle vocazioni sacerdotali”.

Infine, per quanto riguarda il Giubileo, Parolin ricorda che “è tempo di riconciliazione, in quanto richiama al pentimento dei propri peccati e alla conversione”, ma per questo “forse un cammino quotidiano”, suggerisce il cardinale Parolin, “è quello di riscoprire il senso del peccato e di fare l’esperienza liberante del perdono del Signore, soprattutto nel Sacramento della Penitenza”. 

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Il cardinale Parolin presiederà l’ordinazione episcopale di monsignor Bravi

Monsignor Maurizio Bravi, nominato il 15 gennaio nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, sarà ordinato vescovo il prossimo 22 febbraio nella cattedrale di Bergamo. A presiedere la celebrazione, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.

Nato nel 1962, ordinato sacerdote nel 1986, monsignor Bravi è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1995, e ha prestato la propria opera nelle Rappresentanze pontificie in Repubblica Dominica e in Argentina, presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Segreteria di Stato, e poi nelle nunziature apostoliche di Francia e Canada. Era osservatore della Santa Sede presso l’Organizzazione Mondiale del Turismo dal 27 febbraio 2016.

                                                           FOCUS STATI UNITI

USA, Caritas Internationalis condanna la sospensione dei programmi USAid

La decisione dell’amministrazione Trump di sospendere i programmi umanitari finanziati dall’agenzia USAid ha sconcertato diverse organizzazioni internazionali che contavano sull’aiuto finanziario dell’agenzia statunitensi per portare avanti i progetti.

Anche Caritas Internationalis, la confederazione di 162 Caritas di tutto il mondo, ha rilasciato lo scorso 11 febbraio un comunicato in cui condanna “decisione sconsiderata dell’amministrazione statunitense di chiudere bruscamente i programmi e gli uffici finanziati da USAid in tutto il mondo”, riconoscendo il diritto di ogni Stato a cambiare la propria strategia di aiuti, ma puntando allo stesoso tempo il dito contro “il modo spietato e caotico in cui questa decisione spietata viene attuata” che “minaccia la vita e la dignità di milioni di persone”.

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Questo perché – aggiunge Caritas Internationalis – il congelamento di USAid “metterà a repentaglio i servizi essenziali per centinaia di milioni di persone, comprometterà decenni di progressi nell’assistenza umanitaria e allo sviluppo, destabilizzerà le regioni che contano su questo supporto fondamentale e condannerà milioni di persone a una povertà disumanizzante o addirittura alla morte”.

Nel comunicato, si ricorda che per oltre sei decenni “USAid è stato un partner fondamentale di Caritas e della Chiesa a livello globale, supportando comunità vulnerabili in tutto il mondo, fornendo assistenza salvavita alle persone colpite da crisi, alleviando la fame, fornendo assistenza sanitaria e istruzione di base, migliorando l’accesso ad acqua pulita, servizi igienici, riparo e protezione e affrontando le cause profonde della povertà. I suoi contributi sono stati fondamentali, promuovendo stabilità e sviluppo in molte regioni per decenni”.

Caritas Internationalis invita governi, agenzie internazionali e parti interessate “a parlare apertamente” e sollecita “forza l’amministrazione statunitense a revocare queste misure pericolose”.

Attualmente, USAid rappresenta il 40 per cento del bilancio globale degli aiuti distribuiti in tutto il mondo. I destinatari diretti dei fondi UsAid, i beneficiari secondari, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni multilaterali, così come i governi nazionali che dipendono dagli aiuti bilaterali, affrontano tutti una grave battuta d’arresto operativa.

Come risposta, Caritas sta adottando misure proattive, tra cui: sforzi di advocacy, coinvolgendo i governi nazionali, le ambasciate statunitensi e i rappresentanti diplomatici; raccolta di informazioni, collaborando con le reti per valutare e documentare l’impatto sui programmi umanitari; coordinamento, rafforzando la comunicazione per supportare risposte collaborative e strategiche tra i partner.

