Chi paga per la negligenza? E per la mancata educazione alimentare? A partire dall’ultimo report dell’Osservatorio internazionale Waste Watcher, una panoramica delle motivazioni dietro lo spreco alimentare e qualche interrogativo.
Spreco di tempo, spreco di fiato, spreco di energie… a quanti sprechi facciamo riferimento ogni giorno è difficile da contare eppure ce n’è uno che non menzioniamo abbastanza: lo spreco di cibo.
Spreco alimentare e perdita
Spreco, che si differenzia dalla perdita alimentare che avviene nelle prime fasi della filiera, per la responsabilità che c’è dietro, per l’occasione persa di salvarlo. E poi è di cibo, perché riguarda tutti quegli alimenti potenzialmente commestibili che lasciamo andare per svariate ragioni in casa, al ristorante, o nella fase di trasformazione e distribuzione.
Su questo tema i numeri che si danno sono tanti (e non inteso come “azione sconsiderata”) proprio per l’attenzione che osservatori nazionali, europei e mondiali gli dedicano ogni giorno. Uno dei report più recenti è stato effettuato dall’Osservatorio internazionale Waste Watcher, pronto a darci una stima di quanto cibo viene cestinato ogni giorno, le motivazioni principali per cui ciò avviene e la predisposizione delle parti in causa ad attuare un cambiamento.
Una panoramica poco numerica dei dati
Lo spreco maggiore avviene nelle case. 617,9g è la quantità di cibo che in media ogni italiano spreca ogni settimana, con una leggera differenza tra Nord, Centro e Sud Italia ed un aumento del 9,11% negli ultimi dodici mesi.
Tra le soluzioni maggiormente adottate per evitare gli sprechi ci sono accorgimenti basilari: andare a fare la spesa preparando una lista, consumare innanzitutto i cibi che stanno andando a male, congelare quelli ancora buoni che non si riescono a consumare, controllare che un cibo appena scaduto sia ancora buono o meno. Non parleremo di tanti altri numeri oltre questa cifra perché, sebbene ci donino una misura di quanto il problema sia elevato, nessuno starà mai a contare i grammi di cibo che vanno nella pattumiera, semplicemente perché se così fosse non lascerebbe che accadesse. Inoltre, i numeri potrebbero sembrarci astratti e quindi deresponsabilizzarci.
Ragioni dietro lo spreco
Analizzare le motivazioni, invece, potrebbe indirizzarci in modo più critico e pratico. Quelle maggiormente riportate allo spreco sono riferite a casi di dimenticanza e al tempo eccessivo che richiede una cura maggiore al cibo. Sullo stesso piano ci sono le persone che non sanno dare una spiegazione al proprio spreco; in misura minore, ma non irrilevante, vengono richiamate la difficoltà, la fatica e i costi che l’attenzione anti-spreco richiede. Una parte delle persone è scoraggiata, non crede che un approccio diverso possa fare la differenza, oppure non sa come applicarlo.
Un ragionamento e dei possibili accorgimenti
Un’alimentazione che limita gli sprechi non dovrebbe essere – solo – una soluzione temporanea: dovrebbe rientrare nel nostro essere cittadini del mondo, delle lenti che mettiamo la mattina quando ci alziamo a fare il nostro dovere. Abbiamo una visione antropocentrica del cibo: lo consideriamo al nostro cospetto per nutrirci e saziarci, ma lo spreco alimentare è un debito verso la terra e verso la società presente e futura che siamo destinati a pagare.
Lo yogurt che stiamo buttando non è un solo vasetto, ma ha alle spalle tutta la produzione, la distribuzione, le risorse ambientali, economiche e umane impiegate per arrivare fino a noi, andando ad impattare fortemente sulla sostenibilità delle nostre vite per l’ambiente. E se di spreco di energie mentali e fisiche che ci fanno impiegare le persone attorno a noi ci interessa molto, come quelle che menzionavo in apertura, forse è il caso di aprire la finestra e vedere anche quelle che dissipiamo e non riguardano solo noi stessi, ma anche i nostri vicini.
Lo stesso osservatorio Waste Watcher riporta i dati dell’insicurezza alimentare che in Italia va ad inasprirsi in zone rurali, periferiche e in fasce della popolazione meno abbienti, con ricadute sulla salute e sulla possibilità di approvvigionamento di scorte alimentari qualitativamente e quantitativamente adeguate. Anche dando uno sguardo al sito web della FAO ci si può fare un’idea guardando il panorama internazionale. La bilancia, dunque, pende dal lato su cui siamo comodi. A volte per negligenza, a volte per inconsapevolezza.
