Giorgia Meloni ha rinviato il varo del decreto Bollette, con cui si contava tra il resto di recuperare circa 600 milioni dalle aste dell’Emission trading system, il meccanismo europeo di tassazione delle emissioni di Co2. Ma dalle rendicontazioni pubbliche presentate dall’Italia a Bruxelles negli ultimi dieci anni emergono diverse criticità nell’utilizzo dei proventi generati da queste aste. Proprio in queste ore, il think tank Ecco Climate pubblica un report in cui segnala significative carenze nella pianificazione della spesa a breve e medio termine e nella trasparenza e tracciabilità dei ricavi delle aste e dei fondi utilizzati. I conti non tornano. Risulta, infatti, che tra il 2012 e il 2024 le aste dell’Ets europeo abbiano generato per Roma proventi per 15,6 miliardi di euro, metà dei quali dovrebbero essere destinati alla lotta ai cambiamenti climatici. Dall’analisi, però, emerge che l’Italia ha speso solo il 9% di questa quota. A distanza di oltre un decennio, inoltre, è stato utilizzato solo il 42% dei proventi delle aste del biennio 2012-2013 (primi anni di messa all’asta delle quote Ets). Non solo. “Dei 3,6 miliardi di euro derivanti dai proventi d’asta, utilizzati per misure emergenziali per la riduzione dei costi delle bollette tra il 2021 e il 2022, non è possibile ricostruire il quadro effettivo della spesa dalle rendicontazioni”, spiega Ecco Climate.
Le prospettive dell’Ets – Introdotto nel 2005, l’Ets europeo inizialmente regolamentava solo il settore elettrico e quello dell’industria energivora per lo scambio di quote di emissioni di gas serra. Oggi coinvolge oltre 10mila installazioni fisse in Europa (più di mille in Italia) e con l’ultima revisione normativa, nel 2023, è stato esteso anche al settore dell’aviazione civile e quello navale. Stabilendo un prezzo alle emissioni di CO2 mediante l’attribuzione di ‘permessi’ a emettere che diminuiscono nel tempo, il costo pagato dalle imprese per comprare queste quote dovrebbe rappresentare la base per il finanziamento delle politiche di transizione. Nel 2027, inoltre, verrà introdotto un nuovo sistema, chiamato Ets2, che regolamenterà le emissioni di carbonio di fornitori di carburanti e combustibili fossili per trasporti, edifici e imprese medio-piccole. Con questa novità si stima un ulteriore incasso di circa 40 miliardi di euro, di cui 7 miliardi destinati al Fondo Sociale per il Clima per proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione dalla cosiddetta povertà energetica. Perché con l’Ets2 i costi della Co2 verranno trasferiti dai fornitori di energia da fonti fossili ai consumatori finali, spingendo questi ultimi a scelte di efficienza energetica ed elettrificazione dei consumi. “Questi costi potrebbero però avere effetti sproporzionati su alcune fasce della popolazione o sulle imprese. Per tale ragione – spiega Ecco – la direttiva europea prevede la possibilità di alleviare il peso sociale derivante da tali costi”. Due i principali strumenti: la spesa diretta dei proventi delle aste e il cosiddetto Fondo Sociale, appunto.
Dove finiscono i ricavi delle aste – L’Ets garantisce entrante importanti per le casse dello Stato. Nel 2012, l’Italia ha incassato circa 76 milioni di euro dalla vendita delle aste, mentre nel 2022 i proventi annuali hanno superato i 3,16 miliardi di euro. Tra il 2012 e il 2023, l’Italia ha ricavato complessivamente 15,6 miliardi di euro dai proventi delle aste, includendo anche le quote del settore dell’aviazione, che rappresentano circa l’1% del totale. Di questi proventi almeno il 50%, ovvero 7,9 miliardi dovrebbero essere stati spesi per le finalità della direttiva, anche considerando le procedure amministrative e il ritardo con cui i proventi diventano effettivamente disponibili per la spesa. Se si considera l’ammontare effettivamente esborsato, però, in nessuno degli anni del periodo analizzato l’Italia ha raggiunto l’obiettivo del 50% di utilizzo dei proventi. Guardando ai soli fondi effettivamente spesi, emerge che complessivamente solo il 9% dei proventi totali generati è stato utilizzato. “Complessivamente, nel periodo 2012-2023, l’Italia ha esborsato solo 1,4 miliardi, un dato nettamente inferiore – sottolinea Ecco – sia rispetto al totale cumulato, che rispetto alla quota vincolata alle voci di spesa indicate nella direttiva”. Anche considerando i proventi generati fino al 2022, per tenere conto delle tempistiche amministrative legate alla effettiva disponibilità delle somme nei capitoli di spesa dei ministeri, la percentuale di proventi spesi raggiunge il 12% e quella dei proventi impegnati l’11%.
Il rischio di disperdere i fondi – “Nei prossimi cinque anni si stima che l’Ets1 possa generare proventi tra i 27 e i 33 miliardi di euro” spiega Matteo Leonardi, direttore e co-fondatore di Ecco. E aggiunge: “Questi fondi non devono andare dispersi in misure emergenziali, come accaduto durante la crisi gas del 2021-22. Possono offrire un contributo significativo nel finanziamento delle politiche della transizione, permettendo a famiglie e imprese di investire in tecnologie alternative a quelle alimentate dalle fonti fossili”. Il problema si pone ancora di più, dunque, con l’introduzione dell’Ets2. “Per un Paese come l’Italia, caratterizzato da un limitato spazio fiscale, l’uso efficiente ed efficace dei proventi delle aste Eu Ets rappresenta un’opportunità per finanziare la transizione energetica, ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e garantire la competitività delle imprese”, aggiunge Chiara di Mambro, direttrice strategia Italia e Europa di Ecco. Da qui quelle che, secondo il think tank, dovrebbero essere le priorità per il Governo Meloni che conta su questi proventi anche per compensare il caro bollette: migliorare la pianificazione della spesa, la trasparenza e la tracciabilità attraverso un sistema pubblico di monitoraggio della spesa e rendicontazione dettagliata dell’impiego dei fondi, ma anche uno snellimento delle procedure amministrative per accelerare l’attribuzione e l’utilizzo dei proventi.
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