Papa Francesco scrive ai vescovi USA, la risposta del presidente della Conferenza Episcopale

L’arcivescovo Timothy Broglio, ordinario militare degli Stati Uniti e presidente della Conferenza Episcopale Usa, ha risposto alla lettera che Papa Francesco ha inviato ai cattolici degli Stati Uniti riguardo la necessità di resistere alla deportazione di immigrati non autorizzati e la necessità di salvaguardare la dignità umana con l’obiettivo di un sistema umano di immigrazione.

Nella sua risposta, l’arcivescovo Broglio ha chiesto al Papa di pregare perché gli Stati Uniti migliorino il loro sistema migratorio, proteggano le comunità e salvaguardino la dignità umana”.

Il 10 febbraio, Papa Francesco aveva indirizzato una lettera ai vescovi USA, chiedendo di valutare la giustezza della politiche della nazione alla luce della dignità umana.

Nella sua lettera, Broglio sottolinea che il Papa “chiama non solo ogni cattolico, ma ogni cristiano a ciò che ci unisce nella fede”.

Papa Francesco ha proposto che “una coscienza rettamente formata” sarebbe in disaccordo con l’associazione dello status illegale di alcuni migranti con la criminalità, ha affermato comunque il diritto della nazione di difendersi dalle persone che hanno commesso crimini violenti o seri, e si è poi soffermato sul concetto di ordo amoris, utilizzato dal vicepresidente JD Vance, cattolico, proprio in un dibattito su la politica migratoria dell’amministrazione.

L’arcivescovo Broglio ha anche affrontato la questione della sospensione dei fondi US Aid, pregando che “il governo USA mantenga i suoi impegni precedenti di aiutare i disperati in caso di bisogno”.

La Conferenza Episcopale Usa, come conseguenza del congelamento, ha dovuto lasciare andare ben 50 persone dello staff dell’ufficio per il servizio di migranti e rifugiati. “Mentre combattiamo per continuare la nostra cura per chi ha bisogno, e continuiamo a migliorare la situazione in quei posti dove gli immigranti arrivano sulle nostre sponde – ha detto l’arcivescovo Broglio – siamo consapevoli che in loro vediamo il volto di Cristo. Possiamo, in questo anno giubilare, costruire ponti di riconciliazione, inclusione e fraternità”.

                                                           FOCUS EUROPA

Il re Carlo e la Regina Camilla visiteranno Papa Francesco in Vaticano

Lo scorso 7 febbraio, Buckingham Palace ha annunciato che il Re Carlo e la Regina Camilla viaggeranno il prossimo aprile in Italia, e che nel loro ciclo di incontri è inclusa una visita a Papa Francesco.

La visita dovrebbe avere luogo ad inizio aprile. Secondo la dichiarazione del Palazzo Reale, “durante la visita di Stato delle Loro Maestà alla Santa Sede, il re e la regina si uniranno a Papa Francesco nelle celebrazioni dell’Anno Giubilare”.

La visita continua la tradizione del coinvolgimento dei reali inglesi nelle celebrazioni del Giubileo. Anche la Regina Elisabetta II fece visita in Vaticano durante il Giubileo del 2000. In quell’occasione, la Regina Elisabetta ebbe un colloquio privato con Giovanni Paolo II –  con il quale si incontrò cinque volte durante il suo pontificato.

Si tratterà della prima visita ufficiale di Carlo in Vaticano come re. Tuttavia, si tratta del terzo incontro di Carlo con Papa Francesco. Carlo, quando era ancora principe, aveva incontrato il Papa nel 2017. In quella circostanza, Papa Francesco si rivolse a lui con l’appellativo di “uomo di pace” e Papa Francesco ha risposto: “Farò il mio meglio”.

Carlo incontrò il Papa di nuovo nel 2019, durante un viaggio con Camilla per la canonizzazione del Cardinale John Henry Newman.

Buckingham Palace rende noto che “durante la visita di Stato nella Repubblica Italiana delle Loro Maestà, il re e la regina avranno impegni a Roma e Ravenna, celebrando le forti relazioni bilaterali tra Italia e Regno Unito”.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Siria, il Cardinale Zenari spiega la situazione

In una intervista concessa a catt.ch, il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha descritto la situazione nel Paese dopo il rovesciamento del governo di Bashir Assad e la nuova amministrazione di Abu Mohammed al-Jolani, leader del gruppo Hts (Hayat Tahrir al-Sham).

