Le pmi hanno bisogno di capitali per investire in nuove tecnologie. Altrimenti le perdiamo per strada

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«Le prospettive per gli investimenti in tecnologia, sviluppo e ricerca fatti da Regione Lombardia per il territorio di Varese, si sono concentrate molto sul cluster dell’aerospazio. Gli interventi hanno spiegato bene che cosa sta avvenendo intorno a noi, per esempio su Mind e sull’area dell’ex Expo. Insomma, tutte cose interessanti, di cui bisogna tenere conto. Detto questo, siccome siamo in una situazione di grande evoluzione bisogna anche tener conto degli altri settori del tessuto manifatturiero della provincia di Varese che in questo momento sono in difficoltà». A parlare è Stefania Filetti, segretaria provinciale della Cgil, presente all’incontro delle Ville Ponti meta della seconda tappa del tour istituzionale “Lombardia protagonista. Crescere, costruire, innovare. Qui puoi” con un focus sul distretto aerospaziale lombardo, nato grazie a un progetto che ha come capofila Confindustria Varese.

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Nella Sala Bertini, con la segretaria della Cgil, c’erano anche i segretari provinciali della Cisl dei Laghi e della Uil, rispettivamente Daniele Magon e Antonio Massafra. (foto sopra, da sinistra: Massafra, Filetti e Magon)

Filetti, a quali altri settori del manifatturiero si riferisce?
«La gomma plastica e alcuni pezzi della meccanica classica. Parlare di transizione e di sviluppo, vuol dire anche occuparsi di quelle imprese e di quei lavoratori che si trovano a dover affrontare una fase difficile. Parlare di sviluppo con le startup, senza considerare anche il resto, è riduttivo. Lo sviluppo deve essere per tutti».

Daniele Magon, segretario della Cisl dei Laghi annuisce. E aggiunge: «Il fatto che si parli di creare un’area di sviluppo per tutti quelli che oggi definiamo terzisti, implica anche un’altra considerazione e un nuovo concetto da chiarire».

Qual è il concetto da chiarire?

«Nessuno si trasferisce per essere più vicino a Leonardo. Se le imprese si trasferiscono è perché ci sono degli incentivi adeguati, delle strutture e servizi all’altezza, delle funzionalità utili a fare in modo che questo territorio torni ad attrarre investimenti che porteranno nuovi posti di lavoro. Il mondo del lavoro è complesso, ma il nostro territorio potrebbe essere di nuovo estremamente attrattivo sia per la sua storia che per gli attuali valori di ricchezza prodotta, nonostante il periodo che sta attraversando».

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Per quei settori che fanno fatica in questa fase, che cosa bisognerebbe fare?
«Possono uscire da questa fase solo attraverso un’azione di sistema che preveda incentivi. Per esempio, dire che l’industria del bianco non guarda avanti, può essere un’affermazione molto concreta, però non dice nulla sul futuro di quel settore. Il settore tessile, che in questa provincia ha avuto stagioni felicissime, negli anni ha perso interi pezzi della filiera perché non c’è stata una reazione del sistema. Ora ci si pente di quella perdita perché quei pezzi vanno recuperati dall’altra parte del mondo. Quindi bisogna fare molta attenzione ai settori in sofferenza».

Regione Lombardia, con riferimento all’intervento a sostegno del Distretto Aerospaziale Lombardo, ha parlato di politica industriale, definizione che Antonio Massafra, segretario provinciale della Uil, prova ad inquadrare rispetto al sistema Paese.
«Meno male che Regione Lombardia una vera politica industriale ce l’ha, a differenza del livello nazionale. È ovvio che l’obiettivo di questa operazione è attrarre nuovi investitori e nuovi capitali. Ma questo non basta. In provincia di Varese non c’è solo l’aerospazio ma un manifatturiero molto sviluppato e tante imprese che in questa fase sono in sofferenza».

Quali aziende soffrono di più in questa transizione?
«Quelle artigiane. Quando si parla di capitali, bisogna sapere che ogni volta che incontriamo le piccole aziende il loro problema principale è l’accesso al credito e il sostegno all’attivo circolante. Questi progetti di rilancio, riqualificazione e formazione vanno bene, ma qui c’è bisogno che anche le piccole imprese facciano investimenti in nuove tecnologie. E in questo passaggio vanno sostenute. Oggi questi investimenti vengono fatti solo dalle aziende che se li possono permettere, cioè quelle grandi. Il rischio che corriamo è quello di perdere la spina dorsale del corpo produttivo che è costituito da una miriade di pmi. Mi chiedo dunque quale sia la vera ragione di questo progetto».

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Nel senso che ci sarebbe una motivazione che va al di là di una politica industriale del territorio lombardo?
«Credo che dietro ci sia una concezione politica che fa leva sull’autonomia differenziata delle regioni del nord. Noi invece crediamo che tutto il paese debba svilupparsi. È vero che la Lombardia ha il motore, ma ora questo motore deve diventare dell’Italia. L’errore è farne una questione di concorrenza tra regioni».

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