Sudafrica, le cause internazionali contro Israele tra storia, diritto e soft power

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In 3 SorsiDopo quasi un anno e mezzo di guerra, a Gaza è arrivata una tregua. Le operazioni israeliane nella Striscia (e non solo) sono state sotto i riflettori dei principali attori internazionali. Una delle iniziative più forti è giunta però dal Sudafrica, che ha denunciato Israele di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di genocidio.

1. LA DENUNCIA DEL SUDAFRICA

Il 17 novembre 2023, a poco più di un mese dal massiccio attacco terroristico lanciato da Hamas in territorio israeliano e dall’immediata risposta militare di Tel Aviv, l’ambasciata sudafricana nei Paesi Bassi ha presentato un’istanza al Procuratore Generale della Corte Penale Internazionale (CPI), a nome proprio e di uno sparuto gruppo di Paesi (Bangladesh, Bolivia, Comore e Gibuti). La richiesta era di nuove indagini relative alle azioni dell’esercito israeliano nei territori occupati della Striscia, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, enfatizzando particolarmente il potenziale riscontro dei crimini internazionali di genocidio, di guerra e contro l’umanità.
Il 21 novembre 2024, quasi un anno dopo l’iniziativa sudafricana, la Camera preliminare della CPI ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa israeliano Gallant, nonché per il capo militare di Hamas Mohammed Deif.
Il Sudafrica, inoltre, aveva presentato il 29 dicembre 2023, un’ulteriore istanza alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’ONU, denunciando Israele per la violazione della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio.

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Fig. 1 – L’ambasciatore sudafricano nei Paesi Bassi, Vusimuzi Madonsela, e i membri della delegazione sudafricana nell’aula della Corte Internazionale di Giustizia durante un’udienza per la causa contro Israele, L’Aia, 24 maggio 2024

2. ODI ET AMO: IL RAPPORTO TRA IL SUDAFRICA E LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

Cercare di comprendere l’attivismo sudafricano richiede di partire da una contestualizzazione storica degli ultimi trent’anni. Dalla fine dell’apartheid (1994) il Sudafrica ha avviato una politica estera che promuovesse la democrazia, i diritti umani e gli interessi africani e dei Paesi in via di sviluppo, cercando di imporsi come guida morale del continente e del Sud Globale. A questo complesso indirizzo si aggiunge un altro importante tassello: la vicinanza di lunga data tra l’ANC, oggi principale partito politico del Sudafrica democratico, e l’indipendentismo palestinese. Ad esempio, già durante gli anni dell’apartheid l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) godeva di ottimi rapporti con l’ANC, al tempo movimento clandestino, – così come i rispettivi leader Yasser Arafat e Nelson Mandela, – il che dimostra un legame pluridecennale tra due popoli accomunati, secondo la posizione ufficiale del partito sudafricano, da una storia di lotta contro l’oppressione: “Noi africani non possiamo godere dei frutti della nostra liberazione finché anche il popolo palestinese non sarà liberato dal razzismo, dall’apartheid e dall’occupazione coloniale di Israele” (ANC Today, 18-24 marzo 2022).
Di fronte a tutti questi elementi non sorprende la polemica nei confronti della CPI e la dichiarazione del ritiro dalla Corte nel 2016 da parte dell’Amministrazione Zuma, la stessa che tra il 2009 e il 2010 aveva ignorato il mandato di cattura internazionale nei confronti del Presidente sudanese Al-Bashir, in visita nel Paese. La contestazione sudafricana della Corte fa riferimento alla sua presunta faziosità, avendo il tribunale concentrato le proprie attività quasi esclusivamente in Africa fino allo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022. Ai sensi dello Statuto di Roma, infatti, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha il grande potere di richiedere con una Risoluzione la sospensione per un anno, rinnovabile con le stesse modalità, di un determinato procedimento della CPI (art. 16): il diritto è così stato esercitato dai membri permanenti del Consiglio per scopi politici. Per questa ragione l’attività della CPI è stata limitata per diverso tempo a questioni rispetto alle quali le grandi potenze mondiali non abbiano assunto posizioni divergenti, come le indagini e la persecuzione nei confronti di imputati africani.

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Fig. 2 – Yasser Arafat, leader dell’OLP, e Nelson Mandela, Presidente del Sudafrica, durante il summit dell’Organizzazione dell’Unità Africana, Tunisi, 13 giugno 1994

3. COSA ASPETTARSI ADESSO?

Lo Stato di Palestina, proclamato nel 1988 dal Consiglio Nazionale Palestinese, ha ratificato lo Statuto di Roma nel 2014. Israele e USA, tuttavia, hanno contestato l’ammissione della Palestina nella Corte in quanto soggetto non riconosciuto universalmente come Paese sovrano. A complicare il quadro giuridico, il mancato riconoscimento della Corte da parte proprio di Tel Aviv e Washington, membro permanente del Consiglio di Sicurezza e da sempre critico nei confronti della Corte.
È difficile prevedere che i mandati d’arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant vengano rispettati dagli alleati di Israele (analogamente a quanto accaduto di recente con Putin in Mongolia, ad esempio): sicuramente non dagli USA, principale partner di Tel Aviv, oggi più che mai dopo l’insediamento di Trump. Discorso più articolato per i Paesi europei, dalle posizioni molto eterogenee, sebbene l’ex Alto Rappresentante dell’UE Josep Borrell abbia richiamato l’importanza degli obblighi del diritto internazionale nel novembre 2024.
La denuncia del Sudafrica appare certamente rafforzata dal legame storico che lega le lotte dell’ANC a quelle dei palestinesi e la centralità della promozione dei diritti umani nella politica estera del Governo sudafricano. Lo scopo di questa mozione, comunque, non è da ricercare nella (probabilmente vana) speranza dei promotori di dare giustizia alle vittime dei soprusi commessi dalle Forze Armate israeliane. Le intenzioni di Pretoria sono da ricondurre al tentativo di accrescimento del proprio prestigio internazionale in un contesto globale transitorio e centrifugo, in cui il potere va spostandosi sempre di più dall’Occidente (il centro) verso il Sud Globale (la periferia). Il Sudafrica, media potenza con evidenti limiti economici e di governance, punta a consolidare la propria posizione di guida della periferia del mondo attingendo a fonti di legittimazione alternative, basate più sul soft power che sulla forza muscolare.

Antonio Magnano

Photo by DrNickStafford is licensed under CC BY-NC-SA

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