Il cardiale Zenari ha sottolineato che gli avvenimenti dello scorso dicembre sono “una svolta storica per la Siria”, avvenuta in un breve tempo che ha probabilmente sorpreso anche coloro che hanno preso il potere, che ora “il futuro della Siria, dopo 54 anni di dittatura, è nelle mani dei siriani”.

Per quanto riguarda la Siria, il nunzio sottolinea che si tratta “di un Paese distrutto” dove “la ricostruzione non è ancora cominciata”. Ci sono nel Paese 13 milioni di profughi, e centomila persone sono scomparse, mentre “le principali infrastrutture – a cominciare da ospedali e scuole – sono distrutte o gravemente danneggiate; la corrente elettrica viene erogata solo per due al giorno. L’economia è al collasso”.

Zenari descrive una situazione in cui “il tessuto sociale è gravemente compromesso”, e ci sono corruzione e povertà, mentre manca lavoro. Il nunzio poi nota che “la Siria, finora, è stata un mosaico di etnie e religioni. Ora questo mosaico traballa, dunque bisognerà che si lavori a costruire unità”.

Il cardinale Zenari si appella alla comunità internazionale perché sollevino le sanzioni economiche, e poi racconta degli sviluppi del dialogo tra le autorità cristiane e i nuovi leader della Siria.

“Dopo aver incontrato le autorità religiose cristiane di Aleppo e Homs – racconta il nunzio – il 31 dicembre Al-Jolani ha invitato le autorità religiose cristiane del Paese nel suo palazzo, a Damasco, e ha rinnovato la promessa di una Siria inclusiva, in cui c’è posto per tutti. Ciò lascia ben sperare per il futuro. Usciti da quell’incontro, noi cristiani eravamo animati da un cauto ottimismo: ed è ancora così. Tuttavia i fedeli cristiani hanno ancora paura, ed è comprensibile. Un conto è il dialogo aperto e costruttivo tra leader religiosi, un conto è la vita di tutti i giorni, nella quale, ad esempio, può capitare che una ragazza cristiana a passeggio a capo scoperto sia guardata male e criticata”.

Il cardinale Zenari ha anche ricordato che “negli ultimi 14 anni di guerra, più di due terzi dei cristiani sono emigrati”, una ferita “che si aggiunge alle persecuzioni, alle minacce, alle violenze”. Il nunzio, dopo i fatti dell’8 dicembre, ha fatto un appello ai cristiani perché restino, e perché tornino, perché “i cristiani devono essere in prima fila nella ricostruzione della Siria, in quanto cittadini a pieno titolo di questo Paese”.

Il cardinale si è detto anche speranzoso che in Siria “sorgano grandi statisti”, sebbene “la popolazione, dopo 54 anni di dittatura, abbia perso l’attitudine all’impegno politico”.

Il cardinale parla anche di una nuova speranza nata in Siria, e si augura “che la Siria sia concretamente aiutata dagli altri Paesi a rialzarsi. Attualmente la comunità internazionale mostra cauto ottimismo e usa un’espressione inglese: ‘wait and see’, aspetta e vedi. Ma i siriani hanno bisogno adesso di pane, di medicine, di lavoro! L’espressione giusta è: ‘work and see’, lavora e vedi. È questo l’atteggiamento che dovrebbe avere la comunità internazionale”.

                                                           FOCUS AFRICA

 

Il nunzio al Cairo sostiene che l’Egitto è un polo di stabilità

In una intervista concessa ai media vaticani il 10 febbraio, l’arcivescovo Nicholas Thevenin, nunzio in Egitto e Oman e delegato apostolico presso la Lega degli Stati Arabi, ha sottolineato che l’Egitto è un polo di stabilità politica e religiosa, nonostante sia una terra principalmente musulmana. E infatti sono sette le confessioni cattoliche che si trovano nel Paese: i copti cattolici, i cattolici di rito latino (la metà rifugiati sudanesi o eritrei), le comunità antiche di maroniti, melchiti, siro-cattolici, armeno-cattolici e caldei.