Dobbiamo guardare il cibo negli occhi…
Ci accorgeremo che il cibo “brutto” è mangiabile allo stesso modo di quello “bello”, che forse ci sono delle parti del cibo che possono farci provare sapori inesplorati e che se abbiamo gli stessi metri di misura per la frutta e per le persone non è solo deleterio per le nostre relazioni interpersonali ma anche per la nostra sopravvivenza. Eppure uno degli sprechi maggiori deriva da alimenti, in particolare frutta e verdura, che vengono scartati perché non esteticamente piacevoli.
…e programmare
Potrà infatti sembrare contro intuitivo, ma aumentare la cura della nostra dispensa significa innanzitutto programmare al fine di ridurre le spese economiche e di tempo: agire a monte della nostra alimentazione organizzando in anticipo la spesa e i pasti settimanali sulla base delle proprie esigenze, acquistando i beni alimentari non deperibili e quelli deperibili in momenti diversi, ci consente di contingentare le spese, avere il cibo sufficiente per il tempo previsto ed evitare eccedenze. Insomma, provare a ridurre lo spreco avrà un effetto domino -indubbiamente virtuoso- sulla nostra alimentazione, sul nostro stile di vita, sul nostro portafogli e -last but not least- sull’ambiente.
Solo noi possiamo risolvere il problema , dunque?
No, indubbiamente alcune misure dovrebbero essere prese anche in ambito educativo (come un’educazione alimentare adeguata che guidi ogni fascia della popolazione dall’infanzia all’età adulta), istituzionale, politico, culturale, e tenere conto di diversi aspetti: il primo è che un cambio del genere ci costringe a ripensare anche ai nostri automatismi, e non per tutti è così agevole farlo; noi siamo una parte dell’intera filiera che deve remare verso lo stesso obiettivo. Tra poco vedremo, a questo proposito, qual è la direzione in Europa.
Strade poco battute
Ma dopo questa grandissima digressione sui massimi sistemi sembra interessante guardare anche a due delle soluzioni meno prese in considerazione dai rispondenti né per il passato, tantomeno per il futuro. Ovvero la possibilità di donare il cibo a parenti, amici, o vicini di casa e quella di portare a casa gli avanzi, ad esempio, dal ristorante.
La seconda sembrerebbe essere comunque tra le due quella maggiormente battuta, ma è una strada ancora in salita: è infatti una percentuale davvero minima quella che riceve la proposta da parte del ristorante di portare a casa il cibo avanzato, solo il 3%. Il 39% mai, il 44% qualche volta, il 14% spesso.
E quindi una domanda sorge spontanea: che concetto abbiamo dell’avanzo di cibo? Non è lo stesso che stavamo mangiando fino a pochi istanti prima? Perché in alcuni casi sembra mossa da maleducazione o da cattivo gusto la volontà di donare del cibo o portare con sé gli avanzi? E perché dovrebbe essere qualcosa su cui dovremmo avere remore, se naturalmente ci siamo assicurati che quel cibo è in condizioni tali da poter essere consumato in un altro momento?
Anche le tecniche per riscaldare adeguatamente i cibi possono essere apprese o sperimentate, e donare il cibo è molto spesso occasione per connettersi agli altri o farsi conoscere. È giusto chiedersi a questo punto, però “E il governo cosa fa?”
Il Ministro Francesco Lollobrigida ha partecipato alla presentazione del report dell’Osservatorio internazionale Waste Watcher lo scorso 4 febbraio, in occasione della Giornata Nazionale di prevenzione dello Spreco Alimentare. In Europa il 19 febbraio la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea e i rappresentanti del Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo che prevede la diminuzione entro il 2030 del 30% degli sprechi in ambito domestico, commerciale e ristorativo e del 10% dei rifiuti di trasformazione e fabbricazione, in entrambi i casi facendo riferimento ai dati del biennio 2021-2023.
È un obiettivo al ribasso rispetto agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che prevedeva una riduzione del 50%, ma si auspica che le misure messe in campo dai singoli governi in seguito ai nuovi accordi riguardanti la Direttiva Quadro dell’UE sui rifiuti siano stati ridotti solo per essere superati più agevolmente e ritrovarci a parlarne qui, tra qualche anno, come acqua passata.
Che sia dal basso o dall’alto o con un approccio integrato, è forse importante fare una riflessione più ampia sulle cause dello spreco alimentare e ragionare sul prima – piuttosto che parlare di lotta allo spreco, che di armi siamo già pieni abbastanza.
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