«Criticità sul personale Amtab», il tribunale proroga i controlli. L’azienda in amministrazione giudiziaria per altri quattro mesi

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L’Amtab, l’azienda di trasporto pubblico del Comune di Bari, resterà in amministrazione giudiziaria almeno per altri quattro mesi, fino al 25 giugno prossimo. A stabilirlo, ieri mattina, il Tribunale di prevenzione. La presidente Giulia Romanazzi ha così accolto la richiesta della Dda di Bari. La decisione è arrivata nel giorno dell’anniversario dell’operazione “Codice interno” che portò al commissariamento dell’azienda e alla nomina di un amministratore giudiziale, l’avvocato Luca D’Amore, che il sindaco Vito Leccese, a novembre 2024, ha nominato amministratore unico di Amtab. Alla richiesta dei pm Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino non si sono opposti né D’Amore né il legale dell’azienda di trasporti, l’avvocato Bruno Vigilanti. Nel corso dell’udienza, D’Amore ha presentato una relazione nella quale, oltre a sottolineare le misure di risanamento dell’azienda già avviate nell’ultimo anno, ha sottolineato alcune criticità ancora vigenti, tra cui la presenza di alcuni lavoratori interinali ancora legati ai clan, la mancanza di un direttore generale, la mancanza di un modello organizzativo e un piano carente sulla sicurezza sul lavoro. «Il Comune – ha commentato il sindaco Vito Leccese – continuerà nel suo atteggiamento: collaborazione per obiettivi comuni, per eliminare ogni zona d’ombra. Per questo ci rimettiamo con fiducia alle valutazioni del Tribunale di prevenzione».

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Secondo l’inchiesta della Dda di un anno fa sui presunti intrecci tra mafia, politica e imprenditoria a Bari, che portò all’esecuzione di 130 misure cautelari (due i procedimenti penali in corso, uno in abbreviato a carico di 108 imputati, e uno con rito ordinario a carico di 15 imputati), l’Amtab sarebbe stata, infatti, “colonizzata” dal clan Parisi, tanto che nella motivazione con cui il tribunale poneva l’Amtab in amministrazione controllata, si leggeva che l’azienda sarebbe stata infiltrata da “parenti di affiliati al clan Parisi”, i cui esponenti agivano “nella totale convinzione di poter disporre della società uti dominus, potendo decidere chi doveva essere assunto e in quale ordine”.

Tommaso Lovreglio (nipote del boss Savino Parisi), Massimo Parisi (fratello di Savino) e Michele De Tullio (zio acquisito di Lovreglio), insieme a Dario Loporchio sono stati prima sospesi e poi licenziati dall’azienda. Nel 2018, i primi tre avrebbero ottenuto, attraverso minacce e imposizioni fatte all’allora responsabile aziendale dell’area sosta, attraverso una società di lavoro interinale, l’assunzione a tempo determinato, in occasione della Fiera del Levante, di parenti o persone comunque ritenute vicine al clan Parisi.

Delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’Amtab “e conseguenti assunzioni clientelari di soggetti legati e/o vicini ad ambienti criminali” ha parlato un collaboratore di giustizia, Nicola De Santis, prima in un interrogatorio del gennaio 2019 e più recentemente durante l’udienza del 4 dicembre scorso del processo con rito abbreviato davanti al gup Giuseppe De Salvatore: «Il problema è che lì, quando si fa un concorso, diciamo si mette dentro 300-400 autisti, persone, i posti ci sono quasi per tutti, ma la maggior parte dei posti, diciamo, in primis va alla politica, alla criminalità e dopo va ai sindacati», aveva esordito. Per poi specificare che a muovere i fili delle assunzioni non era solo il clan Parisi, ma «poi c’erano i Campanale, c’era un po’ di tutto in azienda» e che le «assunzioni particolari riguardavano anche “Misceo, Telegrafo e anche politica», oltre ai figli di dipendenti e sindacalisti.

De Santis è uno che l’Amtab la conosce bene, ci ha lavorato come autista dal 2004 al 2017, anno in cui ha deciso di collaborare con la giustizia dopo essersi rifiutato di compiere un omicidio per conto del clan Parisi. Sulle modalità di assunzione, che passavano per un’agenzia interinale indicata dagli stessi vertici aziendali, dice: «All’epoca il presidente era Savino Lasorsa che dava la lista e chiamavano sempre le stesse persone. Pure se all’agenzia eravamo iscritti 50 autisti, alla fine lavoravano 7-8 persone».

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E aggiunge: «Io sono entrato tramite politica, ma anche qualcuno che appartiene al clan è stato iscritto all’agenzia con la forza, dando il nominativo e venivano chiamati… venivamo sempre gli stessi…. con la forza, diciamo… nel nostro gruppo del 2004… anzi, anche prima del 2004, sulle autogrù che gestivano i Vigili Urbani di Bari, sono entrati diciamo i fratelli Lafirenze, Franco Gaetano, ehm… diciamo tutte persone… Franco Posa, sempre tramite agenzia è avvenuto questo. Con la forza, diciamo, hanno minacciato, all’epoca, il presidente Savino Lasorsa e sono stati assunti questi qua».

© RIPRODUZIONE RISERVATA – SEPA





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