I cattolici in Egitto hanno contribuito allo sviluppo della Chiesa ma anche del Paese, come testimonia la rete delle scuole che conta 17 mila studenti.

C’era un buon dialogo teologico tra copti ortodossi e Santa Sede, ma la pubblicazione della Fiducia Supplicans ha sospeso il dialogo ecumenico. Tuttavia, restano i contatti. Thevenin ha parole di grande stima per il patriarca copto ortodosso Tawadros, che è una persona estremamente colta e allo stesso tempo una persona che ha davvero un cuore di un pastore, un cuore di unità che accoglie ancora molto buono”.

L’arcivescovo Thevenin ha detto che l’essere cattolici ci permette di ricordare – e le autorità qui insistono su questo, come anche sulle Chiese – che la prima identità è quella di essere egiziana e che ognuno costruisce questa società, una società che vive in armonia”.

Il nunzio ricorda che “l’Egitto ha una vecchia tradizione di accoglienza delle comunità, e questo risale a Mohamed Alì che, più di due secoli fa, ha deciso di accogliere persone di ogni estrazione sociale dalle regioni del Mediterraneo, qualunque fosse la loro confessione religiosa, perché riteneva avrebbero potuto portare qualcosa allo sviluppo del Paese”.

Thevenin sottolinea che stiamo oggi “sentendo le conseguenze di questa apertura”, considerando che “il popolo egiziano è un popolo estremamente pacifico”, contrariamente all’opinione comune, e anche che “gli egiziani sono un popolo religioso, si sente forte questa presenza di Dio”.

Il nunzio ha ricordato che in questo momento sta svolgendo una visita Pastorale dell’Alto Egitto, e trova una calorosa accoglienza da parte della popolazione, specialmente a Sud, “dove in alcuni governatorati ci sono percentuali significative di cristiani, superiori al 40 per cento”, perché “quando i vescovi organizzano la visita del rappresentante del Papa, tutta la popolazione è lì immediatamente, anche gli ortodossi e i musulmani”.

I martiri copti egiziani sono stati iscritti nel martirologio romano, Papa Francesco parla spesso di un ecumenismo del sangue. Il cammino ecumenico, però, è difficile. Durante il viaggio di Papa Francesco nel Paese, nel 2017, lui e Papa Tawadros II, il capo della Chiesa copta ortodossa, firmarono una dichiarazione congiunta in cui dissero no alla pratica dei ribattesimi. Adesso – nota il nunzio apostolico – ha scoperto che il 45 per cento dei vescovi ortodossi a quel tempo non erano pronti per questo riconoscimento”, ed è dunque necessario “tempo, tanta pazienza e relazioni personali”, perché nel dialogo ecumenico e interreligioso “è la conoscenza delle persone che conta”.

Prosegue anche il dialogo con i musulmani. Sotto Papa Francesco, si sono ristabilite le relazioni con al Azhar, e Papa Francesco ha avuto un eccellente rapporto persona con il Grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyb. Thevenin ricorda che in Egitto c’è la Casa della Famiglia Egiziana, istituzione creata prima della visita del Santo Padre. Nell’istituzione il Grande Imam è associato alla chiesa cattolica in tutti i sette riti presenti in Egitto, e si tratta di una “iniziativa di dialogo per evitare conflitti”. Nella maggior parte dei casi si tratta di conflitti rurali sulla suddivisione delle terre.

L’arcivescovo Thevenin sottolinea che c’è in generale “uno spirito di dialogo nonostante la crisi che c’è stata a Gaza, e in Terrasanta”, e che non ci sono “mai stati attacchi contro i cristiani” in questa situazione, ma c’è piuttosto un senso di appartenenza allo stesso popolo che “ha mostrato solidarietà con le vittime, le persone espulse, le persone massacrate, le persone maltrattate”.

Parlando invece della situazione dei palestinesi, il nunzio nota che “l’Egitto fornisce assistenza ai suoi fratelli sfollati, ma allo stesso tempo deve rimanere fermo nella protezione della soluzione dei due Stati”.

È una situazione complessa, perché “l’Egitto si trova tra Gaza che si trova al confine con il Sinai e Sudan” e “ha accolto centinaia di migliaia di sudanesi e molti meno palestinesi”, ma è comunque “uno dei Paesi che ha dato loro più assistenza materiale, anche in casi estremi”.

