La ricostruzione in aula del carabiniere che indagò sul delitto del sindacalista
PALERMO – Fu una “tragedia per giochi di potere mafioso”, spiega il colonnello Salvatore Di Gesare al processo per l’omicidio di Mico Geraci. “Tragedia nel senso di un sotterfugio”, precisa il militare oggi al Ros di Perugia che comandava il Nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo che indagò sull’omicidio del sindacalista assassinato l’8 ottobre 1998 a Caccamo.
I boss Rinella sotto processo
Le indagini sono sfociate nel processo che vede imputati i fratelli Salvatore e Pietro Rinella. I boss di Trabia avrebbero fatto “una cortesia” a Bernardo Provenzano. Era un delitto eccellente, di quelli che potevano creare problemi alla stessa organizzazione mafiosa. Da qui l’esigenza del padrino di Corleone di vestire i panni del “tragediatore”.
“Ogni delitto, specie uno di simile portata – ricostruisce Di Gesare, citato come testimone dal pubblico ministero Bruno Brucoli – doveva ricevere il via libera dalla commissione di Cosa Nostra che era ed è una struttura piramidale. Un omicidio nel 1998 non poteva non passare da un confronto con Provenzano per una valutazione, un consiglio come era abituato a definirli lui. La regola è questa, ma la storia di Cosa Nostra dimostra che ci sono stati tanti esempi di violazione”.
Mico Geraci pericoloso per Cosa Nostra
L’omicidio Geraci fu uno di questi. Il sindacalista stava per candidarsi a sindaco – dopo avere lasciato la Dc – e la sua elezione veniva vista come un rischio per la mafia che controllava la macchina comunale. I mafiosi di Caccamo chiesero a Provenzano di sbarazzarsi del sindacalista della Uil che ostacolava gli interessi di Cosa Nostra: dalle concessioni edilizie ai contributi agricoli, dal piano regolatore alla distribuzione dell’acqua.
Provenzano avrebbe dato il via libera all’organizzazione dell’agguato, scavalcando il capo mandamento di Caccamo, Nino Giuffrè. Quest’ultimo si era opposto perché temeva la reazione delle forze dell’ordine. “Lo fecero a mia insaputa”, disse il boss quando divenne collaboratore di giustizia.
I nuovi pentiti
Negli ultimi anni si sono aggiunte le dichiarazioni di altri tre collaboratori di giustizia: Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo. Cecala riferì di avere ricevuto delle confidenze sull’omicidio da uno zio di Giuffrè nel 2004: “Figghiu mio capace ca un sape vero niente (riferito a Giuffrè ndr) perché furono gente di Trabia… i fratelli Rinella, Pietro e Salvatore… Mandanti, erano ordini che partivano da Bernardo Provenzano, iddi si sentivano di avere carta bianca e potere fare una cosa di questa in un altro mandamento… Lui mi diceva che c’entravano 100 per cento i fratelli Rinella”.
“Subito dopo l’omicidio di Mico Geraci mi raccontava Diego Guzzino – aggiunse Lombado – che è avvenuto un altro omicidio a Trabia. Come diceva lui, l’omicidio Geraci era stato fatto in concerto fra la famiglia di Caccamo e quella di Trabia, dei Rinella, Rinella Pietro… I motivi, lui parlava di cose politiche, che forse c’erano candidature a sindaco”.
I killer furono assassinati
Restivo confermò il ruolo dei killer: “A Trabia c’erano due ragazzi che ora sono stati uccisi che mi parlarono di un omicidio, che dovevano fare un favore ai caccamesi, che questo favore lo dovevano fare i Rinella ed ingaggiarono Filippo Lo Coco, che è morto, e Antonino Canu… Mi hanno dato appuntamento sia Lo Coco che questo Canu a Santa Rosalia, a Trabia, dicendomi se volevo partecipare all’omicidio, che ci facevano diventare capi di Trabia“.
I Rinella avrebbero scelto come killer Filippo Lo Coco e Antonino Canu. Attesero che Geraci rientrasse a casa, di sera, per sparargli sei colpi di fucile. Qualche anno dopo Lo Coco e Canu furono anche loro assassinati. Erano considerati due cani sciolti.
Al processo che si sta svolgendo in Corte di assise a Palermo si sono costituiti parte civile la moglie e i figli del sindacalista assassinato, assistiti dagli avvocati Giuseppe Crescimanno e Armando Sorrentino, la Uil con l’assistenza dell’avvocato Ettore Barcellona, il Comune di Caccamo, rappresentato dall’avvocato Fabio Trizzino, il Centro studi Pio La Torre con l’avvocato Francesco Cutraro, e la Regione siciliana.
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