Per esempio, “l’ospedale italiano ha accolto persone che si sono trovate in situazioni drammatiche e poi li ha aiutati a guarire”.

La Chiesa è dunque molto presente, e guarda con preoccupazione alla situazione in Terrasanta, dove – dice il nunzio – “ci stiamo allontanando da una possibile soluzione”, e l’idea del presidente USA Donald Trump di deportare le persone è piuttosto “pulizia etnica, che è molto grave”.

“Le persone – afferma l’arcivescovo Thevenin – hanno il diritto di rimanere, vivere e lavorare dove sono nate, dove vivono e hanno le loro terre. È quindi ovvio che ci sia una grande preoccupazione per queste proposte, e si spera siano solo parole e non eventuali azioni concrete”.

Per quanto riguarda la Santa Sede, si resta fermi sul fatto che “la soluzione per raggiungere una pace giusta e sostenibile resta quella dei due Stati, con uno status speciale garantito a livello internazionale alla città di Gerusalemme”.

Il nunzio non è preoccupato che l’instabilità generale arrivi a toccare l’Egitto, che “è un punto di stabilità nella regione”, sebbene ci siano pressioni che però non attecchiscono perché “genererebbero subito instabilità politica”.

Crisi in Repubblica Democratica del Congo, la posizione della COMECE

Il 12 febbraio, il vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE (la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea) ha rilasciato una dichiarazione riguardo la situazione umanitaria a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. Crociata ha espresso profonda  tristezza e urgente preoccupazione riguardo la situazione umanitaria nel Paese.

La dichiarazione del presidente della COMECE fa seguito alla testimonianza del vescovo di Goma Willy Ngumbi Ngengele, M.Afr, che ha visitato di recente il quartiere generale della commissione a Bruxelles per condividere racconti di prima mano sulla crisi.

I ribelli della sigla M23 e i loro alleati hanno portato il caos nella città di Goma, e i disordini hanno un bilancio di circa 3 mila morti e oltre un milione di sfollati, secondo dati diffusi dalle Nazioni Unite. Anche i civili sono diventati vittime di una violenza diffusa, mentre in migliaia cercano di rifugio in chiese, scuole e campi improvvisati mentre sperimentano mancanza di cibo, acqua, e supporti medici.

Crociata ha mostrato apprezzamento per il pacchetto di aiuti di 60 milioni di euro stanziato dall’Unione Europea, nonché il percorso per la pace regionale proposto dalle Chiese Cattoliche e Protestanti. Allo stesso tempo, il presidente della COMECE chiede maggiori sforzi per assicurare la protezione dei civili e il loro accesso all’aiuto umanitario. Chiede anche alle autorità locali e alla comunità internazionale “di fare tutto ciò che è possibile per risolvere il conflitto con mezzi pacifici”.

Scrive il vescovo Crociata: “Il coinvolgimento di eserciti stranieri e milizie, in particolare il presunto supporto del Rwanda per l’M23, costituisce una seria violazione della legge internazionale. […] L’Unione Europea e la comunità internazionale devono fare pressione su questi attori per cessare il loro supporto all’M23, negoziare in buona fede, rispettare l’integrità territoriale e la sovranità della Repubblica Democratica del Congo, e fermare lo sfruttamento delle sue risorse naturali”.

Guardando al voto del Parlamento Europeo di una risoluzione sulla “Escalation di violenza sulla zona Est della Repubblica Democratica del Congo”, che si è tenuto il 13 febbraio 2025, il vescovo Crociata ha chiesto a tutti i parlamentari europei di adottare sanzioni mirate e di ridefinire le operazioni economiche – incluso il Protocollo di Intesa sulla Catena dei Valori dei Materiali Grezzi Sostenibili – con sanzioni responsabili degli abusi dei diritti umani, di rafforzare le cornici di controllo su minerali causa di conflitti come il cobalto, il coltan e l’oro, e di esercitare pressione diplomatica per assicurare il rispetto dell’integrità territoriale e la sicurezza della Repubblica Democratica del Congo.

Il vescovo Crociata ha chiesto che “l’interesse economico non comprometta l’impegno dell’Unione Europea per la dignità umana, la legge internazionale e la giustizia”.

Senegal, il nunzio ospite di onore della comunità musulmana

Lo scorso 1 febbraio, l’arcivescovo Waldemar Sommertag, nunzio apostolico in Senegal, è stato invitato per la prima volta alla 33esima edizione della Ziarra di Bambilor, una festività religiosa musulmana, che aveva come tema “La spiritualità islamica di fronte al materialismo: quale percorso per il musulmano senegalese di oggi?

L’arcivescovo Sommertag è “ambasciatore del Papa” in Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea-Bissau dal settembre 2022.

L’arcivescovo, accompagnato da una ventina di religiosi e religiose, ha partecipato alla visita annuale che i musulmani fanno ai loro rappresentanti locali. A Bambilor, a est della capitale Dakar, la Ziarra è stata organizzata dal Khalife generale Serigne Thierno Amadou BA.

Ringraziando il Khalife per l’invito, Sommertag ha ricordato che il Papa ha fiducia nel dialogo interreligioso.

Dopo aver consegnato il suo messaggio di pace, monsignor Sommertag ha pregato per tutti i senegalesi e ha reso omaggio con una medaglia di bronzo e un quadro raffigurante San Francesco d’Assisi al Sultano d’Egitto.

In sintonia con quanto espresso dal presule, il generale Khalifa ha invitato il popolo senegalese a coltivare la pace, la solidarietà e la rettitudine nella loro comunità, e a non confidare sul denaro. La ziarra è una visita devozionale periodica che i musulmani rendono al loro capo religioso o presso uno dei loro luoghi sacri. Si tratta di un evento chiave nel calendario delle cerimonie religiose della Repubblica del Senegal. Ogni anno riunisce migliaia di pellegrini provenienti da tutto il Paese. Il Khalifa, Thierno Mouhamed Bachir Tall, l’ha presieduta come momento spirituale di scambio e di richiamo ai principi fondamentali dell’Islam.

L’invito alla Ziarra era una prima volta, ma cristiani e musulmani vivono un grande clima di scambio in Senegal, tanto che spesso il Senegal è citato come esempio di coesistenza pacifica tra le religioni.

                                                           FOCUS ASIA

Kirghizistan, molte chiese a rischio chiusura

Una legge in Kirghizistan potrebbe avere drammatiche conseguenze per le comunità religiose nel Paese, ha denunciato Open Doors, la ONG per i diritti umani che si occupa di cristiani perseguitati.

La legge è entrata in vigore l’1 febbraio, è stata approvata dal Parlamento il 26 dicembre 2024 e firmata dal Presidente il 22 gennaio 2025.

La legge obbliga tutte le comunità religiose del Paese a registrarsi presso le autorità per ottenere una licenza che dovrà essere rinnovata ogni cinque anni. È richiesto un numero molto elevato di firme da parte dei membri, il che rende impossibile l’esistenza legale di comunità con meno di 500 membri adulti: il diritto di predicare e insegnare ad adulti o bambini dipende dalla licenza.
Secondo “Open Doors“, l’obbligo della firma è un “compito quasi impossibile” perché molti cristiani preferiscono rimanere anonimi per paura di repressioni o violazioni della loro privacy, ad esempio tramite intercettazioni telefoniche ufficiali. Soprattutto se convertiti all’Islam, i cristiani solitamente si riuniscono in piccole chiese domestiche e preferiscono non registrarsi per non attirare l’attenzione o essere perseguitati.

Open Doors mette in luce il peggioramento della situazione in Kirghizistan, come delineato anche dal World Watch List, la “mappa” dei Paesi sulla persecuzione dei cristiani nel mondo pubblicata ogni anno. Il Paese è sceso in graduatoria di 14 posizioni in un anno, e si è attestato al 47esimo posto tra i Paesi con la maggiore persecuzione dei cristiani, ha affermato. Ciò rappresenta il più grande deterioramento della situazione per i cristiani in un paese al momento. Molti cristiani stanno ora diventando sempre più clandestini.

Secondo Open Doors, si è anche registrato un aumento considerevole di violenza contro le chiese in Krighizistan, con una particolare enfasi contro i musulmani convertiti al cristianesimo. Le donne di questo gruppo vengono ripetutamente picchiate e minacciate dai loro mariti e, in alcuni casi, vengono addirittura cacciate di casa insieme ai loro figli.                                                    

                                               FOCUS NUNZI ED AMBASCIATORI

Va in pensione il nunzio nei Paesi Bassi

L’arcivescovo Paul Tschang In-Nam, nunzio apostolico nei Paesi Bassi, ha rinunciato al suo incarico al compimento de 75 anni di età. La notizia del suo congedo è stata data dalla Sala Stampa della Santa Sede lo scorso 13 febbraio.

Le rinunce dei nunzi apostolici sono pubblicate dal bollettino della Sala Stampa della Sede in seguito alle nuove norme stabilite dal Motu proprio “Imparare a congedarsi”, pubblicato il 15 febbraio 2018. Secondo il motu proprio, i nunzi seguono la stessa procedura di vescovi e capi Dicastero della Curia non cardinali: anche i rappresentanti pontifici “non cessano ipso facto dal loro ufficio al compimento dei settantacinque anni di età, ma in tale circostanza devono presentare la rinuncia al Sommo Pontefice”. Per essere efficace, la rinuncia dev’essere accettata dal Papa.

L’arcivescovo Tschang In-Nam, sudcoreano, sacerdote dal 1976, ha cominciato la carriera diplomatica nella Santa Sede nel 1985, e ha prestato servizio nelle nunziature di El Salvador, Etiopia, Siria, Francia, Grecia e Belgio.

Nel 2002 è stato nominato da Giovanni Paolo II nunzio apostolico in Bangladesh, diventando così il primo nunzio apostolico sudcoreano della storia della Chiesa.

Dal 2007 al 2012 è stato poi nunzio apostolico in Uganda, e dal 2017 al 2022 è stato nunzio apostolico in Thailandia e Cambogia e delegato apostolico in Birmania e Laos.

L’8 febbraio 2017 ha presentato al governo della Birmania una proposta per lo stabilimento delle piene relazioni diplomatiche e ricevette l’approvazione del Parlamento birmano il 10 marzo seguente. Di conseguenza, il 12 agosto dello stesso anno è divenuto il primo nunzio apostolico del Paese. Era dal 2022 nunzio apostolico nei Paesi Bassi.

Un nuovo ambasciatore di Egitto presso la Santa Sede

Il 12 febbraio, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ha ricevuto Hussein El Saharty, nuovo Ambasciatore della Repubblica Araba d’Egitto , per la presentazione della copia delle Lettere Credenziali.

Il 29 gennaio, il nuovo ambasciatore era anche stato in visita a Papa Tawadros II, per preparare il suo incarico.

Durante l’incontro – sottolinea una nota del Patriarcato – “Sua Santità ha fornito una panoramica delle denominazioni cristiane a seguito dello scisma del V secolo, e ha enfatizzato che la Chiesa copta ortodossa ha mantenuto la vera fede nel corso dei secoli”.

Inoltre, Papa Tawadros ha “messo in luce le forti relazioni tra la Chiesa copta ortodossa e varie altre Chiese, riaffermando la cooperazione sociale e culturale tra la Chiesa Copta ortodossa e il Vaticano”.

                                               FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’OSCE, la questione dell’antisemitismo

Il primo febbraio, la Santa Sede è intervenuta alla Conferenza riguardo la questione dell’antisemitismo nella Regione OSCE, che si è tenuta ad Helsinki. Era una conferenza ad ampio raggio, che – ha notato la Santa Sede – “mette in luce l’approccio olistico operato dall’OSCE e dai suoi 57 Stati di combattere quella reprensibile forma di intolleranza e discriminazione”.

Si tratta di un approccio, nota la Santa Sede, “essenziale per combattere tutte le forme di intolleranza e discriminazione motivate da pregiudizio anti-religioso”.

La Santa Sede si è detta “profondamente preoccupata della crescita dell’antisemitismo in molte parti della Regione OSCE”, una recrudescenza che si manifesta in varie forme, come la negazione dell’Olocausto, la giustificazione degli incidenti di odio contro gli ebrei, i sempre più crescenti movimenti anti ebrei, al punto di incitare anche all’omicidio.

La Santa Sede nota che “tutti gli indicatori disponibili confermano una crescita dell’intolleranza e la discriminazione motiva dall’antisemitismo”, e che “gli attacchi di Hamas sul territorio israeliano del 7 ottobre e la successiva violenza nel Medio Oriente hanno dato sfogo ad una ondata di discriminazione e odio anti-Ebreo e anti-musulmano”.

Il rappresentante della Santa Sede mette in luce che “tutti gli attacchi su luoghi di culto e siti religiosi vanno contro la lettera e lo spirito della libertà di pensiero, coscienza, religione e pensiero”, e per questo reitera il supporto alla lavoro dell’Ufficio dei Diritti Umani dell’OSCE nell’affrontare la questione.

La Santa Sede descrive “preoccupante” la tendenza a banalizzare, minimizzare ed “espropriare” l’Olocausto, specialmente riguardo gli attuali conflitti nella regione OSCE. Gli Ebrei – continua l’intervento – “hanno sofferto grandemente in posti e luoghi differenti, ma la Shoah è stata certamente la sofferenza più grande di tutte”, perché “l’inumanità con la quale gli ebrei sono stati perseguitati e massacrati durante la Shoah è oltre la capacità delle parole”.

La Santa Sede punta anche il dito contro il fatto che l’intelligenza artificiale e i social media che diffondono ancora di più i pregiudizi anti-semiti, sebbene “esistessero molto prima l’età digitale”.

Il pericolo non è solo dato dalla cassa di risonanza che è internet, ma anche il fatto che “i creatori dei contenuti possono nascondere la loro identità, rendendo difficile per le autorità di perseguire i responsabili”, un fenomeno “esacerbato dall’intelligenza artificiale”.

La Santa Sede chiede di dare particolare attenzione al ruolo dei fornitori dei servizi internet e di social network, sottolinea la necessità di stabilire dei “codici di condotta”, ribadisce l’importanza del ruolo dell’educazione, della comprensione pubblica e del dialogo.

La Santa Sede è “convinta che non ci può essere un impegno effettivo contro l’antisemitismo senza che venga definito il problema con cura e che si diffonda attraverso l’educazione un senso di rispetto per le comunità ebree”.

Questo perché “l’ignoranza, il pregiudizio e gli stereotipi” contribuiscono all’antisemitismo nelle nostre società, e che “l’educazione può costruire un fronte contro di loro rendendo la società consapevole della responsabilità comune a proteggere la dignità umana per tutte le persone”.

La Santa Sede si dice “fortemente impegnata a promuovere il dialogo ecumenico e interreligioso a vari livelli”, e ricorda il lavoro della Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei.

La Santa Sede alle Nazioni Unite a New York, il tema della solidarietà

Il 12 febbraio, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha preso la parola durante la 63esima sessione della Commissione per lo Sviluppo Sociale sul tema “Rafforzare la solidarietà, l’inclusione sociale e la coesione sociale per accelerare il raggiungimento degli impegni della Dichiarazione di Copenaghen sullo Sviluppo Sociale e il Programma di Azione del Summit mondiale per lo sviluppo sociale e l’implementazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.

Il nunzio ha notato che la solidarietà è un impegno attivo al bene comune, radicato nella natura sociale intrinseca della persona umana e l’eguale dignità di tutti.

L’arcivescovo ha quindi notato che la solidarietà si realizza solo quando include tutti i membri della famiglia umana, ha espresso preoccupazione che le persone in situazioni vulnerabili sono “a volte deliberatamente esclusa” dalla cultura dello scarto e ha chiesto di agire per promuovere lo sviluppo integrale e la fioritura di tutti gli esseri umani.

Caccia ha infine messo in luce il bisogno di una coesione sociale nel mezzo di una crescent frammentazione, sottolineando l’importanza del principio di sussidiarietà, che riconosce e valorizza il ruolo di ogni livello della società. Infine, ha enfatizzato l’importanza della famiglia come cellula fondamentale della società e “scuola di una umanità più profonda”.





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